La sottrazione di persone incapaci nel quadro del diritto convenzionale
31 Luglio 2020
Massima
In tema di delitti contro l'assistenza familiare commette il reato di sottrazione di minori il genitore di nazionalità straniera che sottragga e trasferisca all'estero i figli, residenti in Italia, in modo da impedire all'altro genitore l'esercizio della relativa potestà, attribuita dalla legge italiana ad entrambi i coniugi, dovendo trovare applicazione l'art. 3 della Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, resa esecutiva con legge 15 gennaio 1994, n. 64, secondo cui il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito quando avviene «in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro».
Fonte: ilpenalista.it Il caso
La questione affrontata dalla Suprema Corte prende le mosse dalla conferma della Corte territoriale dell'affermazione di responsabilità dell'imputato in ordine al reato di cui all'art. 574 c.p. (tra gli altri). Nel caso di specie l'imputato risultava, pacificamente, essersi imbarcato il 21.6.2013, con i tre figli minori al seguito e all'insaputa della relativa madre, su aereo diretto in Pakistan, per poi tornare in Italia solo un anno più tardi. La questione
Già in sede di appello la Difesa sollevava la questione circa l'insussistenza del reato di sottrazione di persone incapaci stante il difetto di un'illegittima sottrazione dei figli minori all'esercizio della potestà genitoriale della madre, alla stregua della disposizione di cui all'art. 36 l. 218/1995 secondo cui i rapporti tra genitori e figli sono regolati dalla legge nazionale del figlio e dunque, nella fattispecie, dal diritto pakistano che riserva al padre qualsivoglia decisione riguardante i figli. La Corte territoriale - premessa comunque la maggior correttezza di una contestazione del reato di cui all'art. 574-bis c.p., stante il relativo riferimento al trasferimento e trattenimento dei minori all'estero - respingeva l'assunto difensivo, ritenendo applicabile la disciplina dettata dall'art. 3 della Convenzione de L'Aia del 25 ottobre 1980, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. n. 64 del 1994; articolo questo che individua la disciplina applicabile nella legge del luogo di residenza del minore immediatamente prima del suo trasferimento. Nell'ottica della Corte di Appello, dovendo trovare applicazione la legge italiana - stante dunque la residenza dei minori in Italia prima del loro trasferimento in Pakistan, ai sensi del citato art. 3 - il trasferimento di costoro e il loro trattenimento all'estero era da ritenersi illecito in quanto avvenuto impedendo l'esercizio delle prerogative e della responsabilità genitoriale della madre, affidando la legge italiana ad entrambi i genitori l'esercizio della responsabilità genitoriale. La Difesa riproponeva la questione in sede di legittimità argomentando ulteriormente che secondo la l. n. 218 del 2015, la responsabilità genitoriale è regolata dalla legge nazionale del figlio, e, stante il chiaro disposto dell'art. 36, non poteva revocarsi in dubbio la legittimazione del padre, secondo la legge pakistana, a trasferire nel proprio paese di origine i figli minori. In ipotesi difensiva, l'imputato avrebbe dunque esercitato legittimamente la sua prerogativa di trasferire i figli minori nel loro paese di origine, con conseguenti mancato impedimento dell'esercizio della (inesistente) potestà genitoriale della madre e insussistenza del reato in contestazione. Le soluzioni giuridiche
Secondo la Suprema Corte le norme di diritto internazionale di cui alla l. 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, tra cui il citato art. 36 rubricato Rapporti tra genitori e figli, sono dirette ad individuare la legge applicabile nel proprio ambito di disciplina, id est i rapporti tra i privati. A giudizio della Corte devono tuttavia trovare applicazione, come correttamente indicato dai giudici del merito, i principi sanciti dalla Convenzione de L'Aia del 25 ottobre 1980, dettata proprio per la disciplina della sottrazione dei minori e resa esecutiva con l. n. 64 del 1994; convenzione che, all'art. 3, individua quando il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito e cioè quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro. In ragione della residenza in Italia dei minori trasferiti all'estero e tenuto conto che la legge italiana attribuisce la responsabilità genitoriale ad entrambi i coniugi, il trasferimento dei minori - afferma la Cassazione - deve nel caso di specie dirsi avvenuto impedendo l'esercizio di tale responsabilità alla madre, rimasta all'oscuro del trasferimento, con conseguente integrazione del reato di cui all'art. 574 c.p., che punisce la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga a quest'ultimo il figlio per un periodo di tempo significativo, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente d'abituale dimora. Osservazioni
