Il suicidio, la sua agevolazione, l'eutanasia

Massimo Dogliotti
17 Agosto 2020

Questione tradizionalmente assai dibattuta è quella sulla presunta esistenza di una facoltà di suicidio. In effetti la concezione, oggi ampiamente superata, che modellava i diritti della personalità...
Il suicidio e la sua agevolazione

Questione tradizionalmente assai dibattuta è quella sulla presunta esistenza di una facoltà di suicidio. In effetti la concezione, oggi ampiamente superata, che modellava i diritti della personalità (e quindi anche il diritto alla vita) come assoluti iura in se ipsum, sostanzialmente assimilabili al diritto di proprietà, non poteva che condurre ad affermare la liceità del suicidio, come ampia possibilità di "autodeterminazione" dell'individuo fino alla eliminazione della propria vita.

Si affermò così che l'uomo, come ha diritto di vivere, così avrebbe diritto di morire, e l'interesse della società può vincolare la sua attività solo finché ne è parte, ma non quando egli ritenga di por termine a tale rapporto di appartenenza, precisandosi altresì che, non essendo punibile né il suicidio né il tentato suicidio, tale atto dovrebbe ritenersi pienamente lecito; si è opposto peraltro che la non punibilità si giustificherebbe con il fatto che il suicida è comunque meritevole di compassione, che, in ogni caso, non sarebbe neppure possibile l'irrogazione di una pena, che infine l'assenza stessa di una sanzione civile è dovuta principalmente alla circostanza che il danneggiato in via principale è colui appunto che ha commesso il fatto (Nella dottrina tedesca, v. già GAREIS, Das Recht am menschlichen Korper, Koningsberg, 1901, 41; in una prospettiva parzialmente differente, cfr. pure FADDA-BENSA, Note alle Pandette di Windsheid, Torino, 1902, I, 604; nel settore penale, v. il classico FERRI, L'omicidio-suicidio, Torino, 1892, 19 ss.; più recentemente CALVI, Suicidio e legge penale, in De Leo, Pavan (a cura di), Suicidio: verso nuove strategie preventive, Padova 1994, 246; Seminara, Sul diritto di morire e sul divieto di uccidere, in Dir. Pen. Proc. 2004, 533; Manna, Sub artt.579. 580 c.p., in Manna (a cura di), Reati contro la persona I, Torino 2007, 40).

Si è da altri sostenuto che il suicidio costituirebbe comunque atto illecito o, ancora, che esso non si configurerebbe né come illecito, né come esercizio di un diritto (Già contestava la tesi del "diritto al suicidio", RAVA', I diritti sulla propria persona nella scienza e nella filosofia del diritto, 150; ma v. pure sul punto, DE CUPIS, I diritti della personalità, Milano 1982, 96; cfr., per un'ampia ed accurata impostazione del problema, NUVOLONE, Linee fondamentali si una problematica giuridica del suicidio, in Suicidio e tentato suicidio in Italia, Milano, 1967, 235 ss.).

Si ricorda, talora, che costituisce reato l'istigazione o l'aiuto ai suicidio (art. 580 c.p.), osservandosi che la sua illiceità pure si desumerebbe dal fatto che il consenso del soggetto passivo non esclude l'antigiuridicità del fatto lesivo, degradandolo soltanto a reato di minor gravità (omicidio del consenziente: art. 579 c.p.) o ancora che, nella disciplina del codice civile, tale illiceità emergerebbe, con chiarezza, dal disposto stesso dell'art. 5 c.c., vietante gli atti di disposizione del proprio corpo che cagionino una diminuzione permanente della propria integrità fisica, e quindi, a maggior ragione, il suicidio stesso; del resto, alla luce dei principi costituzionali, tale atto potrebbe forse configurarsi quale violazione degli obblighi di solidarietà di cui all'art. 2, cui l'individuo e tenuto in quanto membro della collettività (Cfr., al riguardo, Romboli, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 244. E v. pure RESCIGNO, La fine della vita umana, in Riv. dir. civ., 1982, I, 655; MARRA, Suicidio, diritto e anomia, Napoli, 1987, 246 ss. In prospettiva generale, Dell'Utri , in Comm. cod. civ. Gabrielli, Delle persone, Torino, 2012, 420 ss.; BECCHI, Quando la vita finisce. La morale e il diritto di fronte alla morte, Roma, 2009; DOGLIOTTI, Persone fisiche in Trattato Bessone, Torino 2014, 45 ss.).

