Destinazione dei flussi derivanti dalla continuità aziendale e dei frutti dell'immobile gravato da ipoteca

Filippo Rasile
12 Agosto 2020

I flussi derivanti dalla continuità aziendale non costituiscono nuova finanza liberamente destinabile al ceto creditorio senza il necessario rispetto delle cause legittime di prelazione, in quanto la possibilità di destinare tali flussi al pagamento dei creditori in deroga all'art. 2740 c.c. comporterebbe la totale inapplicabilità dell'art.160 comma 2 l.fall. (alterazione cause legittime di prelazione).
Massime

I flussi derivanti dalla continuità aziendale non costituiscono nuova finanza liberamente destinabile al ceto creditorio senza il necessario rispetto delle cause legittime di prelazione, in quanto la possibilità di destinare tali flussi al pagamento dei creditori in deroga all'art. 2740 c.c. comporterebbe la totale inapplicabilità dell'art.160 comma 2 l.fall. (alterazione cause legittime di prelazione).

Anche in caso di concordato, così come a seguito della dichiarazione di fallimento, i frutti dell'immobile gravato da ipoteca (canoni di locazione) devono essere destinati al creditore ipotecario, e non possono essere utilizzati - come ipotizzato dalla debitrice ricorrente - per la copertura dei costi derivanti dall'espletamento dell'attività caratteristica dell'impresa.

In sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo, il Tribunale può dichiarare inammissibile la proposta di concordato qualora valuti l'inadeguatezza dell'attestazione sotto il profilo della comprensibilità dei criteri di giudizio adottati nella relazione redatta ai sensi dell'art. 160 comma 2 e 161 comma 3 (e 186-bis) l. fall.

Il caso

Il Tribunale di Catania, pronunciandosi sull'ammissibilità di una domanda di concordato preventivo in continuità aziendale ex art. 186 bis l.fall., dopo aver concesso un termine per fornire chiarimenti e integrazioni, ha dichiarato inammissibile la proposta di concordato della ricorrente.

Nel decreto in commento il Collegio evidenzia ben tre profili di inammissibilità della proposta, e precisamente, nello stesso ordine ricavabile dalla pronuncia:

(i) la violazione del disposto dell'art. 160 comma 2 l.fall. (alterazione cause legittime di prelazione), laddove la proponente ipotizza di destinare i canoni di locazione dell'immobile ipotecato alla copertura dei costi dell'attività caratteristica dell'impresa (attività turistico-alberghiera), invece che al pagamento del creditore che su detto immobile vanta ipoteca;

(ii) ancora, la contrarietà al disposto dell'art. 160 comma 2 l.fall. in relazione all'utilizzo dei flussi della continuità aziendale senza il necessario rispetto delle cause legittime di prelazione;

(iii) l'inadeguatezza dell'attestazione, ritenuta carente sotto molteplici aspetti e perciò non in grado di fornire una corretta informazione ai creditori, ai fini dell'espressione di un voto libero e consapevole.

Le questioni giuridiche e le possibili soluzioni

A seguire, cercheremo di affrontare tutti i motivi di inammissibilità evidenziati nel decreto oggetto di esame, dedicando – però – maggior spazio alla questione del corretto utilizzo dei flussi della continuità, in quanto sull'argomento si rilevano ancora diversità di opinioni nella giurisprudenza.

La destinazione dei canoni di locazione dell'immobile ipotecato nel concordato (in continuità)

Il primo luogo, il Tribunale si domanda se nel concordato preventivo sia possibile destinare i canoni di locazione (di un immobile della ricorrente) alla copertura dei costi derivanti dall'espletamento dell'attività caratteristica dell'impresa, invece che al pagamento del creditore che su detto immobile vanta ipoteca.

La questione si pone poiché, in tema di fallimento, la SC ha più volte affermato che la prelazione del creditore ipotecario (ammesso al passivo fallimentare), deve intendersi estesa ai frutti civili (canoni di locazione) prodotti dall'immobile ipotecato dopo la dichiarazione di fallimento.

Secondo la ricorrente, la regola giurisprudenziale appena illustrata per il caso di fallimento (estensione della prelazione ipotecaria ai frutti civili/canoni di locazione) non opererebbe in caso di concordato preventivo. Ciò in quanto non ritiene possibile equiparare la procedura di concordato a quella di fallimento in ragione del mancato spossessamento dell'imprenditore e del mancato richiamo agli artt. 111-bis e 54 da parte dell'art. 169 l.fall. (a sostegno della propria tesi richiama Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016).

