Il principio dell'elezione del domicilio digitale ed il suo valore per le notificazioni
05 Agosto 2020
Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 16581/20, depositata il 3 agosto.
La Corte d'Appello competente, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, respingeva la domanda proposta da una donna, volta al riconoscimento del diritto all'inquadramento nel livello A2 del CCNL Assofarm ed alla condanna di parte datoriale al pagamento delle relative differenze retributive. La Corte territoriale a sostegno della propria decisione assumeva -per quanto qui interessa- di aver respinto l'eccezione pregiudiziale sollevata dalla donna di tardività dell'appello, il cui ricorso era stato depositato dopo 60 giorni decorrenti dalla notifica della sentenza di primo grado eseguita all'indirizzo di posta elettronica certificata di uno -il primo- dei tre difensori domiciliatari della datrice di lavoro. Infatti, la Corte d'Appello dava atto che nella memoria di costituzione dinanzi al Tribunale la società datrice di lavoro aveva indicato quali propri difensori, con mandato disgiunto, tre avvocati eleggendo domicilio presso lo studio di uno di essi ed indicando quali indirizzi di posta elettronica certificata, presso cui avrebbero dovuto essere eseguite le comunicazioni, quelli appartenenti agli altri due avvocati. Per queste ragioni la Corte territoriale giudicava nulla la notifica della sentenza di primo grado eseguita all'indirizzo di posta elettronica certificata del primo dei tre avvocati, sebbene nella memoria di costituzione in primo grado la società avesse espressamente chiesto di ricevere le comunicazioni all'indirizzo di posta elettronica certificata degli altri due legali, senza indicare anche l'indirizzo PEC del primo avvocato. Era sulla scorta di ciò che la Corte d'appello aveva ritenuto la suddetta notifica inidonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione e, quindi, tempestivo l'appello proposto. Avverso tale capo di sentenza la donna proponeva ricorso per cassazione affidato a un unico motivo: la violazione o falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 53/1994, e successive modifiche, anche con riferimento all'art. 325 c.p.c..
L'unico motivo di ricorso: il nuovo principio di diritto afferente al valore vincolante del domicilio digitale. La ricorrente sosteneva come il fatto che nella comparsa di costituzione della datrice di lavoro in primo grado non fosse indicato l'indirizzo PEC del primo avvocato,-co difensore domiciliatario, non avesse rilievo sia perché ciascun avvocato è munito di un proprio domicilio digitale conoscibile attraverso il registro INI-PEC, sia perché ai sensi dell'art. 125 c.p.c. il difensore non ha più l'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo PEC, come peraltro statuito anche dalla giurisprudenza di legittimità. Per questi motivi censurava la decisione di appello laddove aveva ritenuto che la donna avrebbe dovuto notificare la sentenza ai due co-difensori che avevano espressamente indicato l'indirizzo PEC, richiamando la giurisprudenza secondo cui, in presenza di più difensori, la notifica della sentenza ad uno solo di essi è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione.
La decisione nomofilattica sulla questione di diritto. La Suprema Corte ricorda come il codice dell'amministrazione digitale abbia previsto l'istituzione, presso il Ministero per lo sviluppo economico, di un pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti. Indirizzo di posta elettronica certificata che è agganciato in maniera univoca al codice fiscale del titolare. In argomento, inoltre la Suprema Corte conferma di aver chiarito in varie precedenti pronunce che il difensore non ha più l'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo di posta elettronica certificata né la facoltà di indicarne uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell'Ordine oppure di restringerne l'operatività alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale, e ciò vale come criterio di univoca individuazione dell'utente SICID e consente, tramite il registro pubblico INI-PEC, di risalire all'indirizzo di posta elettronica certificata.
Nel caso in esame -conclude - la questione giuridica che si pone attiene alla notifica della sentenza di primo grado ai fini del decorso del termine breve per la proposizione dell'appello e, specificamente, alla validità o meno della notifica eseguita all'indirizzo PEC del primo avvocato, co-difensore, nominato in atti come domiciliatario fisico e senza indicazione dell'indirizzo PEC, in presenza di una dichiarazione in atti degli altri due co-difensori che avevano espressamente chiesto di ricevere eventuali comunicazioni a mezzo fax o al proprio indirizzo di posta elettronica certificata. In ordine all'argomento la sentenza n. 2942/2019 della Corte sembra introdurre un principio diverso per cui l'elezione del domicilio legale ha valore vincolante, nelle specie riferito alla comunicazione di cancelleria, ma che, in quanto richiami il diritto di difesa e la scelta volontaria della parte, potrebbe valere anche per le notificazioni. Sulla scorta di tutte le suesposte ragioni, la Suprema Corte, nel precisare che la questione in diritto, che pone la fattispecie oggetto di causa, non appare esattamente sovrapponibile a nessun'altra di tutte le cause decise con le pronunce alternatesi nei vari anni e nel rilevare sin da subito che la relativa decisione riveste senza dubbio valore nomofilattico, ha deciso per la trasmissione del procedimento alla Sezione quarta, competente in diritto del lavoro. (Fonte: www.dirittoegiustizia.it) |