Responsabilità medica: giudizio controfattuale e probabilità logica

Vittorio Nizza
31 Luglio 2020

Nella sentenza in commento la Corte torna a pronunciarsi sulla tema della causalità, nel peculiare contesto della responsabilità del medico ove generalmente la condotta si configura come omissiva.
Massima

In tema di responsabilità medica, ai fini dell'accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell'evento, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l'analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario onde effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata al condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio (fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di assoluzione dei medici cui era stato addebitato un ritardo nella diagnosi di un infarto intestinale, non essendosi accertato che il tempestivo espletamento dell'esame radiografico omesso avrebbe comunque permesso di evitare l'evento mortale).

Il caso

La vicenda sottoposta all'attenzione della suprema Corte riguardava il decesso di una paziente a seguito di infarto addominale. Per tale circostanza venivano imputati i medici curanti per il reato di omicidio colposo ai sensi degli artt. 40, 61 n. 9 e 589 c.p. per non aver sottoposto la paziente ai necessari approfondimenti diagnostici, imposi dall'acuzie addominale da cui quest'ultima era affetta e di conseguenza non essere chirurgicamente intervenuti in maniera tempestiva.

I sanitari venivano assolti in primo e secondo grado. Avverso la sentenza di appello proponeva ricorso per Cassazione la difesa della parte civile evidenziando come la Corte di Appello non avesse considerato l'opportunità dell'effettuazione di una TAC addominale in occasione del peggioramento del quadro clinico della paziente. Secondo il ricorrente, l'esecuzione della TAC nelle 48 oreprecedenti l'infarto avrebbe rivelato la patologia in atto, con evidenti possibilità salvifiche per la paziente. Gli stessi consulenti del P.M. avrebbero evidenziato come sarebbe stato proprio l'atteggiamento attendista dei sanitari ad azzerare le possibilità salvifiche della paziente, nonostante la presenza di sintomi tanto gravi da indurre a programmare un nuovo intervento.

Il ricorrente lamentava inoltre la mancata predisposizione di parte dei giudici di merito di una perizia stante l'elevata valenza tecnica della materia e la distanza tra le opposte tesi di parte.

La Corte rigettava il ricorso ritenendone inammissibili i motivi, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La questione

Nella sentenza in commento la Corte torna a pronunciarsi sulla tema della causalità, nel peculiare contesto della responsabilità del medico ove generalmente la condotta si configura come omissiva.

Le soluzioni giuridiche

La suprema Corte, motivando in merito al rigetto del primo motivo del ricorso, ripercorre con un'approfondita analisi la tematica del nesso di causalità nel peculiare ambito della responsabilità medica.

Premettono i giudici come sia ormai consolidata la teoria secondo la quale la “causa” dell'evento è rappresentata da quell'antecedente senza il quale l'evento non si sarebbe verificato. In tal senso, quindi, il comportamento umano è causa dell'evento solo se, senza di esso, l'evento non si sarebbe verificato (formula positiva) o altrimenti non ne è causa se, anche in mancanza di tale comportamento, l'evento si sarebbe ugualmente verificato (formula negativa). Da tali premesse deriva l'elaborazione del c.d. giudizio controfattuale da cui deriva la teoria condizionalistica. Per poter procedere al giudizio controfattuale occorre ricostruire la sequenza fattuale che ha condotto all'evento, accertare ciò che effettivamente è accaduto (giudizio esplicativo).

In materia medica, pertanto, è essenziale accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, secondo i suoi aspetti fattuali e scientifici. Solo in tal modo è possibile stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l'evento lesivo.

La sentenza, quindi, richiama la giurisprudenza affermatasi a partire dalle Sezioni Unite “Franzese” . La teoria condizionalistica e della causalità umana devono essere integrate dal criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche. Un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo se rientri nel novero di quelli che, sulla base di una successione regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge dotata di validità scientifica (c.d. “legge di copertura”) frutto della migliore scienza ed esperienza del momento storico, conducano ad eventi “del tipo” di quello verificatosi.

Diventa quindi fondamentale, nella ricerca del nesso di causa, il riferimento ad una legge scientifica od esponenziale. La legge, precisano i giudici, è “un enunciato generalizzante, asserente una successione regolare di eventi e perciò idoneo a rendere intellegibile un accadimento del passato ed a consentire previsioni su accadimenti del futuro”. La sentenza a questo punto, precisando che le fonti possono essere la scienza o l'esperienza, si sofferma sui requisiti che la legge scientifica deve avere per poter avere una valenza generalizzante e consentire al giudice di procedere nella ricostruzione della spiegazione causale. Tali requisiti sono: la generalità, la controllabilità, il grado di conferma, l'accettazione da parte della comunità scientifica internazionale. Con riferimento all'ultimo aspetto, si precisa come sia sufficiente si tratti di una legge generalmente condivisa o maggiormente accolta, non essendo necessario che sia unanimemente riconosciuta.