Il Tribunale, però, è di diverso avviso.

Infatti, partendo dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. I, 09 maggio 2013, n.11205), secondo cui a seguito della dichiarazione di fallimento anche i frutti dell'immobile gravato da ipoteca debbono essere destinati al creditore ipotecario, il Collegio catanese ritiene tali principi non solo condivisibili, ma anche replicabili nell'ipotesi concordataria.

Poiché anche nel concordato (al pari del fallimento) trovano applicazione istituti quali l'apertura del concorso fra i creditori e il divieto di azioni esecutive e cautelari, gli estensori del decreto in commento non hanno ritenuto ragionevole un diverso trattamento del creditore ipotecario nel concordato rispetto allo scenario fallimentare (e rispetto a ciò che accadrebbe pure nell'esecuzione individuale), in cui lo stesso soggetto avrebbe diritto alla percezione anche dei frutti civili del bene ipotecato.

Quindi, la conclusione alla quale giunge il Tribunale di Catania è che: anche in caso di concordato preventivo i canoni di locazione dell'immobile della debitrice devono essere destinati al pagamento del creditore che vanta ipoteca su tale immobile.

Un diverso utilizzo/destinazione dei frutti civili dell'immobile ipotecato (aggiungeremmo: senza il consenso del creditore ipotecario) è in grado di alterare il rispetto delle cause legittime di prelazione, in violazione del disposto di cui all'art. 160 comma 2 l.fall.

Tale conclusione – anche se contrastante con il precedente di merito citato – appare condivisibile e ragionevole, in quanto (maggiormente) rispettosa delle regole che sono alla base del concorso dei creditori; concorso dei creditori che – al netto di specifiche eccezioni – dovrebbe "funzionare" allo stesso modo sia in caso di fallimento sia in caso di concordato preventivo.

La destinazione dei flussi derivanti dalla continuità: ritorna la tesi conservatrice

Nel decreto in esame, il Tribunale di Catania prende posizione anche su una questione abbastanza dibattuta nell'attuale panorama giurisprudenziale e dottrinale, ossia se i "flussi derivanti dalla continuità aziendale" siano equiparabili, o meno, alla nuova finanza liberamente destinabile al ceto creditorio.

Il Collegio siciliano si schiera dalla parte di coloro che negano la possibilità di destinare i flussi della continuità aziendale al pagamento dei creditori in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c.

Conseguentemente, dichiara inammissibile la proposta della debitrice per violazione dell'art. 160 comma 2 l.fall. (ossia per alterazione delle cause legittime di prelazione); ciò in quanto essa prevedeva il pagamento dei crediti previdenziali e tributari (di rango deteriore) pur a fronte dell'esistenza di crediti di rango poziore non integralmente soddisfatti (creditori privilegiati ex art. 2751 bis nn.2 e 3 e crediti di cui all'art. 2777 comma 3 c.c.).

Il Tribunale di Catania - in primo luogo - afferma che, dal suo punto di vista, non si rinvengono evidenze né letterali, né sistematiche per poter sostenere che quanto affluisce nel patrimonio del debitore dalla continuità aziendale non costituisca: “bene (presente o futuro)” da vincolarsi alla soddisfazione dei debiti (art. 2740 c.c.) nel rispetto delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.).

Prosegue aggiungendo che dal disposto dell'art.160 comma 2 l.fall. non sembra potersi evincere una deroga ai citati articoli, posto che trattasi di disposizione volta a fissare il limite minimo di soddisfazione in sede concordataria del creditore prelatizio e ciò non significa -di per sé- che detto creditore non debba essere soddisfatto -ove non nella misura minima- secondo le regole della responsabilità patrimoniale fissate dal codice civile.

Il Collegio fallimentare fornisce anche altre motivazioni a sostegno della sua presa di posizione.

Procedendo ad una comparazione con la "nuova finanza", ai Giudici non sembra che i flussi derivanti dalla continuità aziendale siano caratterizzati da quel profilo di: “neutralità” rispetto al patrimonio del debitore che -secondo la Corte di Cassazione (Cassazione civile sez. I, 08 giugno 2012, n.9373)- legittima l'eventuale previsione nel concordato di pagamenti non in linea col disposto dell'art. 2741 c.c., ossia il mancato confluire nel patrimonio del debitore e l'assenza di ripercussioni sul passivo.

