Effetti processuali del mancato deposito dei file informatici della notifica e delle note in vista dell'udienza cartolare

28 Luglio 2020

La Corte d'Appello di Napoli con la sentenza del 16 giugno 2020, n. 2151 ha avuto modo di pronunciarsi sugli effetti processuali del mancato deposito delle note in vista di un'udienza cartolare affermando che il mancato deposito equivale alla mancata comparizione all'udienza “in presenza”. Con la medesima sentenza inoltre, la Corte territoriale ha avuto modo di pronunciarsi su una questione processuale importante volta a sapere come la parte deve adempiere all'onere della prova della notificazione effettuata a mezzo PEC nell'ambito del processo civile telematico.

Con riferimento alla prima questione, l'equiparazione tra mancato deposito delle note in vista dell'udienza cartolare e la mancata comparizione in udienza “fisica” può avere importanti conseguenze laddove dovesse seguire (come nel caso deciso) una pronuncia di improcedibilità di un'impugnazione.

Con riferimento alla seconda questione, la soluzione, che come vedremo va a consolidare un orientamento giurisprudenziale, ha notevoli effetti pratici che occorre tenere a mente nell'esercizio della professione così da evitare di incappare in possibili pronunce di inammissibilità e/o improcedibilità (ancorché nel caso di specie le mancanze potrebbero essere derivate da una sopravvenuta mancanza di interesse al giudizio).

Mancato deposito delle note all'udienza cartolare… Quid juris nel caso in cui la parte appellante ometta di depositare le note in vista dell'udienza c.d. cartolare prevista dalla normativa COVID-19 dall'art. 83, comma 7, lett. h), del d.l. n. 18/2020?
Secondo la formula usata dalla Corte di appello “l'appellante non è comparso all'udienza di comparizione e trattazione”.
Nel caso di specie la conseguenza è stata l'improcedibilità dell'appello perché l'udienza cartolare era un'udienza che seguiva ad una precedente già andata deserta.

…equivale a mancata “comparizione”. Ciò sul presupposto che “siffatta condotta debba essere considerata equivalente alla mancata comparizione all'udienza contemplata dall'art. 348, comma 2, c.p.c.”.
Peraltro, quando la Corte aveva fissato la nuova udienza aveva onerato, per quel che qui rileva, le parti di depositare “note scritte contenenti soltanto le proprie rispettive istanze e/o conclusioni” “avvisandoli che il mancato deposito di dette note entro il suddetto orario potrebbe essere considerato dai collegi giudicanti equivalente alla diserzione dell'udienza, con tutte le conseguenze normalmente previste dalla legge per quest'eventualità, e che i provvedimenti, ordinatori o decisori, che sarebbero stati normalmente adottati in udienza, saranno adottati fuori udienza, compresi quelli eventualmente ritenuti indispensabili per assicurare il rispetto del principio del contraddittorio e dei termini processuali sospesi”.
Pur consapevole delle molteplici interpretazioni fornite al quadro normativo (per alcuni non sarebbe possibile trarre dalla “mancata partecipazione” conseguenze quali quelle indicate dalla Corte, per altri la normativa sarebbe dubbia), a mio avviso la soluzione cui è pervenuta la Corte di appello di Napoli è corretta.

“Equivalenza” delle udienze. Ed infatti, a seguito della legislazione emergenziale le modalità di celebrazione dell'udienza civile sono diventate tre ed equivalenti tra loro: la classica udienza “in presenza”, la c.d. “udienza cartolare” e l'udienza “da remoto” (senz'altro preferibile alla precedente che è adatta, astrattamente, alle sole udienze per chiedere i termini ovvero alle udienze di precisazione delle conclusioni o sulle istanze istruttorie e, cioè, alle udienze dove nella più parte dei casi, in realtà, non servirebbe proprio un'udienza).
Concordo, quindi, con la Corte di appello quando afferma, con riferimento all'udienza cartolare, che ai “due adempimenti (scambio e deposito delle note scritte) il legislatore assegna una funzione succedanea delle codicistiche modalità di svolgimento dell'udienza”.
E quindi – sebbene la norma specifica non vi sia – è comunque possibile applicare la norma generale sulla mancata comparizione in udienza (con gli effetti, caso per caso, previsti) combinata con la mancata attività in udienza: essendo cartolare, la mancata comparizione qui è legata al mancato deposito delle note (come peraltro oggetto di avviso).