È' indubbio che l'art. 580 c.p. nella prospettiva del legislatore penale e dell'ideologia all'epoca imperante, proteggeva la vita dell'individuo come bene sostanzialmente non disponibile e, conseguentemente, il suicidio, come atto di chi, togliendosi la vita, diveniva una sorta di “traditore”, facendo venir meno il suo contributo alla grandezza e potenza della Patria (Cfr. la relazione del Guardasigilli al progetto definitivo del codice penale, Roma 1929, 673. E v. pure, specificamente Morrone, Il caso “Cappato” davanti alla Corte Costituzionale. Riflessioni di un costituzionalista in Forum Quaderni cost., 2018, 5) (e tuttavia analoga norma incriminatrice era presente nel “liberale” codice Zanardelli del 1889).

Non si giungeva peraltro a sanzionare il suicida nel caso di reato tentato (del resto la storia del diritto penale, soprattutto prima della Rivoluzione francese, aveva spesso sanzionato il tentativo, e talora aveva considerato addirittura misure persecutive contro il cadavere e comunque contro il patrimonio del defunto, oltre al comune divieto del seppellimento in terra consacrata) ma si attuava (e permane) una protezione indiretta della vita, sanzionandosi chi avesse contribuito alla realizzazione del suicidio di altri.

La dottrina è spesso critica sulla permanenza del reato. ( Al riguardo cfr.; Portigliatti Barbos, Diritto a morire, in Dig. Pen. IV Torino 1990, 1; Todini, Riflessioni in tema di diritto di morire con dignità e di aiuto a morire, in Giust. Pen. 2000, II, 193; Bifulco, Esiste un diritto al suicidio nella CEDU, in Quaderni Cost. 2003, 166; Mantovani, Persona (delitti contro la), in Enc. Dir. Agg., Milano 2008, 841).

La giurisprudenza, non molto frequente, è alquanto ondivaga: talora dà interpretazioni molto rigide, talora meno rigorose (Cass.pen. 12 marzo 1998 n. 3147 intende la nozione di “aiuto” penalmente rilevante nel senso più ampio: ogni tipo di contributo all'attuazione del progetto, indipendentemente dall'incidenza sul progetto deliberativo; al contrario, quanto al “rafforzamento” del proposito, Cass. pen. 28 aprile 2010 n. 22782 lo considera rilevante solo se sussista prefigurazione del suicidio come dipendente dalla condotta dell'agevolante; Cass. pen. 26 ottobre 2006 n. 3924 richiede la consapevolezza della serietà del proposito. Infine Cass. 23 novembre 2017 n. 57503 afferma che non sussiste istigazione se ad essa non segua un suicidio consumato o tentato con lesioni gravi o gravissime).

L'eutanasia

Tradizionalmente collegato al suicidio (e alla sua agevolazione) è il problema della c.d. eutanasia. Si e infatti sostenuto che non si potrebbe parlare di omicidio del consenziente, quando l'ucciso fosse affetto da grave e incurabile malattia, sottoposto a gravi sofferenze, mancando in tal caso il dolo e sussistendo al contrario uno spirito di compassione e pieta. Prevaleva, fino a tempi abbastanza recenti, l'opinione contraria; cosi nella stessa Relazione ministeriale al codice penale si affermava che per l'eutanasia non vi era motivo di distinguere: se il malato fosse stato in grado di prestare il proprio consenso, si sarebbe applicata la norma dell'omicidio del consenziente, in caso contrario si sarebbe trattato di vero e proprio omicidio, salva la possibilità di valutare le ragioni di pietà, come circostanze attenuanti di cui all'art. 62, n. 1 (motivi di particolare valore morale e sociale (Cosi la Relazione del Guardasigilli , cit. 661; su tale questione cfr., per tutti, PORZIO, voce Eutanasia, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 103 ss.; PAJARDI, Un problema antico e nuovo: l'eutanasia, in Mon. trib., 1976, V, 428.).

