L'incapacità processuale dopo la riforma Orlando

03 Agosto 2020

Le legge 23 giugno 2017 n. 103 (c.d. riforma Orlando) ha inciso in maniera sensibile anche sulla disciplina della capacità processuale. Il legislatore – raccogliendo gli spunti offerti dalla Corte Costituzionale, dalla dottrina e dagli operatori pratici – ha tentato di risolvere uno dei profili di maggiore criticità della materia: “l'infinita” sospensione dei processi a carico di imputati affetti da patologie irreversibili con l'inutile ripetersi delle verifiche semestrali dell'incapacità processuale.
Abstract

Le legge 23 giugno 2017 n. 103 (c.d. riforma Orlando) ha inciso in maniera sensibile anche sulla disciplina della capacità processuale. Il legislatore – raccogliendo gli spunti offerti dalla Corte Costituzionale, dalla dottrina e dagli operatori pratici – ha tentato di risolvere uno dei profili di maggiore criticità della materia: “l'infinita” sospensione dei processi a carico di imputati affetti da patologie irreversibili con l'inutile ripetersi delle verifiche semestrali dell'incapacità processuale. Ancora una volta, però, non ha spiccato per tecnica redazionale e il mancato coordinamento tra le nuove norme e quelle già vigenti ha dato la stura a opposte interpretazioni, esemplificate da due sentenze della Cassazione, che vengono in questa sede analizzate e commentate.

Il quadro normativo anteriore alla riforma Orlando

Le norme del codice di rito destinate specificamente a disciplinare la capacità processuale dell'imputato sono gli artt. 70-73 c.p.p.

Prima di esaminarli, va ricordato che la capacità processuale ha una portata più ampia della capacità di intendere e volere. Essa, invero, deve essere intesa come la capacità di partecipare in modo consapevole e attivo alla vicenda processuale, interloquendo con gli altri soggetti del processo, allo scopo di esercitare l'autodifesa e di comunicare con il proprio difensore (cfr. Corte Cost. n.341/1999).

L'art. 70 c.p.p. (non toccato dalla riforma Orlando) prevede che, quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento e vi è ragione di ritenere che, per infermità di mente sopravvenuta al fatto, l'imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo il giudice, se occorre, dispone anche d'ufficio perizia.

Durante il tempo necessario per la perizia, il giudice, su richiesta della difesa, assume le prove che possano portare al proscioglimento dell'imputato o, se vi è pericolo di ritardo, ogni altra prova richiesta dalle parti.

La norma originariamente riguardava i soli casi di infermità di mente sopravvenuta al fatto; la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 340 del 1992, ne ha esteso l'ambito applicativo anche ai casi di infermità coeva alla commissione del fatto.

L'art. 71 c.p.p., nel testo originario, prevedeva che se – a seguito della perizia – risultava l'incapacità processuale, il giudice sospendeva il processo, sempre che non sussistessero i presupposti per pronunciare una sentenza di proscioglimento. Il secondo e il quarto comma (non toccati dalla novella) prevedono che, con l'ordinanza di sospensione, il giudice nomina all'imputato un curatore speciale e che, nei limiti previsti dall'art. 70, possono essere assunte prove.

Nel sistema delineato dagli artt. 70 e 71, il ricorso alla perizia e alla successiva sospensione del processo è previsto solo se non ci sono i presupposti per un proscioglimento (il fatto non sussiste, non è previsto dalla legge come reato, il reato è prescritto, ecc.). In caso contrario, in coerenza con l'art. 129 c.p.p., la norma prevede l'obbligo per il giudice di emettere immediatamente la sentenza di proscioglimento.

La Suprema Corte, tuttavia, nella vigenza della normativa anteriore alla riforma Orlando, aveva precisato che tra le sentenze di proscioglimento non poteva essere prevista quella per difetto di imputabilità, se a essa dovesse conseguire anche l'applicazione di una misura di sicurezza (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 21 luglio 2009, n. 38246; Cass. pen., Sez. V, 13 luglio 2015, n. 43489). Nei casi in cui dalla perizia risultava anche la pericolosità sociale, con conseguente applicabilità di misura di sicurezza, quindi, non c'era spazio per la sentenza di proscioglimento. Nell'interpretazione del giudice di legittimità, l'applicazione di una sanzione afflittiva, come la misura di sicurezza, non poteva essere disposta all'esito di un giudizio svolto davanti ad un soggetto incapace di difendersi. La Cassazione aveva evidenziato che il legislatore dell'88 non aveva espressamente fatto salve le ipotesi di (difetto di imputabilità con) applicazione di misure di sicurezza perché originariamente gli artt. 70 e ss. riguardavano i soli casi di infermità sopravvenuta al fatto, in relazione ai quali non era possibile applicare misura di sicurezza.

