Legittimità costituzionale dei rimedi preventivi quali condizioni di ammissibilità della domanda di indennizzo per irragionevole durata del processo civile

Rosaria Giordano
12 Agosto 2020

La questione posta all'esame della Corte costituzionale attiene alla compatibilità con l'art. 6 della CEDU (in rilievo quale parametro cd. interposto ex artt. 11 e 117, comma 1, Cost.) degli artt. 1-bis ed 1-ter della legge Pinto, introdotti dalla legge n. 208/2015, che prevedono quali rimedi preventivi che condizionano l'ammissibilità della domanda di equa riparazione ai sensi della stessa legge n. 89/2001 l'introduzione della causa con rito sommario di cognizione ovvero la richiesta di conversione della stessa in tale rito ex art. 183-bis c.p.c. o, ancora, l'istanza di decisione orale della controversia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.
Massima

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale avente degli artt. 1-bis, comma 2, 1-ter, comma 1, e 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, laddove introducono nel processo civile presupposto rimedi preventivi che condizionano la proponibilità della domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata del giudizio sollevata, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Il caso

L'art. 1-ter della legge n. 89/2001, cd. Pinto, come modificata dalla legge n. 208 del 2015, condiziona l'ammissibilità della domanda di indennizzo per l'irragionevole durata di un processo civile all'esperimento nel processo civile del quale si lamenta l'eccessiva durata di alcuni rimedi preventivi ed, in particolare, alla scelta del rito sommario cognizione ovvero, nell'ipotesi in cui il giudizio si stia svolgendo secondo le previsioni del rito ordinario di cognizione, alla circostanza che, entro sei mesi prima della scadenza del termine massimo di durata del giudizio, in relazione al grado di riferimento, la parte abbia richiesto la conversione del procedimento in quello sommario ex art. 183-bis c.p.c. ovvero la pronuncia di sentenza orale ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.

A fronte di tale assetto normativo la Corte di appello di Napoli era chiamata a decidere sull'opposizione promossa avverso il decreto con il quale, in sede monitoria, la stessa Corte aveva dichiarato l'inammissibilità della domanda di equa riparazione, poiché nel processo cd. presupposto la parte non aveva attivato alcuno dei rimedi preventivi previsti (o, rectius, quello della richiesta di emanazione della sentenza ex art. 281-sexies c.p.c., che era l'unico rimedio applicabile considerata la disciplina applicabile ratione temporis).

La Corte d'appello, in composizione collegiale, ha adito la Corte costituzionale, assumendo la non manifesta infondatezza del contrasto del delineato sistema normativo con gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui condizionando la proponibilità della domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata di un giudizio all'attivazione di tali rimedi preventivi impone alla parte interessata adempimenti di carattere meramente formale che compromettono l'effettività del rimedio interno, come riconosciuto, a seguito della pronuncia Olivieri c. Italia della Corte europea dei diritti dell'uomo, anche dalla Corte costituzionale (mediante la sentenza n. 34 del 2019) relativa all'istanza di prelievo nel processo amministrativo.

La questione

La questione posta all'esame della Corte costituzionale attiene, quindi, alla compatibilità con l'art. 6 della CEDU (in rilievo quale parametro cd. interposto ex artt. 11 e 117, comma 1, Cost.) degli artt. 1-bis ed 1-ter della legge Pinto, introdotti dalla legge n. 208/2015, che prevedono quali rimedi preventivi che condizionano l'ammissibilità della domanda di equa riparazione ai sensi della stessa legge n. 89/2001 l'introduzione della causa con rito sommario di cognizione ovvero la richiesta di conversione della stessa in tale rito ex art. 183-bis c.p.c. o, ancora, l'istanza di decisione orale della controversia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

La Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione sollevata dalla Corte d'appello di Napoli, assumendo, a differenza del giudice rimettente, che la fattispecie prospettata non potesse considerarsi analoga a quella decisa, con una pronuncia di accoglimento, dalla stessa Corte con la sentenza n. 34/2019 con riguardo all'istanza di prelievo nel processo amministrativo (nonché con la successiva sentenza n. 169/2019, concernente l'istanza di accelerazione nel processo penale).

È opportuno ricordare che, mediante la sentenza n. 34/2019, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dei medesimi parametri, l'art. 54, comma 2, del d.l. n. 112/2008, conv., con modif., nella legge n. 133/2008, secondo cui la domanda di equa riparazione per l'eccessiva durata del processo non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'art. 2, comma 1, della legge n. 89/2001 (cd. legge Pinto), non è stata presentata l'istanza di prelievo di cui all'art. 71, comma 2, cod. proc. amm.