Come già osservato dalla Corte d'Appello, la vicenda processuale alla base della decisione in commento appare anzitutto scontare un errore di contestazione dell'art. 574 c.p., risultando invero la fattispecie concreta meglio sussumibile nell'ambito del successivo art. 574-bis c.p. Quanto si esporrà appare tuttavia utile ai fini dell'analisi di entrambe le citate figure criminose, presentando l'art. 574-bis c.p., a fronte di un nucleo criminoso sostanzialmente identico a quello di cui all'art. 574 c.p., il mero “elemento specializzante del trasferimento o trattenimento all'estero.” (vd. Cass. pen., Sez. VI n. 17679/2016). Nel merito, la decisione in commento si riconnette coerentemente a precedenti arresti della Suprema Corte e non desta perplessità. Non pare inopportuno, a fini chiarezza sistematica, il richiamo del diritto positivo rilevante. L'art. 3 della Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale, aperta alla firma a L'Aja il 25 ottobre 1980 e ratificata in Italia con l. 15 gennaio 1994 n. 64, dispone: “Il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito: a) quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro e: b) se tali diritti erano effettivamente esercitati, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze.” Come solennemente dichiarato nell'ambito del preambolo della Convenzione in parola, trattasi di previsione finalizzata a proteggere “il minore, a livello internazionale, contro gli effetti nocivi derivanti da un suo trasferimento o mancato rientro illecito, e stabilire procedure tese ad assicurare l'immediato rientro del minore nel proprio Stato di residenza abituale, nonchè' a garantire la tutela del diritto di visita, […]” Il criterio della residenza del minore non costituisce scelta convenzionale isolata ma risulta invero già chiaramente individuato dalla precedente e più generale Convenzione relativa alla competenza delle Autorità e alla legge applicabile in materia di protezione dei minori, adottata sempre a L'Aja il 5 ottobre 1961 e resa esecutiva in Italia con l. 24 ottobre 1980 n. 742, senza contare ulteriori strumenti internazionali che risultano affidarsi a tale criterio ai fini della più completa protezione dei minori (cfr. la Convenzione del L'Aja del 19 ottobre 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, resa esecutiva con l. 101/2015 nonché il Regolamento CE 2201/2003 del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia di matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale). Appare dunque evidente come il quadro internazionale segnali ripetutamente la rilevanza del criterio della residenza del minore, fornendo dunque una disciplina compatta e sostanzialmente priva di elementi di segno contrario, insussistenti anche ove si apprezzino le disposizioni della l. n. 218/1995 richiamate nel caso di specie dalla Difesa a sostegno dei propri assunti. Le previsioni di cui alla citata Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961 resa esecutiva in Italia con l. 24 ottobre 1980 n. 742 risultano invero fatte “in ogni caso” salve dall'art. 42 della l. n. 218/1995 e il precedente art. 2, rubricato “Convenzioni internazionali”, stabilisce, in via generale, che “Le disposizioni della presente legge non pregiudicano l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia.” In tale preciso quadro appare evidente l'infondatezza del richiamo difensivo all'art. 36 l. n. 218/1995 - e specularmente la correttezza delle decisioni della Suprema Corte - secondo cui “I rapporti personali e patrimoniali tra genitori e figli, compresa la responsabilità genitoriale, sono regolati dalla legge nazionale del figlio.” Trattasi invero di previsione che l'art. 2 della stessa legge qualifica espressamente come recessiva rispetto al criterio della residenza del minore, in ogni caso applicabile alla stregua della Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961 in materia di protezione dei minori e recepito altresì dalla successiva Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 recante previsioni specifiche in ordine agli aspetti civili della sottrazione internazionale. Ci si trova dunque al cospetto di un quadro positivo privo di antinomie nell'individuare quale criterio di collegamento quello della residenza del minore, residenza che non coincide con il domicilio o con il concetto di residenza in senso formale “ma corrisponde ad una situazione di fatto, dovendosi intendere il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e di relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico.” (vd. Cass. Sez. VI n. 2073/2018 nel suo richiamo alla nozione di residenza individuata in sede civile da Cass. Sez. I n. 30123/2017). Il quadro tracciato appare ulteriormente in linea con il diritto pretorio sviluppatosi in tema di bene giuridico presidiato dall'art. 574 c.p., da ritenersi profondamente trasformato nel corso del tempo, oltrechè in ragione di un certo mutamento della sensibilità sociale, alla luce di plurimi interventi legislativi. In seno all'articolo in questione, l'originaria espressione patria potestà risulta infatti essere stata sostituita con l. n. 689/1981 dalla dizione “potestà dei genitori”, a sua volta sostituita