Alla stregua dell'esposto orientamento giurisprudenziale, nei casi in cui doveva essere applicata una misura di sicurezza, andava sospeso il processo, sebbene, in astratto, vi fosse la possibilità di emettere una sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilità.

La sentenza di proscioglimento, in caso di difetto di imputabilità, era possibile solo se l'imputato non risultava pericoloso socialmente e, dunque, non vi erano i presupposti per applicare una misura di sicurezza. In definitiva, la sospensione serviva solo per bloccare sentenze in malam partem (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 4 luglio 2013, n. 34575).

L'art. 72 c.p.p. prevedeva e tutt'ora prevede (la norma non è stata toccata dalla riforma Orlando) che lo stato di incapacità deve essere verificato ogni sei mesi o anche prima se il giudice ne ravvisi l'esigenza e che l'ordinanza di sospensione venga revocata quando l'imputato riacquisti la capacità ovvero quando si determinino i presupposti per una sentenza di proscioglimento.

L'art. 73 c.p.p. disciplina la vicenda cautelare, di grandissimo rilievo, ma che in questa sede possiamo tralasciare in considerazione dello specifico oggetto del presente lavoro.

Il problema dei processi sospesi “all'infinito”

Uno dei profili di maggior criticità dell'originario quadro normativo era quello dell'inutile ripetersi delle verifiche semestrali nell'ambito dei processi a carico di imputati affetti da patologie irreversibili, destinati ad essere “sospesi all'infinito”.

Tale profilo è stato affrontato dalla Corte Cost., che, con la sentenza n. 45/2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 159 c.p. nella parte in cui, in caso di sospensione del processo per incapacità irreversibile dell'imputato, non escludeva la sospensione della prescrizione. Per effetto di tale pronuncia, nel caso di incapacità irreversibile, ferma restando la sospensione del processo, il corso della prescrizione continua a decorrere, consentendo allo spirare del termine, la pronuncia di non doversi procedere per estinzione del reato.

L'indicato profilo di criticità è stato affrontato anche dal legislatore con la riforma Orlando, che ha modificato l'art. 71 (e l'art. 345 c.p.p.) e introdotto l'art. 72-bis.

Nel testo vigente dell'art. 71, conseguente alla novella, è previsto che la sospensione va disposta solo se, all'esito della perizia, l'infermità risulta reversibile e sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento.

Se, all'esito della perizia, invece, l'infermità dell'imputato risulta irreversibile, il “neonato” art. 72-bis prevede che deve essere emessa sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l'applicazione di una misura di sicurezza (diversa dalla confisca).

Il legislatore, dunque, con la novella ha inteso porre rimedio proprio al problema dell'inutile ripetersi delle verifiche semestrali nell'ambito dei processi a carico di imputati affetti da patologie irreversibili, prevedendo che in tali casi il giudice, una volta accertata l'irreversibilità della patologia, debba pronunciare la sentenza di non luogo a procedere, evitando l'ulteriore inutile protrarsi del processo. Ha, tuttavia, espressamente fatto salvo il caso in cui, essendo risultata anche la pericolosità sociale del soggetto, debba applicarsi anche una misura di sicurezza diversa dalla confisca. Tale eccezione sembra chiaramente dettata dall'intento di evitare l'applicazione di una misura pesantemente afflittiva come la misura di sicurezza, all'esito di un processo a carico di un soggetto completamente incapace di autodifendersi.

Dunque, se all'esito della perizia risulta anche la pericolosità sociale dell'imputato, con conseguente applicabilità di una misura di sicurezza, risulta preclusa la sentenza di proscioglimento per incapacità irreversibile e andrà comunque disposta la sospensione del processo.

Deve essere precisato che, in realtà, il testo della norma non prevede espressamente che il giudice, in caso di incapacità irreversibile accompagnata da un giudizio di pericolosità sociale, debba sospendere il processo. Tale omissione, in dottrina, è stata ritenuta frutto di una mera mancanza di coordinamento tra il nuovo art. 72-bis e il riformato art. 71 (v. SCOMPARIN, SPANGHER).

La sospensione appare, tuttavia, necessariamente conseguente a una lettura logico- sistematica delle norme in questione e dei principi espressi in esse, che portano sicuramente a escludere che possa continuare un processo nei confronti di un soggetto dopo che ne sia stata accertata l'incapacità.

