Il Tribunale del riesame confermava l'ordinanza impositiva degli arresti domiciliari nei confronti dell'indagato, accusato di detenzione illecita di arma e ricettazione.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato. Il Procuratore generale ha presentato una requisitoria scritta, ai sensi dell'art. 83, comma 12-ter, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, ed ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Osserva la Cassazione che il ricorso in esame è stato inviato a mezzo PEC e in proposito rileva che tale modalità di deposito del ricorso di legittimità non è ammessa, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l'emergenza sanitaria in corso, in quanto l'art. 83, comma 11, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 prevede tale possibilità solo per i ricorsi civili.
Infatti, osservano i Giudici, nel processo penale non è consentito alla parte privata l'uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti né per il deposito presso gli uffici, perché l'utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi dell'art. 16, comma 4, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 - è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal Pubblico ministero ex art. 151 cod. proc. pen. e per le notificazioni ai difensori disposte dall'autorità giudiziaria.
La previsione dell'art. 64 disp. att. cod. proc. pen., che consente il ricorso ai mezzi idonei di cui agli artt. 149 e 150 cod. proc. pen., tra i quali la PEC, riguarda unicamente la comunicazione degli atti del giudice e non la trasmissione di un atto di parte, quale l'impugnazione.
Chiarito questo, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.