La questione è divenuta di drammatica attualità, in presenza di due casi che hanno diviso ed infiammato l'opinione pubblica: nell'uno, un soggetto in stato di totale immobilità, determinato da una gravissima patologia degenerativa, con sicuro esito infausto, chiedeva la cessazione dell'attività di sostentamento a mezzo di ventilatore artificiale e la somministrazione di una terapia sedativa terminale, nell'altro il genitore, tutore della propria figlia, interdetta da lungo tempo per la sopravvenuta incapacità di intendere e di volere a seguito di incidente stradale, e in stato vegetativo permanente, ha ripetutamente richiesto un ordine di interruzione del trattamento di alimentazione artificiale che teneva in vita la tutelata. Un provvedimento di urgenza (Trib. Roma 16 dicembre 2006, in questa rivista 2007, 292, con commento di CAMPIONE )

Un provvedimento di urgenza, riguardo al primo caso, aveva dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c., escludendo la possibilità di far valere nel successivo giudizio di merito il "diritto" al distacco dei mezzi di respirazione artificiale, stante l'assenza di una definizione normativa di "accanimento terapeutico". La richiesta è stata successivamente accolta da un medico anestesista, in quanto ritenuta conforme al principio di autodeterminazione dell'individuo e ai valori cui deve ispirarsi il rapporto di cura.

Ancor più problematica la seconda fattispecie: i provvedimenti giurisdizionali sono stati numerosi, giungendosi per ben tre volte davanti alla Corte di Cassazione (Cass. 20 aprile 2005, n. 891, in Fam. dir., 2005, 481, con commento di CASSANO; Cass.16 ottobre 2007, n. 21748, ivi, 2008, 129, con commento di CAMPIONE; Cass. S.U., 13 novembre 2008, n. 27145). Particolarmente rilevante una delle pronunce suindicate (Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748, cit.), ove si precisa che il rappresentante legale è legittimato ad esprimere il consenso informato in luogo dell'incapace e a scegliere l'interruzione dei trattamenti sanitari, ove tale scelta risponda all'interesse del paziente. La sospensione del trattamento idoneo a tenere in vita il paziente — secondo la Suprema Corte — può avvenire, se questi versi in uno stato vegetativo irreversibile, e se la relativa istanza risulti espressione della sua volontà, come emergente da sue dichiarazioni pregresse, ma pure, in mancanza, da una valutazione globale della sua personalità, del suo stile di vita, delle sue convinzioni e del modo di concepire la nozione stessa di dignità della persona. Ritenendo sussistenti tali presupposti (in particolare le convinzioni e il modo di concepire la dignità della persona, da parte della paziente), il giudice del rinvio ha autorizzato l'interruzione del trattamento, volto a mantenere artificialmente in vita la paziente stessa (App. Milano 9 luglio 2008, in Fam. dir., 2008, 903, con nota di PACIA).

La dottrina ha in genere espresso apprezzamento per la (sofferta) pronuncia della Suprema Corte e del giudice del rinvio, anche se non sono mancate voci profondamente critiche (Tra i commenti più o meno favorevoli, cfr. FRANZONI, Testamento biologico, autodeterminazione e responsabilità, in Resp. civ., 2008, 588; CALO' La Cassazione 'vara" il testamento biologico, in Corr. Giur., 2007, 1686; VENCHIARUTTI, Stati vegetativi permanenti: scelte di cura a incapacità, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 100; ROMBOLI, Il caso Englaro: la Costituzione, come fonte immediatamente applicabile dal giudice, in Quaderni cost., 2008, 92. Fortemente critici, al contrario, sono apparsi GAZZONI, Sancho Panza in Cassazione (come si riscrive la norma sull'eutanasia, in spregio al principio della divisione dei poteri), in Dir. fam. pers., 2008, 107; OPPO, Profili giuridici dei confini artificiali imposti alla vita umana, in Riv. dir. civ., 2008, I, 374).