Le leggi inoltre, in base alla loro natura, si distinguono in leggi di carattere universale e leggi di carattere statistico. Le prime sono quelle che asseriscono, nella successione di determinati eventi, invariabili regolarità, senza eccezioni. Le seconde si limitano invece ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una relativa frequenza. Queste ultime si distinguono a loro volta in leggi probabilistiche epistemiche (che assumono che esistano, in relazione ai fenomeni oggetti di indagine, autentiche leggi universali, che però sono ignote) e intrinseche (autentiche leggi stocastiche, irriducibili a leggi universali).

La giurisprudenza ha in più occasioni affermato come sia legittimo per il giudice ricorrere a leggi statistiche, poiché il modello della sussunzione sotto leggi statistiche sottende il più delle volte necessariamente il distacco da una spiegazione causale deduttiva che implicherebbe una impossibile conoscenza di tutti i fatti e di tutte le leggi pertinenti.

Permane, tuttavia, il problema di fondare l'imputazione causale di un singolo evento su una correlazione statistica a bassa frequenza. Per colmare tali carenze è stato elaborato il concetto di “probabilità logica”. Si richiede, infatti, accanto alla verifica empirica della misura della frequenza relativa alla successione degli eventi data dall'applicazione della legge scientifica statistica, un'ulteriore verifica sulla base dell'intera evidenza disponibile, delle caratteristiche del caso concreto. Il concetto di probabilità logica, quindi, impone di tener conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, integrando il criterio della frequenza statistica con tutti gli elementi astrattamente idonei a modificarla.

Le Sezioni Unite, nella sentenza “Franzese” hanno affermato che anche “anche coefficienti medio bassi di probabilità c.d. frequentista per tipi di evento, rivelati da leggi statistiche o da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche , pur imponendo verifiche particolarmente attente sia in merito alla loro fondatezza che alla specifica applicabilità alla fattispecie concreta, possono essere utilizzati per l'accertamento del nesso di condizionamento, ove siano corroborati dal positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza, nel caso di specie, di altri fattori interagenti in via alternativa”.

Il procedimento logico richiesto al giudice, quindi, deve portare ad un “alto grado di credibilità razionale”, ad una “certezza processuale”. Per giungere a tale risultato, prosegue la sentenza in oggetto, è necessario un procedimento abduttivo: per trovare una spiegazione di un fatto problematico occorre elaborare un'ipotesi o congettura da cui dedurre delle conseguenze che possano essere collaudate in via sperimentale. Al momento sperimentale segue poi il momento generalizzante, che si conclude con la validazione o l'invalidazione dell'ipotesi. L'abduzione cerca quindi di risalire dai fatti alle loro cause, proseguendo dal conseguente all'antecedente. La stessa è strettamente connessa sia con l'induzione che con la deduzione.

Tale ragionamento in materia di causalità deve trovare applicazione anche nell'ambito della responsabilità medica. In particolare per quanto attiene la responsabilità professionale del sanitario sotto il profilo del nesso eziologico sono stati elaborati alcuni principi di diritto: “il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica-, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l'evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Non è però consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, cosìcche, all'esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto grado di credibilità razionale". L'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio (Sez. U. 10.7.2002, Franzese).Ne deriva che nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale”.

Nel caso sottoposto al loro esame, concludono i supremi giudici, gli esiti del giudizio controfattuale sono oggettivamente lontani dall''assicurare la certezza processuale che ove l'azione doverosa omessa, ossia l'effettuazione della TAC o della ecografia, fosse stata effettuata, l'evento letale non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con modalità meno gravose per il paziente, anche sotto il profilo di una minor sofferenza. Nel caso in esame, infatti, le possibilità che, pur in presenza del comportamento alternativo lecito, l'evento morte si verificasse lo stesso erano più che concrete. Le caratteristiche del caso concreto, tra cui l'età avanzata della paziente, le sue condizioni generali, essendo la stessa già reduce da un intervento chirurgico importante, la stabilizzazione del quadro clinico, l'aspecificità e la scarsa significatività della sintomatologia, hanno determinato, nel giudizio controfattuale, un decremento del coefficiente percentualistico della possibilità salvifiche del un comportamento alternativo doveroso del medico, tale da non poter raggiungere la soglia del ragionevole dubbio.

La Cassazione aveva pertanto confermato il giudizio assolutorio già espresso in primo e secondo grado.