Secondo la Corte di appello, infatti, “il legislatore ha invero abbastanza chiaramente inteso eccezionalmente individuare nel deposito telematico delle suddette «note scritte» un eccezionale surrogato della comparizione fisica dei difensori delle parti all'udienza tenuta dal giudice, la cui mancanza è ragionevole simmetricamente equiparare alla diserzione di tale udienza da parte del difensore rimasto inerte”.

Ruolo della volontà delle parti. Quello su cui, viceversa, non concordo è l'affermazione della Corte di appello sul fatto che, a suo dire, per svolgere l'udienza da remoto occorrerebbe la volontà delle parti: senonché l'argomento utilizzato (e, cioè, il fare riferimento l'art. 83 alla “libera volontà delle parti”) non è dirimente perché la libera volontà delle parti cui allude l'art. 83 non è una volontà avente effetto negoziale (sul processo) ma il riferimento all'essere la parte libera da condizionamenti esterni quando partecipa ad una “riunione” che è un'udienza a tutti gli effetti.
Del resto, in assenza di una norma ad hoc le modalità di organizzazione del servizio giustizia spettano allo Stato e non già alle parti (si pensi soltanto, per fare un esempio alla possibilità del giudice di mutare – ove possibile – il rito da ordinario a sommario e viceversa) che dispongono del diritto sostanziale non già (salvo i casi in cui ciò sia possibile) delle regole processuali.
Viceversa, resterà alle parti la possibilità di dolersi più che della scelta di una modalità rispetto ad un'altra di svolgimento dell'udienza, del possibile pregiudizio che l'attuazione di una specifica modalità di svolgimento ha in concreto avuto per quella causa (ad esempio perché il contraddittorio cartolare non ha consentito lo svolgersi pieno e conseguenziale del contraddittorio).

Prova della notificazione telematica. Nel caso di specie, era accaduto che l'appellante aveva notificato la citazione in appello a mezzo posta elettronica certificata e aveva, poi, iscritto a ruolo in forma cartacea.
Non vi è dubbio che nel momento in cui la costituzione sia cartacea (perché “necessariamente” cartacea non essendoci il processo civile telematico come davanti al Giudice di pace e alla Cassazione o perché a ciò (allora senz'altro) facoltizzato proprio dalle norme sul PCT) la produzione dell'atto notificato potrà essere data, ai fini dell'iscrizione, dalla copia analogica dell'atto e delle ricevute di notificazione elettronica che l'avvocato dichiarerà conformi ai corrispondenti atti elettronici.
Se, però, nel corso del processo sarà necessario fornire la prova dell'intervenuta notificazione perché il giudice deve verificare la regolarità della notificazione la parte avrà già assolto il suo onere probatorio oppure dovrà produrre con un deposito telematico i file telematici della notificazione (e, cioè, i file “.eml” o “.msg” della ricevuta di consegna e della ricevuta di accettazione)?
Orbene, per la Corte di appello di Napoli la soluzione è la seconda: “l'appellante non ha dimostrato [la corretta evocazione in lite dell'appellato] non avendo depositato l'idonea prova (files telematici) della notificazione mediante PEC dell'atto di appello”.
L'interpretazione della Corte napoletana si pone in continuità – sebbene non la richiami – con l'indirizzo seguito dalla Corte di appello di Torino che nel 2016, decidendo un appello su questo specifico aspetto (e, cioè, come fornire la prova della notifica a mezzo PEC) aveva avuto modo di affermare che “la prova della notificazione a mezzo PEC deve infatti essere offerta, sulla base della lettura degli artt. 9 della L. 53/1994 e 19-bis del Provvedimento del Responsabile S.I.A. del 16.4.2014, esclusivamente con modalità telematica.”.
La soluzione mi sembra corretta sia dal punto di vista normativo che dal punto di vista della coerenza del sistema intendendo con ciò la capacità (ancora tutta da implementare) del PCT (che ancora è sostanzialmente una informatizzazione dei registri di cancelleria) di sfruttare tutte le potenzialità degli atti elettronici che, a ragione delle loro “proprietà” possono fornire importanti informazioni (si pensi, per esemplificare: un conto è una mail stampata e la produzione del file della mail che contiene importanti dati informatici “non visibili prima facie” come il percorso seguito dai pacchetti informatici).
Sul punto l'art. 19 bis del Provvedimento 16 aprile 2014 (c.d. Specifiche tecniche) che riguarda le notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati prevede al comma 5 è chiaro nel prevedere che “la trasmissione in via telematica all'ufficio giudiziario delle ricevute previste dall'articolo 3-bis, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53, nonché della copia dell'atto notificato ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della medesima legge, è effettuata inserendo l'atto notificato all'interno della busta telematica di cui all'art 14 e, come allegati, la ricevuta di accettazione e la ricevuta di avvenuta consegna relativa ad ogni destinatario della notificazione; i dati identificativi relativi alle ricevute sono inseriti nel file DatiAtto.xml di cui all'articolo 12, comma 1, lettera e.”.
Del resto, anche l'art. 17 comma 5 del decreto n. 44 del 2011 per le notificazioni effettuate dall'ufficiale giudiziario prevede che “il sistema informatico dell'UNEP, eseguita la notificazione, trasmette per via telematica a chi ha richiesto il servizio il documento informatico con la relazione di notificazione sottoscritta mediante firma digitale e congiunta all'atto cui si riferisce, nonche' le ricevute di posta elettronica certificata, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 34.”.

