Paesi extra UE sono ammessi alle procedure d’appalto comunitarie nei limiti in cui abbiano sottoscritto puntuali accordi con l'UE e nei termini ivi previsti

Gianluigi Delle Cave
27 Luglio 2020

Sono ammesse alle gare di appalto esclusivamente quelle imprese di Paesi terzi (extra UE) che abbiano sottoscritto specifici accordi con l'Unione di partecipare alle medesime procedure a “condizione di reciprocità”, vale a dire secondo un vincolo normativo e giuridico volto a garantire e a riconoscere anche alle imprese comunitarie (italiane) un trattamento analogo a quello di cui si intende beneficiare in Europa (Italia).

Il caso. La vicenda trae origine dall'impugnazione, da parte del concorrente secondo classificato, del provvedimento di aggiudicazione di una gara, indetta dalla S.A.C.B.O. S.p.A., avente ad oggetto la fornitura e posa in opera di un letto di arresto, e relativa manutenzione, presso l'Aeroporto Civile di Bergamo - Orio Al Serio (BG). La ricorrente lamentava, ex multis, l'omessa esclusione dalla gara del RTI aggiudicatario alla luce del fatto che la mandante del raggruppamento medesimo era una società di diritto cinese, interamente controllata e finanziata dalla Repubblica Popolare Cinese; Paese, quest'ultimo, che – pur avendo aderito nel 2001 al W.T.O. – non ha perfezionato l'adesione all'allegato “Accordo sugli Appalti Pubblici” (AAP o GPA, General Procurement Agreement), che consente agli operatori economici dei Paesi sottoscrittori di presentare offerte per gli appalti pubblici nell'UE.

La soluzione giuridica. Nell'accogliere le doglianze della ricorrente, il TAR ha preliminarmente richiamato gli artt. 45 e 49 del d.lgs. n. 50/2016. In particolare, e per quanto qui di interesse:

  • la prima disposizione (art. 45 cit.) – che reca la regola generale relativa ai soggetti legittimati a partecipare agli appalti pubblici – stabilisce che sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici: (i) gli operatori economici “di cui all'articolo 3, comma 1, lettera p) nonché (ii) “gli operatori economici stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi”. La norma, specifica, altresì che gli operatori economici, i raggruppamenti di operatori economici, comprese le associazioni temporanee, che in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, sono autorizzati a fornire la prestazione oggetto della procedura di affidamento, “possono partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici anche nel caso in cui essi avrebbero dovuto configurarsi come persone fisiche o persone giuridiche, ai sensi del presente codice”. Tale disposizione individua, in buona sostanza, i soggetti legittimati alla partecipazione agli appalti regolati dal codice negli operatori economici italiani e in quelli degli Stati membri, costituiti in conformità al rispettivo ordinamento;
  • con una circoscritta estensione della suddetta previsione, il successivo art. 49 cit. consente alle imprese di Paesi terzi che abbiano sottoscritto specifici accordi con la UE di partecipare alle medesime procedure a condizione di reciprocità. La norma de qua, infatti, così recita: “nella misura in cui sono contemplati dagli allegati 1, 2, 4 e 5 e dalle note generali dell'appendice 1 dell'Unione europea dell'AAP e dagli altri accordi internazionali a cui l'Unione è vincolata, le amministrazioni aggiudicatrici applicano ai lavori, alle forniture, ai servizi e agli operatori economici dei Paesi terzi, firmatari di tali accordi, un trattamento non meno favorevole di quello concesso ai sensi del presente codice.” I Paesi terzi, dunque, sono ammessi alle procedure di appalto nei limiti in cui abbiano sottoscritto detti accordi e nei soli termini ivi previsti.

Alla luce delle suddette disposizioni di legge, il TAR ha specificato che la mancanza, nel codice, di un espresso divieto per le imprese dei restanti Paesi non può essere interpretata come “possibilità di una loro partecipazione, stante il chiaro dispositivo delle norme richiamate, che delineano il campo di applicazione della normativa de qua”. Ed infatti, come già l'articolo 47 del d.lgs. 163/2006, anche l'articolo 49 d.lgs. 50/2016 – che in termini più chiari fa riferimento alla “partecipazione alle procedure d'appalto” e non alla sola qualificazione delle imprese nell'ambito degli appalti di lavori pubblici come la previgente disciplina – delinea il principio di apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza internazionale, subordinatamente, però, al rispetto del principio di qualificata reciprocità. Detta “condizione di reciprocità”, secondo i giudici amministrativi, deve essere qualificata quale “vincolo normativo e giuridico per i Paesi di appartenenza delle imprese straniere che intendono partecipare alle gare italiane, volto a garantire e a riconoscere anche alle imprese italiane un trattamento analogo a quello di cui si intende beneficiare in Italia”. Pertanto, occorre che essa sia fondata “su precise fonti normative vincolanti gli ordinamenti statali”, con l'ulteriore conseguenza che “non possono costituire fonte di reciprocità elementi contingenti di fatto” (ex aliis, TAR. Lazio, Roma, n. 11405/2008; TRGA Trentino Alto-Adige, Trento, n. 402/2013).

In conclusione. Il Collegio, alla luce delle suddette considerazioni, ha evidenziato, dunque, che costituisce “condicio sine qua non” imprescindibile per la partecipazione ad un appalto pubblico comunitario (sub specie italiano) da parte di una impresa extra UE, il fatto che il Paese terzo abbia sottoscritto specifici accordi con la UE di partecipare alle procedure ad evidenza pubblica a condizione di reciprocità, intesa quale vincolo normativo e giuridico volto a garantire, e a riconoscere, anche alle imprese comunitarie (italiane) un trattamento analogo a quello di cui si intende beneficiare in Europa (Italia).

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