Piuttosto – pur nella consapevolezza che la dottrina (ma anche certa giurisprudenza) dibatte in merito a una possibile fase recessiva dei principi di garanzia patrimoniale disciplinati dagli artt. 2740 e 2741 – il Collegio dà risalto al fatto che rimanga a tutt'oggi molto fluido il concetto di “miglior soddisfacimento dei creditori” di cui all'art.186-bis l.fall.

Ritenendo, viceversa, meno ragionevole un'interpretazione che valorizzi in sé lo scopo del soddisfacimento dei creditori chirografari. Interpretazione che avrebbe quale conseguenza quella di legittimare l'esecuzione di pagamenti dal carattere preferenziale che -essendo effettuati nell'ambito del concordato- non sarebbero poi né revocabili né potenzialmente oggetto di azione risarcitoria ex art.146 l.f. nell'ipotesi di dichiarazione di fallimento.

Più avanti proveremo a mettere a confronto la tesi sostenuta dal Tribunale di Catania con la diversa tesi, portata avanti da altra giurisprudenza di merito, che ritiene possibile destinare i flussi della continuità aziendale al pagamento dei creditori (eventualmente) anche in deroga all'art.2740 c.c.

Inammissibilità del concordato per inadeguatezza dell'attestazione

Dopo aver rilevato i due profili di inammissibilità in precedenza analizzati - entrambi ricondotti alla violazione dell'art. 160 comma 2 l.fall. e al concetto di "alterazione delle cause legittime di prelazione" – il Tribunale ritiene inammissibile la proposta di concordato anche con riferimento all'inadeguatezza dell'attestazione.

Sull'argomento il Collegio – dopo aver rilevato numerosi profili di inadeguatezza dell'attestazione, non eliminati neppure a fronte delle integrazioni e dei chiarimenti richiesti – ha ritenuto che la relazione allegata alla domanda di ammissione al concordato (nel caso sembra trattarsi di una relazione redatta ai sensi dell'art. 160 comma 2 e 161 comma 3 e 186-bisl. fall.) non fosse conforme al modello legale. Ciò in quanto i criteri di giudizio attestati nella relazione non apparivano comprensibili e in grado di fornire una corretta informazione ai creditori, ai fini dell'espressione di un voto libero e consapevole.

Si rimanda alla lettura del decreto per le carenze e le criticità dell'attestazione che hanno condotto il Collegio a ritenerla inadeguata.

Tra le carenze dell'attestazione a "valenza generale", si segnala che il Tribunale ha posto l'accento anche sul fatto che nella relazione speciale di cui all'art.186-bis l.fall. non si dava conto della possibilità di eventualmente esperire azioni risarcitorie quali quelle dell'art.146 l.fall. e non erano state fornite adeguate informazioni in merito alla potenziale revoca di un finanziamento.

Osservazioni

La destinazione dei flussi della continuità aziendale: tesi contrapposte e spunti di riflessione

Come anticipato in chiusura del paragrafo 3.2, la questione di come poter destinare i flussi della continuità all'interno di un piano e di una proposta di concordato preventivo è, anche oggi, oggetto di un dibattito che trova divisi gli operatori della materia.

Anche su questo portale si registrano, tra i Focus più recenti: D. Galletti, I proventi della continuità, come qualsiasi surplus concordatario, non sono liberamente distribuibili, in questo portale, 16 marzo 2020; ancora D. Galletti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: brevi note sui principi generali e sugli interessi tutelati, in questo portale, 28 febbraio e 15 marzo 2019; D. Finardi, Le diverse interpretazioni del principio di responsabilità patrimoniale nel concordato con continuità in questo portale, 20 dicembre 2017.