Il perdurare “all'infinito” della sospensione del processo, nei casi in esame, troverà limite solo nella prescrizione del reato (ex sent. n.41/2015 Corte Cost.) e nella scadenza del termine massimo della misura di sicurezza applicata in via provvisoria (ex d.l. n. 52/2014). Con riferimento a quest'ultima possibilità, va osservato che, con la scadenza del termine massimo e la conseguente impossibilità di applicare misure di sicurezza, viene meno qualsiasi ostacolo alla sentenza di proscioglimento per incapacità irreversibile. La scadenza del termine massimo di durata - coincidente con il massimo edittale previsto per il reato commesso (cfr. art. 1, comma 1-quater, d.l. n.52/2014 -, tuttavia, non riguarderà le ipotesi di applicazione della libertà vigilata, considerato che l'art. 1, comma 1-quater, del d.l. n. 52/2014 ha introdotto il termine massimo solo per le misure di sicurezza detentive.

La giurisprudenza della Suprema Corte successiva alla riforma Orlando

Il “quadro” esposto è quello reso evidente dalla lettura delle nuove norme, in conformità ai principi che, prima della riforma Orlando, erano stati espressi in materia dalla Suprema Corte.

L'interpretazione delle nuove norme, tuttavia, non è stata univoca.

Dopo la novella, invero, la Cassazione si è pronunciata sulle norme in questione con due sentenze che esprimono orientamenti tra loro contrastanti.

Con una prima sentenza, ha dato una lettura delle nuove norme completamente diversa da quella sopra esposta. Si tratta della sentenza della Sesta Sezione n. 55743 del 23 ottobre 2018, imp. Cannata, che, se trovasse seguito, potrebbe portare a una sensibile riduzione dei casi di processi dalla durata “infinita”, ma anche a stridenti frizioni con i consolidati principi in materia.

Per comprendere bene la portata della sentenza, occorre fare un passo indietro e ricordare l'orientamento giurisprudenziale sopra esposto in materia di incapacità processuale e, precisamente, quello avente ad oggetto le “clausole di salvezza” previste dagli artt. 70 e 71 c.p.p.: la perizia e la sospensione del processo vanno disposte sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento.

Come detto, la Suprema Corte aveva precisato che tra le sentenze di proscioglimento non poteva essere considerata quella per difetto di imputabilità, se ad essa dovesse conseguire anche l'applicazione di una misura di sicurezza (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 21 luglio 2009, n. 38246; Cass. pen.,Sez. V, 13 luglio 2015, n. 43489). In base a tale orientamento, se dalla perizia fosse risultata anche la pericolosità sociale, con conseguente applicabilità di una misura di sicurezza, non ci sarebbe stato spazio per la sentenza di proscioglimento, atteso che l'applicazione di una sanzione afflittiva come la mds non poteva essere disposta all'esito di un giudizio svolto davanti ad un soggetto incapace di difendersi. In tali casi andava sospeso il processo, sebbene, in astratto, vi sarebbe stata la possibilità di emettere una sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilità. Il vizio totale di mente poteva portare all'immediata definizione del processo solo se l'imputato non fosse risultato pericoloso socialmente e, conseguentemente, non vi fosse stata possibilità di applicare una misura di sicurezza.

La lettura dell'art. 72-bis esposta nel paragrafo precedente appare in perfetta coerenza con tali principi: in caso di applicabilità di una misura di sicurezza, anche se l'incapacità è irreversibile, non può essere emessa la sentenza di non doversi procedere; proprio perché, altrimenti, si finirebbe per terminare un processo e applicare una sanzione afflittiva nei confronti di un soggetto non in grado di autodifendersi.

L'interpretazione degli artt. 70 e ss. data nella sentenza Cannata, invece, si pone in palese contrasto con l'orientamento espresso dalla Suprema Corte prima della riforma Orlando (sebbene, in italgiure, tale sentenza venga, invece, indicata come conforme a Sez. IV, 21 luglio 2009, n. 38246 e a Sez. V, 13 luglio 2015, n. 43489).

Nel caso all'esame della Cassazione, il Tribunale di Brescia, all'esito del giudizio abbreviato, aveva assolto l'imputato dal reato di evasione in quanto non imputabile per vizio totale di mente; aveva, però, applicato la misura di sicurezza della libertà vigilata presso una residenza sanitaria, essendo stata accertata la pericolosità sociale del soggetto.

Ricorreva la Difesa del Cannata, lamentando che, essendo stata accertata l'incapacità irreversibile dell'imputato, ai sensi dell'art. 72-bis, non era possibile applicare una mds diversa dalla confisca.

La Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha affermato che bene aveva fatto la Corte territoriale (che aveva confermato la sentenza di primo grado) a dare prevalenza al proscioglimento nel merito dell'imputato per vizio totale di mente.