Osservazioni

La suprema Corte nella sentenza in oggetto analizza la tematica della causalità nel peculiare contesto della responsabilità medica, ripercorrendo gli approdi giurisprudenziali che hanno caratterizzato la materia. I giudici, infatti, prima ripercorrono l'evoluzione giurisprudenziale che ha portato all'affermazione della teoria condizionalistica e della causalità umana basata sul c.d. giudizio controfattuale. Con la nota sentenza delle Sezioni Unite Franzese si è inoltre precisato come il ricorso a leggi scientifiche di copertura per raggiungere una spiegazione causale che ricolleghi l'accadimento ad un determinato antecedente fattuale possa essere correttamente effettuato anche rispetto a leggi scientifiche di carattere statistico. In tal caso le Sezioni Unite, per superare il contrasto che si era venuto a creare sul livello di probabilità richiesto per fondare l'imputazione causale dell'evento, hanno elaborato il concetto di “probabilità logica”. Per effettuare il suo giudizio, quindi, il giudice non deve basarsi unicamente sulla frequenza statistica data dall'applicazione delle leggi di copertura in astratto, ma deve collocarle ed integrarle con tutte le caratteristiche del caso concreto. Diventa fondamentale, pertanto ricostruire l'intera catena degli eventi nonché tutti gli altri elementi del caso concreto che possono influire.

In ambito medico, quindi, occorre ricostruire tutti quelli aspetti fattuali e scientifici che abbiano determinato in qualche modo l'andamento della malattia: la causa e il decorso della malattia stessa, ma anche le condizioni personali psico-fisiche del paziente. In molti casi, i giudici hanno valutato anche la situazione in cui il sanitario si è trovato ad intervenire (situazione di urgenza, subentro di turno rispetto ad altro sanitario) e talvolta è stata ritenuta rilevante la realtà della stessa struttura sanitaria (mancanza di strumentazione adeguata per effettuare gli esami necessari, carenza di posti letto).

Molte volte si tratta di aspetti facilmente ricostruibili, in particolare per ciò che riguarda tutte le informazioni relative all'eziologia e all'evoluzione della malattia. Si pensi ad esempio a molte patologie che sono ancora in fase di studio. Emblematica è tutta la problematica che oggi si è sviluppata interno alla diffusione dell'epidemia di COVID-19 in particolare all'interno delle strutture sanitarie ed assistenziali. Si discute – sono in corso anche numerosi accertamenti da parte di varie procure in Italia - se possano essere configurabili dei profili di responsabilità a vari livelli, in particolare in capo ai medici e ai responsabili delle strutture stesse.

Secondo quanto è emerso dai fatti di cronaca le maggiori situazioni di contagio dell'attuale pandemia si sono verificate proprio all'interno delle strutture, ove il virus si è diffuso sia tra i pazienti che tra il personale sanitario. Nell'ipotizzare eventuali profili di responsabilità per lesioni o, nei casi più gravi, omicidio colposo in capo personale sanitario e dirigenziale si potrebbero profilare una serie di questioni di non facile soluzione in merito alla prova della sussistenza del nesso causale.

Si tralascia in questa sede eventuali profili problematici in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa che richiede, come noto, la prevedibilità e l'evitabilità dell'evento in capo al soggetto agente, in un contesto emergenziale straordinario caratterizzato tra le altre cose dalla mancanza oggettiva di mezzi tecnici (presidi di sicurezza, posti letti, macchinari per terapie intensive) e di personale sanitario.

Con riferimento specifico alla tematica del nesso eziologico alla luce delle affermazioni della giurisprudenza, ribadite dalla sentenza in oggetto, di non poco conto il problema della mancata conoscenza del comportamento del virus, le esatte modalità di contagio, il tempo di incubazione e le complicanze causate soprattutto su soggetti già portatori di patologie pregresse. Uno degli aspetti che forse maggiormente potrebbe risultare complesso sotto il profilo probatorio è rappresentato proprio dall'individuazione del momento del contagio, soprattutto con riferimento ad ipotesi di responsabilità ascrivibili alle strutture socio-sanitarie per mancata o inidonea adozione di strumenti preventivi e contenitivi all'interno delle stesse.

Non solo, ma la scarsità di informazioni scientifiche di questo nuovo virus potrebbe porre degli interrogativi ad esempio sotto il profilo della sindacabilità delle scelte curative poste in essere dai sanitari totalmente privi, quanto meno in una fase iniziale, di indicazioni specifiche da parte della comunità scientifica e che hanno dovuto, pertanto, necessariamente procedere per tentativi rispetto alle terapie ed ai farmaci somministrati, in assenza ancora oggi di un vaccino o di un medicinale adeguato. Tra l'altro a fronte di un virus la cui aggressività si è dimostrata assolutamente molto differente da soggetto a soggetto (con un numero elevato di contagiati totalmente asintomatici) e con una capacità di ledere o comunque di incidere nei soggetti contagiati su diversi organi, determinando ad esempio complicanze tanto a livello polmonare quanto a livello cardiaco.

A fronte quindi di una situazione di tal genere non pare, in linea generale – ovviamente ogni valutazione non può che essere rimessa alle risultanze degli inquirenti di ogni singolo caso - di immediata risoluzione la valutazione di un eventuale profilo eziologico sotto il profilo del raggiungimento di quella “probabilità logica” richiesta.