Il provvedimento in commento ci offre - quindi - l'occasione per provare a riassumere, a grandi linee, ma con taglio volutamente pratico, quali sono gli argomenti a sostegno delle due principali tesi contrapposte, e cioè:

(a) le tesi già definite "libertarie" (cfr. D. Galletti, I proventi della continuità, come qualsiasi surplus concordatario, non sono liberamente distribuibili, cit.): ossia quelle che equiparano i flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività alla "nuova finanza", quindi liberamente utilizzabili anche senza il rigoroso rispetto della graduazione dei crediti;

(b) le tesi per così dire "conservatrici": per le quali tutte le risorse, anche quelle ricavabili dalla prosecuzione dell'attività, devono essere destinate alla soddisfazione dei creditori nel rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione.

A dire il vero, il Tribunale di Catania torna a sostenere la tesi conservatrice dopo che la maggior parte della giurisprudenza di merito si era spostata verso l'asse libertario.

Tant'è che lo stesso provvedimento in commento richiama numerosi precedenti contrari, e soltanto un precedente di merito conforme alla posizione sostenuta (Trib. Milano, 15 dicembre 2016).

Rimandiamo al decreto per i precedenti ivi richiamati.

Aggiungiamo, però, che tra l'anno 2018 ed il 2020, ci risultano pubblicate anche altre (rispetto a quelle citate nel decreto) pronunce sullo stesso argomento.

Tra queste ne troviamo sia di aderenti alla tesi conservatrice (App. Torino, 31 agosto 2018, Trib. Padova, 24 gennaio 2019), sia dell'opposto filone libertario (Trib. Milano, 5 dicembre 2018, che segna un mutato orientamento dell'Ufficio rispetto al richiamato precedente del 15 dicembre 2016; App. Venezia, 19 luglio 2019, che riforma Trib. Padova, 24 gennaio 2019; Trib. Avezzano, 13 febbraio 2020).

Prima di procedere oltre con un tentativo di "messa a confronto" delle due tesi, precisiamo che nel presente contributo utilizziamo indifferentemente i termini "nuova finanza", "finanza terza" e "finanza esterna" per identificare sempre lo stesso concetto, ossia l'apporto del terzo che risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società debitrice, non comportando né un incremento dell'attivo, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo. In tal caso le somme apportate dal terzo possono essere utilizzate liberamente e non sono soggette al divieto di alterazione della graduazione dei crediti. (Cass., n. 9373/2012).

Gli argomenti della tesi conservatrice nella giurisprudenza di merito

Tale tesi muove dalla seguente premessa: la disciplina dettata dal Codice civile in materia di responsabilità patrimoniale e concorso dei creditori (artt. 2740 e 2741 c.c.) – in base alla quale, tra l'altro, il debitore risponde dei suoi debiti con tutti i beni, presenti e futuriprevale su eventuali norme di segno contrario presenti nella legge fallimentare in materia di concordato preventivo (cfr. art. 160 comma 2, 182-ter e 186-bis, comma 2, lett. b l. fall.).

Da tale premessa discendono diversi corollari che, grosso modo, sono riassunti nelle seguenti affermazioni:

  • Quanto affluisce nel patrimonio del debitore dalla continuità aziendale costituisce “bene (presente o futuro)” da vincolarsi alla soddisfazione dei debiti (art. 2740 c.c.) nel rispetto delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.).
  • La prosecuzione dell'attività di impresa in sede concordataria non può comportare il venir meno della garanzia patrimoniale del debitore, che risponde dei suoi debiti con tutti i beni, presenti e futuri (art. 2740 c.c.).

E ancora:

  • La prosecuzione dell'attività di impresa non crea un patrimonio separato o riservato in favore di alcune categorie di creditori (anteriori o posteriori alla domanda di concordato), quindi va sempre assicurato il rispetto delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c., un corollario della responsabilità patrimoniale).
  • I flussi di cassa attesi dalla continuità aziendale - benché futuri e non presenti attualmente nel patrimonio del debitore - sono comunque generati dallo stesso in quanto scaturiscono dall'impiego di beni strumentali che di questo fanno parte.
  • Dagli artt. 182-ter e 160 comma 2 l.fall. non si può trarre un principio di carattere generale della disciplina del concordato preventivo e, quindi, una norma che facoltizzi il proponente alla falcidia del privilegiato generale se detta falcidia interverrebbe nell'alternativa liquidatoria fallimentare (a prescindere dall'attivo prospettato in piano).
  • La norma generale è piuttosto l'art. 2740 c.c., che stabilisce che costituiscano garanzia patrimoniale del creditore tutti i beni presenti e futuri del debitore, da leggersi unitamente all'art. 2741 c.c., che a sua volta stabilisce la necessità di garantire parità di trattamento tra i creditori, salve le cause legittime di prelazione.