Tale pronuncia di accoglimento ha richiamato in motivazione il contrasto della predetta disciplina con il principio enunciato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo con la pronuncia Olivieri e altri contro Italia del 22 febbraio 2016, la quale aveva affermato che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo non poteva considerarsi un rimedio effettivo ai sensi dell'art. 13 della CEDU, soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l'esame dell'istanza di prelievo. Nella prospettiva della Corte di Strasburgo, condivisa dalla Corte costituzionale nella decisione n. 34/2019, invero la mancata presentazione dell'istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell'interesse della parte alla decisione del ricorso, che può assumere rilievo ai fini della quantificazione dell'indennizzo, ma non può condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.

Diversa è la soluzione che ha deciso di adottare, a distanza di poco più di un anno, la stessa Corte costituzionale con la pronuncia in comento, in relazione ai rimedi preventivi all'azione indennitaria per irragionevole durata del processo civile di cui agli artt. 1-bis e 1-ter della legge Pinto.

La Corte Costituzionale ha in particolare motivato la propria decisione di rigetto sottolineando che la normativa denunciata subordina l'ammissibilità della domanda di equo indennizzo per la durata irragionevole del processo non già alla proposizione di un'istanza con effetto dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” ‒ che si riduce ad un adempimento solo formale ‒ bensì alla proposizione di possibili, e concreti, “modelli procedimentali alternativi”, volti ad accelerare il corso del processo, prima che il termine di durata massima sia maturato.

In particolare, quanto all'istanza di decisione della controversia secondo il modulo della decisione a seguito di trattazione orale ex art. 281-sexies c.p.c. la stessa non potrebbe, secondo quanto affermato dalla pronuncia in esame, considerarsi un atto formale, in quanto volta ad attivare un rimedio in forma specifica, suggerendo al giudice l'utilizzo di «modelli sub-procedimentali (rientranti nel quadro dei procedimenti decisori previsti dal regime processuale), teleologicamente funzionali al raggiungimento di tale scopo, con effettiva valenza sollecitatoria».

Pur non analizzando anche il rimedio preventivo correlato all'introduzione ovvero all'istanza di conversione del rito in quello sommario di cognizione, la Corte costituzionale sembra effettuare un discorso di carattere generale con riferimento ai rimedi cd. preventivi contemplati dalla legge Pinto per il processo civile, ritenendo che gli stessi integrano forme di collaborazione della parte con l'autorità giudiziaria con le quali viene manifestata la disponibilità al passaggio al rito semplificato o al modello decisorio concentrato, in tempo potenzialmente utile ad evitare il superamento del termine di ragionevole durata del processo stesso (e che consentono, poi, se utilizzati, di proporre la domanda di equa riparazione ove tale superamento non venga scongiurato).


La Corte sottolinea che quella del legislatore è un'opzione legittima del nel quadro di un bilanciamento di valori di pari rilievo costituzionale, ossia, per un verso, il diritto di difesa e, per un altro, la ragionevole durata del processo, aggravata dal «flusso indiscriminato dei procedimenti per equo indennizzo ex lege n. 89/2001» e che quindi la sanzione dell'inammissibilità della domanda per l'ipotesi nella quale tali rimedi preventivi non vengano attivati non è sproporzionata né irragionevole.

Osservazioni

La soluzione affermata dalla Corte costituzionale, pur pregevolmente argomentata, non convince.

Invero, a fronte dell'istanza della parte all'autorità giudiziaria a mutare il rito in quello sommario di cognizione ovvero a decidere secondo il modulo della sentenza cd. a verbale ex art. 281-sexies c.p.c. non vi è alcun obbligo del giudice né di accogliere, né di pronunciarsi su detta istanza che, quindi, non sembra in concreto (o, almeno, nei risultati) differenziarsi dall'istanza di rilievo nel processo amministrativo, ritenuta per tale ragione dalla medesima sentenza della Corte costituzionale n. 34/2019, un adempimento meramente formale in contrasto con gli artt. 6 e 13 CEDU.

Non appare infatti decisiva ai fini dell'espressione di un differente indirizzo l'argomentazione che fa leva sulla circostanza che si tratterebbe di condotte della parte di carattere collaborativo con l'autorità giudiziaria, in quanto sia la giurisprudenza europea che quella di legittimità hanno sempre considerato il comportamento delle parti quale indice concreto per valutare, nel merito, se la durata irragionevole del processo presupposto (o parte di essa) è dipesa da una condotta della parte, non già condizionando la procedibilità della domanda di indennizzo a tale comportamento. In sostanza, come ribadito anche nella pronuncia resa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in data 22 febbraio 2016, in relazione al caso Olivieri e altri c. Italia, una condotta inerte, abusiva o poco collaborativa della parte può incidere sul diritto all'indennizzo o sull'entità dello stesso, ma non condizionare la proponibilità della domanda di equa riparazione.

Nell'indicata prospettiva, non appare peregrino che l'ineffettività del rimedio interno per i profili esaminati dalla Corte Costituzionale nella pronuncia in esame sarà dichiarata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.