La Suprema Corte, invero, ha sostenuto che l'obbligo di pronunciare, nel caso di accertato vizio totale di mente, l'immediata sentenza di proscioglimento, con possibile applicazione della misura di sicurezza, sarebbe espressamente sancito sia dall'art. 70 che dall'art. 71, che prevedono, rispettivamente, la necessità di disporre la perizia e la sospensione del processo solo se non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento. Tale quadro non sarebbe smentito dall'art. 72-bis (che esclude la dichiarazione di ndp quando deve applicarsi una mds) perché tale norma si inserirebbe sempre in un quadro in cui gli artt. 70 e 71 affermano la prevalenza delle cause di proscioglimento.

In altri termini, gli artt. 70 e 71 affermerebbero la prevalenza, in ogni caso, delle cause di proscioglimento e, dunque, anche di quella per vizio totale di mente. Tale quadro, non essendo stato espressamente derogato dall'art. 72-bis, rimarrebbe tutt'ora vigente, con la conseguenza che il giudice avrebbe l'obbligo, nei casi di incapacità irreversibile, di pronunciare una sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilità (e non una per incapacità irreversibile ex art. 72-bis) con conseguente applicabilità di una mds anche diversa dalla confisca.

L'interpretazione degli art. 70 e ss. operata nella sentenza Cannata, sotto il profilo pratico, consentirebbe di ridurre sensibilmente i casi di processi dalla durata “infinita”.

Occorre, tuttavia, tener presente che essa porta, in totale contrasto con il precedente orientamento giurisprudenziale, ad applicare in via definitiva una misura fortemente afflittiva, come l'OPG in REMS, ad un soggetto che non è stato in grado di autodifendersi, in quanto totalmente incapace.

Essa appare ancor meno convincente sotto il profilo sistematico.

Invero, seguendo quell'interpretazione, in tutti i casi di vizio totale di mente al momento del fatto, anche quando deve essere applicata la misura di sicurezza, dovrebbe essere pronunciato il non doversi procedere per difetto di imputabilità; conseguentemente la pronuncia di improcedibilità per incapacità irreversibile finirebbe per essere applicata ai soli casi di vizio di mente sopravvenuto.

In questi ultimi casi, però, è davvero difficile immaginare che possa essere applicata una misura di sicurezza, considerato che quest'ultima presuppone il vizio di mente originario.

Al riguardo, invero, occorre ricordare che, solo nel caso di incapacità di intendere e volere al momento del fatto, il processo può concludersi con il proscioglimento del soggetto per difetto di imputabilità con conseguente applicazione della misura di sicurezza. Nel caso di vizio di mente sopravvenuto, invece, essendo l'imputato capace d'intendere e volere al momento del fatto, il processo (superata la patologia che ne ha determinato la sospensione) terminerà con la sentenza di condanna alla pena prevista per il reato commesso dall'imputato.

Seguendo l'interpretazione contenuta nella sentenza Cannata, risulterebbe allora poco giustificabile la “clausola di salvezza” contenuta nell'art. 72-bis (salvo che ricorrano i presupposti per la l'applicazione di una misura di sicurezza), che sarebbe riferibile a casi (quelli di vizio di mente sopravvenuto) in cui concretamente è davvero difficile ipotizzare l'applicazione di una misura di sicurezza.

La sentenza Cannata (v. in questa rivista nota di CIRILLO, Il giudice del dibattimento di fronte alla pericolosità sociale: come orientarsi con la sospensione del processo, le misure di sicurezza e le misure cautelari) sembra non aver trovato seguito.

La Prima Sezione Penale, invero, con la sentenza n. 10516 del 29 gennaio 2020 (depositata il 23 marzo 2020), ha affermato che «In tema di irreversibile incapacità dell'imputato a partecipare al procedimento, qualora si accerti che il medesimo sia un soggetto pericoloso, nei cui confronti debba essere ordinata l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca, il giudice non può pronunciare sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere ai sensi dell'art. 72-bis cod. proc. pen., giacché la parte finale di questo articolo fa espressamente salvo il caso in cui ricorrano i presupposti per l'applicazione di una tale misura, ma è tenuto a disporre con ordinanza la sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 71, comma 1, cod. proc. pen. e l'espletamento, ogni sei mesi, degli ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dell'imputato di cui all'art 72, comma 1, cod. proc. pen., con estensione, altresì, alla verifica della permanenza della pericolosità sociale del predetto, e ciò sin tanto che l'applicazione in via provvisoria della misura di sicurezza risulti preclusa per lo spirare del termine di durata massima, ovvero che taluno degli accertamenti periodici escluda che l'imputato sia ancora pericoloso o infine (a mente della sentenza della Corte cost. n. 45 del 2015) che debba dichiararsi l'estinzione del reato per maturata prescrizione».