Quindi, tornando alle parole del decreto in commento: “non sembra che i flussi derivanti dalla continuità aziendale siano caratterizzati da quel profilo di “neutralità” rispetto al patrimonio del debitore che legittima l'eventuale previsione nel concordato di pagamenti non in linea col disposto dell'art. 2741 c.c., ossia il mancato confluire nel patrimonio del debitore e l'assenza di ripercussioni sul passivo”.

Gli argomenti a sostegno della tesi libertaria

La tesi libertaria, invece, giunge alla conclusione opposta, ossia ritiene che - in determinati casi - le risorse generate dalla continuità possano essere equiparate alla finanza esterna e che, quindi, siano liberamente utilizzabili dal debitore nella distribuzione ai creditori.

La giurisprudenza che si pone su questa scia valorizza, innanzitutto, il "principio del miglior soddisfacimento dei creditori", ricavabile dall'art. 186-bis, comma 2 lett. b, l.fall.

Infatti, l'art.186-bisl.fall.- rubricato Concordato con continuità aziendale- prevede (comma 2 lett. b), che in caso di concordato in continuità «la relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, deve attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori».

A tal proposito, troviamo affermato che:

  • L'ammissibilità della deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. si fonda sul principio del miglior soddisfacimento dei creditori, principio che deve considerarsi il criterio interpretativo generale della nuova disciplina sul concordato in continuità.
  • La funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori giustifica l'alterazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione non solo nel caso di prestazioni essenziali alla prosecuzione dell'attività (cfr. art. 182 quinquies comma 4 l.fall.), ma anche in tutti i casi in cui il pagamento di un credito di rango inferiore comporta una soddisfazione migliore per tutti gli altri creditori, cosicché il mancato pagamento si tradurrebbe per questi in un pregiudizio.
  • Il divieto di alterazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione non pare principio di ordine pubblico, dal momento che il legislatore ne ha previsto la possibilità di deroga nell'istituto della transazione fiscale (cfr. art 182 ter comma 1, secondo periodo).

Però, il concetto di "miglior soddisfacimento dei creditori", per poter essere sviluppato ha bisogno di un termine di paragone.

Perciò, nelle pronunce del filone libertario si legge anche che:

  • La funzionalità al miglior interesse dei creditori implica un giudizio di comparazione tra il risanamento economico della proposta in continuità e quello derivante da uno scenario alternativo. È necessario accertare se quanto offerto dal debitore ai creditori concorsuali - attraverso i flussi di liquidità messi a loro disposizione - sia o meno superiore a quanto i creditori conseguirebbero nell'ipotesi alternativa della liquidazione fallimentare.
  • La valutazione comparativa rispetto alla prospettiva fallimentare deve essere ancorata al momento di apertura della procedura di concordato (momento in cui si cristallizza il patrimonio del debitore), tenendo conto della massa attiva esistente in quel momento. Il patrimonio da prendere in considerazione al fine di vagliare il requisito di cui all'art. 186 bis, comma 2 lett. b) l. fall. è quello esistente al momento in cui viene presentata la domanda di concordato, quale patrimonio attuale della società suscettibile di essere ceduto o aggredito esecutivamente.
  • Nel raffronto tra l'ipotesi in continuità e quella di liquidazione da parte del curatore fallimentare, non può venire in rilievo il "patrimonio futuro" del debitore, atteso che in caso di fallimento non sarebbero acquisibili alla procedura concorsuale i benefici generabili dalla prosecuzione dell'attività attraverso la procedura di concordato preventivo, se non quelli prodotti nella - limitata e finalizzata alla liquidazione - prosecuzione dell'attività economica in sede di esercizio provvisorio o di cessione di azienda.

Nel tentativo di "affinare" ulteriormente il perimetro del patrimonio iniziale del debitore sul quale procedere alla "prova di capienza", si è affermato anche che la verifica del rispetto delle cause di prelazione deve operarsi con riferimento al patrimonio esistente alla data di deposito della domanda, integrato dai flussi attivi che esso è in grado di generare; restando invece esclusi i flussi che a tale patrimonio non siano riconducibili, derivando invece da risorse esterne.