dalle attuali parole “responsabilità genitoriale” ad opera dell'art. 93 d.lgs. 154/2013 in tema di revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione. Nella Relazione illustrativa del d.lgs. 154/2013 si afferma che l'introduzione della nozione di responsabilità genitoriale in sostituzione della nozione di potestà è stata attuata “in considerazione dell'evoluzione socio-culturale, prima che giuridica, dei rapporti tra genitori e figli” e si aggiunge che “la nozione di reponsabilità genitoriale, presente da tempo in numerosi strumenti internazionali (tra cui il Reg. CE n. 2201/2003 – c.d. Bruxelles II-bis – relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di resposabilità genitoriale), è quella che meglio definisce i contenuti dell'impegno genitoriale, da considerare non più come una potestà sul figlio minore, ma come un'assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio.” In tale ottica la nuova terminologia fornirebbe “risalto alla diversa visione prospettica che nel corso degli anni si è sviluppata ed è ormai da considerare patrimonio condiviso: i rapporti genitori figli non devono più essere considerati avendo riguardo al punto di vista dei genitori, ma occorre porre in risalto il superiore interesse dei figli minori.” Il mutamento terminologico e sociale di cui sopra pare certamente influenzare la ricostruzione del bene giuridico tutelato dall'art. 574 c.p. Secondo più risalente e tradizionale opinione la detta disposizione tutelerebbe, in via esclusiva, le facoltà inerenti alla responsabilità genitoriale. Trattasi di opinione da lungo tempo rivelatasi minoritaria e che ad oggi non pare giustificabile alla luce dell'indicato mutamento terminologico e sociale, da ritenersi certamente rilevante ove si tratti di apprezzare il bene giuridico della figura criminosa. Risulta ad oggi prevalente l'orientamento affermante la natura plurioffensiva del reato di cui all'art. 574 c.p., collocato nell'ambito del Titolo XI relativo ai delitti contro la famiglia e, più in particolare, nel capo IV dei delitti contro l'assistenza famigliare. Sin dal risalente arresto di cui a Cass. Sez. V n. 9538/1992 la Cassazione ha statuito che “Integra gli estremi del delitto di cui all'art. 574 cod. pen. (sottrazione di persone incapaci), e non quelli di cui all'art. 605 stesso codice (sequestro di persona), il fatto di chi sottrae un minore degli anni quattordici al genitore - nella specie di un neonato alla madre - mediante rapimento. Infatti, il concetto di libertà personale, di cui all'art. 605 citato, deve essere interpretato come libertà di locomozione, libertà fisica, di movimento in uno spazio fisico, non come diritto di vivere in un certo ambiente, di realizzare la propria personalità nell'"habitat" naturale: tale diritto trova tutela nell'art. 574 c.p., che punisce un reato appartenente alla categoria dei delitti contro la famiglia, da considerarsi plurioffensivo, in quanto lede non soltanto il diritto di chi esercita la potestà (che è potere-dovere) del genitore, ma altresì quello del figlio a "vivere nell'habitat naturale" secondo le indicazioni e determinazioni del genitore stesso.” (vd. più recentemente di recente Cass.pen., Sez. VI n. 36828/2019 “La competenza per territorio, per il reato di cui all'art.574-bis c.p., si radica nel luogo di residenza abituale del minore al momento dell'indebito trasferimento o trattenimento all'estero, poiché in tale luogo si realizza l'offesa tipica, consistente nell'impedimento dell'esercizio delle prerogative genitoriali nonché nella preclusione per il figlio di mantenere la comunanza di vita con i genitori.” nonché Cass. Sez. VI n. 8660/2018 “In tema di sottrazione e trattenimento di minore all'estero, sussiste la giurisdizione italiana nel caso di condotta di trattenimento commessa interamente all'estero solo a condizione che la residenza abituale del minore, precedentemente concordata dai genitori, fosse in Italia, sicchè questo è il luogo in cui si consuma l'offesa derivante dalla illecita condotta consistente nell'impedimento al genitore di continuare a soddisfare le esigenze fondamentali del figlio e di mantenere con questi la stabilità di rapporto.”) Dall'apprezzamento sinottico delle prese di posizione del Legislatore e del diritto pretorio appare dunque evidente come il bene giuridico della disposizione di cui all'art. 574 c.p. - ed altresì dell'art. 574 bis c.p. - sia stato interessato, nell'ambito dell'affermazione della natura plurioffensiva del reato, da una progressiva e rilevante accentuazione del diritto del figlio a sviluppare la propria personalità nel luogo di stabile permanenza e di presenza degli affetti più cari. Luogo che dunque - anche a voler prescindere da quanto statuito sul terreno internazionale - vede il concretizzarsi dell'offesa penalistica, determina la giurisdizione italiana ex art. 6 c.p. stante la verificazione dell'evento nel territorio dello Stato e segna, in via ulteriore, la correttezza del decisum della Suprema Corte.
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