Il giudice di legittimità, nella pronuncia in esame, in primo luogo, ha posto in rilievo il dato letterale della norma, evidenziando che l'art. 72-bis «preclude … in termini assolutamente chiari la pronuncia di improcedibilità per incapacità irreversibile dell'imputato di partecipare al procedimento allorché … sia stata accertata la sussistenza delle condizioni di applicabilità di una misura di sicurezza».

Ha rilevato, poi, che tra la suddetta norma e quella prevista dall'articolo 71, comma 1, c.p. p. (secondo cui «se a seguito degli accertamenti previsti dall'art. 70, risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e tale stato è reversibile, il giudice dispone con ordinanza che il procedimento sia sospeso») sussiste un evidente difetto di coordinamento: “e infatti, il tenore letterale della disposizione di legge da ultimo citata consente al giudice di disporre la sospensione del procedimento solo nelle ipotesi di reversibilità dell'incapacità dell'imputato a partecipare al dibattimento e non aggiunge – come avrebbe dovuto fare un legislatore più attento – che siffatta ordinanza di sospensione avrebbe dovuto essere disposta anche nelle ipotesi di incapacità irreversibile ove dovessero ricorrere i presupposti per applicare all'imputato una misura di sicurezza diversa dalla confisca”.

Tale difetto di coordinamento tra le due citate norme, però, a parere della Suprema Corte, «deve necessariamente essere risolto con una soluzione che rispetti l'effettiva volontà del legislatore e che, al contempo, non si ponga in contrasto con la logica del sistema; e tale soluzione è stata rinvenuta dalla dottrina più avveduta nel senso che quando si accerti che l'imputato irreversibilmente incapace è un soggetto pericoloso, nei cui confronti deve disporsi una misura di sicurezza diversa dalla confisca, il giudice deve applicare le disposizioni di legge previste dall'articolo 71, cod. proc. pen., disponendo perciò con ordinanza la sospensione del procedimento, e dall'articolo 72 dello stesso codice, provvedendo ogni sei mesi ad accertamenti peritali sullo stato di mente dell'imputato, nel corso dei quali dovrà di volta in volta essere accertata anche se la sua pericolosità permane».

La Suprema Corte, infine, ha rilevato che la pendenza “infinita” dei processi in tali casi «risulta temperata da tre circostanze: la prima di esse è che dovrà applicarsi l'articolo 72 bis cod. proc. pen. nel momento in cui la misura di sicurezza risulterà preclusa per essere stata già adottata in via provvisoria fino al limite massimo della sua durata (non oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato avuto riguardo alla previsione edittale massima, ai sensi della legge n. 81 del 30 maggio 2014); la seconda circostanza è che ove l'accertamento semestrale dovesse escludere che l'imputato sia ancora socialmente pericoloso, dovrà allora adottarsi la disciplina prevista dall'articolo 72 bis citato; infine, il processo si chiuderà in ogni caso nel momento in cui verrà dichiarata l'estinzione del reato per essere maturati i termini prescrizionali; e ciò in conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte Costituzionale n. 45 del 2015, secondo cui il corso della prescrizione del reato non deve essere sospeso quando lo stato mentale dell'imputato sia tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e sia accertato che tale stato è irreversibile».

La pronuncia della Prima Sezione Penale, dunque, ha ripreso il solco segnato dalla precedente giurisprudenza della Suprema Corte, dal quale aveva deviato la sentenza Cannata.

Si tratta di una pronuncia condivisibile non solo per la sua conformità al dato letterale dell'art. 72-bis, ma anche per la maggior coerenza con le altre norme del codice di rito e con i principi costituzionali (primo fra tutti il diritto di difesa sancito dall'art. 24), che appaiono davvero poco compatibili con un'interpretazione che consenta di applicare una misura fortemente afflittiva, quale la misura di sicurezza detentiva, ad un soggetto incapace di autodifendersi.

Guida all'approfondimento

Scomparin, La nuova causa di improcedibilità per incapacità irreversibile dell'imputato: il traguardo di una soluzione attesa e i residui dubbi sui margini dei poteri proscioglitivi del giudice, in Legislazione pen., 2017;

Spangher, Gli eterni giudicabili, in La riforma Orlando, 2017;

Vergine, Le novità in tema di incapacità dell'imputato, in Le recenti riforme in materia penale, 2017;

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