Per poi giungere alla conclusione che:

- se i flussi della continuità sono comunque generati dalla residua capacità patrimoniale del debitore, in tal caso essi sono utilizzabili solo nel rispetto della regola dell'art. 2741 c.c.;

- al contrario, se tali flussi sono resi possibili da una prosecuzione aziendale resa a propria volta possibile unicamente dall'apporto di risorse esterne da parte di un terzo, allora - in tal caso-tali flussi, in quanto generati da una finanza esterna, ne ereditano i caratteri, e risultano, quindi, liberamente distribuibili (anche perché in assenza dell'apporto del terzo, detti flussi non esisterebbero, e conseguentemente le cause di prelazione - in primis il privilegio generale mobiliare - non avrebbero oggetto alcuno su cui esercitarsi).

Il maggior valore derivante dall'attuazione del piano concordatario, rispetto a quello dell'attivo (anche potenziale) esistente al momento della domanda di concordato viene indicato col termine "surplus concordatario" (o surplus da continuità) e viene ritenuto liberamente distribuibile dal debitore alla stregua della finanza esterna.

O meglio: una parte di tale surplus concordatario (flussi generati esclusivamente per effetto dell'apporto esterno) dovrà essere destinata ai creditori concordatari per assicurare loro il miglior soddisfacimento, ma, una volta rispettato tale parametro, resteranno liberamente distribuibili.

Seguendo la tesi libertaria - allora - il professionista chiamato a predisporre l'attestazione ai sensi dell'art.186-biscomma 2 lett. b, l.fall. deve compiere una duplice verifica, rispettivamente sul piano e sulla proposta:

- che la continuità aziendale generi valore rispetto alla liquidazione, e

- che, secondo la proposta concretamente presentata dal debitore, almeno parte di tale valore venga messo a disposizione dei creditori.

Ricapitolando in pillole:

  • i flussi/le risorse generati dalla continuità sono destinati ai creditori concordatari (almeno) fino alla concorrenza del valore di liquidazione del patrimonio del debitore (comprensivo anche dei valori rinvenibili da un eventuale prevedibile esercizio provvisorio da parte del curatore fallimentare); ovviamente in tal caso valgono le regole della graduazione e del concorso di cui all'art. 2741 c.c.;
  • una volta decurtati di quanto destinato ai creditori concordatari, però, i flussi generati dalla continuità (surplus concordatario) permangano nella disponibilità del debitore, il quale li può utilizzare, al pari della nuova finanza, sia per pagare i creditori chirografari (originariamente chirografari o degradati al rango chirografario per incapienza del patrimonio) sia per la prosecuzione dell'attività d'impresa (e per il raggiungimento di un equilibrio economico – finanziario).

Spunti di riflessione

Provando a spogliarci da pregiudizi teorici, sentiamo il bisogno di dover precisare innanzitutto una cosa: qualunque tesi va misurata sul campo, confrontata coi numeri, con giudizi previsionali e – soprattutto – analizzata nel caso concreto.

I principi di diritto, interpretati in un modo o nell'altro, non sono autosufficienti per giungere ad un compiuto giudizio di ammissibilità di una domanda di concordato in continuità, anche perché le proposte e i piani di concordato possono essere assai variegati.

Crediamo che nessuno dubiti di un punto di partenza oggettivo: un concordato in continuità può esistere solo laddove esso si riveli più conveniente rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare.

L'art. 186-bis comma 2 lett. b, l.fall. ci dice anche che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato deve essere conveniente, innanzitutto, per i creditori (rectius: funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori).

Date tali premesse, come abbiamo visto, incominciano - però - ad emergere interrogativi e incertezze su alcuni concetti, in primis su quello di convenienza e/o funzionalità al miglior soddisfacimento per i creditori.

E poi, ancora, si discute anche su quale sia la "platea dei creditori" che deve essere soddisfatta "in modo migliore" rispetto ad uno scenario alternativo (scenario alternativo che, anche a nostro avviso, può essere solo quello fallimentare; almeno nel primo vaglio di ammissibilità quando non possono esistere proposte concorrenti).

Ci troviamo dinanzi a concetti ("convenienza", "funzionalità al miglior soddisfacimento") che sono per definizione elastici e che, proprio per questo, non possono coesistere - almeno secondo noi - con prese di posizione rigide.