Se il PCT è operativo questa è l'unica strada percorribile: quando è tecnicamente consentito al giudice accedere agli “originali” informatici – rectius agli atti informatici (e non alle copie analogiche) – è necessario produrre i file telematici perché sono gli unici che possono dimostrare tecnicamente (e, cioè, per la loro “qualità” o meglio “proprietà” diversamente dal documento analogico) (a) l'avvenuta consegna della PEC e (b) ciò che è stato effettivamente inviato (come emerge, proprio per le notificazioni degli avvocati, dal combinato disposto degli articoli 18, comma 6 d.m. 44/2011 e 6, comma 4 del d.P.R. 68/2005)
Peraltro, noi qui abbiamo fatto riferimento soltanto all'ipotesi della controparte non costituita, ma il problema si può porre anche laddove la parte si sia costituita e ponga un problema di corrispondenza di quanto “asseritamente” e quanto “effettivamente” notificato.
Non può, quindi, essere ritenuto un ammissibile succedaneo – neppure ove sia ancora facoltativa la costituzione cartacea - la certificazione dell'avvocato (ovvero anche dell'ufficiale giudiziario che così abbia provveduto) altrove senz'altro ammessa “per forza di cose” in quanto altri giudizi non consentono (ancorché sarebbe molto facile) la diretta verifica informatica dell'avvenuta notificazione.
Del resto, laddove ci sia stata costituzione telematica di atto notificato analogicamente e l'avvocato abbia attestato la conformità del file contenente la scansione della ricevuta di ritorno della notifica, egli non deve comunque produrre, in caso di contestazione, l'originale cartaceo (dal quale la copia è stata estratta e di cui ha già attestato la conformità)?
Ne deriva che, operativamente e per evitare anche un semplice rinvio dell'udienza per la verifica dell'incombente (ove processualmente possibile), nell'immediatezza della prima udienza l'avvocato – nel caso in cui la controparte (o una delle controparti) non sia ancora costituita – dovrà provvedere ad allegare nel fascicolo telematico le ricevute telematiche dell'avvenuta notificazione a prescindere da ciò, che la costituzione sia stata “cartacea” o “informatica”: in quel momento esiste senz'altro il fascicolo telematico.

(Fonte: www.dirittoegiustizia.it)