Quindi, non ci pare corretto (e nemmeno possibile) elevare a dogma l'affermazione che tutti i flussi della continuità costituiscano "beni futuri" e, in quanto tali, debbano essere vincolati alla soddisfazione dei debiti nel rispetto delle cause legittime di prelazione.

Ciò perché è difficile sostenere che i flussi di cassa attesi dalla continuità aziendale siano sempre e comunque generati dal patrimonio del debitore.

Vi sono casi in cui i flussi della continuità non sono generati da una residua capacità patrimoniale del debitore, ma la stessa continuità (e i relativi flussi) può prospettarsi solo grazie all'apporto di risorse esterne, anche se destinate a transitare dal patrimonio del debitore (un nuovo investitore, un nuovo apporto dei soci, ecc.).

In tali casi è difficile negare l'esistenza di un "surplus", ossia qualcosa altrimenti inesistente.

E se è così (e non ci pare possibile sostenere il contrario), allora viene difficile pensare che almeno una parte di tale surplus concordatario non possa essere liberamente utilizzabile dal debitore, sia per finanziare la stessa continuità sia per offrire una percentuale di soddisfacimento ai creditori chirografari che in assenza di concordato in continuità sarebbero rimasti all'asciutto.

Viceversa, qualora i flussi della continuità (ma a questo punto: la stessa continuità) vengano prospettati in assenza di nuove risorse e/o nuovi investimenti, allora ci verrebbe più istintivo pensare che tali flussi siano generati da una residua capacità patrimoniale del debitore.

In tale diverso scenario, il concordato in continuità potrebbe anche (e ancora) essere "funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori", ma probabilmente il concetto (elastico) del miglior soddisfacimento dei creditori dovrebbe essere ricercato (e contenuto) nel perimetro delle regole dettate dagli articoli 2740 e 2741 c.c.

Ci verrebbe più difficile ipotizzare il pagamento dei creditori chirografari senza il preventivo integrale pagamento dei creditori privilegiati (e in genere degli antergati).

Ma - allo stesso tempo - si potrebbe ugualmente configurare un miglior soddisfacimento dei creditori chirografari, senza alterare le regole del concorso, attribuendo loro un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che - per esempio - può anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa (cfr. art. 84 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155 – "CCI" ).

Sulla base delle riflessioni che precedono, non ci pare così azzardato immaginare che nel concordato in "continuità diretta" la nuova finanza resti tale - quindi liberamente utilizzabile - anche se transiti nel patrimonio del debitore.

Invece, in assenza di nuove risorse, il concordato in continuità diretta sarà ammissibile solo se tutte le somme provenienti dalla continuità vengono destinate ai creditori nel rispetto delle regole dettate dagli articoli 2740 e 2741 c.c.

In quest'ultimo caso, il miglior soddisfacimento dei creditori (di rango poziore) dovrà essere ricercato in altre utilità specificamente individuate ed economicamente valutabili, ma senza possibilità di alterazione delle regole del concorso e delle cause di prelazione.

Tale apparente distonia rispetto al concordato in continuità indiretta potrebbe trovare giustificazione nel fatto che nelle due fattispecie v'è un diverso rischio per i creditori (rectius: per il patrimonio del debitore destinato al loro soddisfacimento). Rischio più alto nel caso in cui la continuità resti in capo all'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, rispetto all'ipotesi della continuità indiretta (nella quale sia prevista la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore) in cui il rischio d'impresa viene traslato su un diverso soggetto.

Conclusioni

Insomma, le questioni affrontate sono spinose, e non poco. Però - nell'ovvio rispetto delle regole - siamo certamente più propensi a soluzioni "ragionate" caso per caso piuttosto che a soluzioni che si ancorino a principi non sempre applicabili o non sempre prevalenti.

Poiché neppure il CCI (la cui entrata in vigore è attualmente rimandata a settembre 2021) è in grado di dissipare ogni dubbio sul punto, forse un intervento della Cassazione potrebbe aiutare a fare chiarezza e a meglio orientare gli operatori del diritto, che diversamente continueranno a muoversi su un terreno sempre molto scivoloso, con una giurisprudenza di merito molto variegata e addirittura in grado di cambiare orientamento all'interno dello stesso Ufficio, con buona pace per la certezza del diritto.