La l. 219/2017 sul consenso informato e le d.a.t.

Il quadro normativo è stato profondamente modificato dalla recente l. 22/12/2017 n. 219 sul consenso informato e sulle direttive anticipate di trattamento (Tra i primi contributi cfr. TAGLIAFERRI, bussola Disposizioni anticipate di tattamento (DAT), in IlFamiliarista; BORSELLINO, Bioetica tra "morali” e diritto, Milano 2018, passim, ma, in particolare, 112 ss. e 179 ss.; BALDINI, l. n. 219/2017 e Disposizioni anticipate di trattamento, in Fam.Dir. 2018, 803; DE FILIPPIS, Biotestamento e fine vita. Nuove regole nel rapporto medico-paziente: informazioni, diritti, autodeterminazione, Padova 2018. Cfr. pure DOGLIOTTI, Capacità, incapacità, diritti degli incapaci. Le misure di protezione, in Trattato CICU-MESSINEO, Milano 2019, 52 ss.)

Il malato deve essere informato, in modo completo e comprensibile, sulle proprie condizioni di salute, diagnosi, prognosi, benefici e rischi dei trattamenti proposti, possibili alternative, conseguenze sanitarie del rifiuto o della rinuncia al trattamento stesso o, ancor prima, sull'accertamento diagnostico. II paziente può consentire agli accertamenti diagnostici e ai trattamenti oppure rifiutarli, anche quando si tratti di interventi necessari alla sua sopravvivenza (ivi comprese la nutrizione e idratazione artificiale).

Si precisa, all'art. 2, che il medico, anche in caso di rifiuto del trattamento, deve adoperarsi per alleviare le sofferenze del paziente; è escluso ogni accanimento terapeutico, e, in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti, si può) ricorrere alla sedazione palliativa profonda. Ma, anche in tal caso potrebbe esservi un rifiuto del paziente che voglia rimanere consapevole fino alla fine. Non è invece prevista la somministrazione di un farmaco letale.

Aspetto particolarmente interessante attiene alle disposizioni anticipate di trattamento per cui ii soggetto maggiorenne e capace di intendere e di volere in previsione di un'eventuale futura incapacità, ed essendo stato adeguatamente informato dal medico, può esprimere la propria volontà in materia di trattamenti sanitari in linea generale o particolare. Egli indica una persona di sua fiducia, che a sua volta deve essere maggiorenne e capace di intendere e di volere. Il "fiduciario" farà le veci del paziente e lo rappresenterà nelle relazioni con il medico e le strutture sanitarie. La forma è solenne: atto pubblico, scrittura privata autenticata o scrittura privata consegnata personalmente dal disponente all'ufficiale dello stato civile per l'annotazione su apposito registro; il fiduciario sottoscrive il documento o accetta successivamente, con atto scritto da allegarsi al primo.

La giurisprudenza della Corte EDU

Va precisato che la Corte europea dei diritti dell'uomo, in una delle rare pronunce in ordine al suicidio e alla sua agevolazione,( Corte EDU, 29 luglio 2002, P. v. United Kingdom) aveva escluso l'esistenza di un diritto al suicidio, affermando che il diritto alla vita di cui all'art. 2 Convenzione europea dei diritti dell'uomo, non può essere interpretato, se non con una distorsione linguistica, come diritto a morire, a scegliere la morte piuttosto che la vita con le proprie mani , con mano altrui o con l'assistenza della pubblica autorità. E tuttavia aggiungeva la Corte europea che ciascun Stato aderente può regolare il suicidio assistito senza che ciò violi l'art. 2 predetto. In una decisione successiva di circa dieci anni dopo la stessa Corte (Corte EDU 20 gennaio 2011, H. c. Suisse) afferma che il diritto alla vita include anche la scelta di concluderla, in conformità agli artt. 8 e 2 della predetta Convenzione, purchè la volontà della persona sia chiara, consapevole, lucida, cosciente.

La sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019

La Corte Costituzionale (Corte Cost. 22 novembre 2019 n. 242), dichiara la parziale incostituzionalità dell'art. 580 c.p.. Essa richiama ampiamente i contenuti della L. n. 219 del 2017, imponendola come presupposto e antecedente logico della propria decisione. Con essa – prosegue la Corte - diventa ammissibile la scelta del malato di pervenire alla morte, richiedendo l'interruzione dei trattamenti di sostegno vitale in atto e di contestuale sottoposizione a sedazione profonda e continua, mentre il medico non può sottrarsi a tale scelta.

Ravvisa la Consulta, a questo punto, un'ipotesi di non conformità costituzionale della fattispecie criminosa: nella nostra legislazione (e, in particolare, nella L. 219) non è consentito al medico di porre in essere trattamenti diretti , volti a determinare la morte del malato, e ciò diventerebbe addirittura irragionevole, oltre che in contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost., quando, come nella specie, il paziente rifiuti l'interruzione dei trattamenti di sostegno vitale, perché ciò non gli assicurerebbe una morte rapida, non essendo egli totalmente dipendente dal respiratore artificiale: la sedazione profonda sino alla morte per alcuni giorni gli apparirebbe meno dignitosa di fronte alla volontà consapevole di darsi la morte mediante sostanza appropriata. In tal caso il divieto assoluto di aiuto al suicidio, come riconosce la stessa Consulta, porrebbe limiti ingiusti e irrazionali (nella specie l'imputato era il soggetto che aveva accompagnato il malato in una clinica svizzera, dopo che questi già aveva autonomamente deliberato di por fine alla propria vita).

La Corte peraltro finisce per escludere l'incriminazione dell'agevolazione al suicidio con riguardo a persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, e affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che essa ritiene intollerabile, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Dunque si attribuisce al malato la scelta di far interrompere il sostegno vitale o prendere la sostanza che lo condurrà in breve tempo alla morte, anche se egli non si trovi nella situazione del tutto peculiare al paziente in questione, per il quale sarebbe stata necessaria una sedazione di alcuni giorni, ma pure in un'altra, per cui, con il distacco dai macchinari vitali, la morte interverrebbe in brevissimo tempo (ma il soggetto voglia comunque scegliere autonomamente!).

Alcune domande peraltro si presentano immediatamente. Se il paziente, in tale condizione, non fosse pienamente consapevole? Potrebbero valere per questi casi le Direttive anticipate, cui si è già fatto riferimento? O si dovrebbe sollevare questioni di legittimità costituzionale, al riguardo, della L. 219, che non lo prevede?

Una tecnica nuova

La Corte Costituzionale ha utilizzato una tecnica nuova: sulla vicenda essa aveva già emesso un'ordinanza(Corte cost. 23 ottobre 2018 n. 207) , in cui sostanzialmente si pronunciava sulla fondatezza della questione ma sospendeva il giudizio, con un rinvio di circa un anno, invocando un intervento del Parlamento che non è mai venuto (Sono attualmente cinque le proposte di legge presso la Camera dei Deputati: proposta di iniziativa popolare, depositata il 13 settembre 2013, che sopravvive per due legislature; ddl Cecconi n, 1586 ,depositato l 11 febbraio 2019; ddl Rostan n. 1635 depositato il 7 marzo 2019; ddl. Sarli n. 1875, depositato il 30 maggio 2019 ; ddl. Pagano n. 1888 depositato il 5 giugno 2019. Manca a tutt'oggi un testo unificato). Trascorso il termine essa ha pronunciato l'incostituzionalità della norma (la tecnica inusuale ha suscitato ampio dibattito in dottrina: in diversa prospettiva, Bignami, Il caso CAPPATO alla Corte Costituzionale: un'ordinanza ad incostituzionalità differita, in Quest. Giust. 19 novembre 2018; MASONI, Riflessioni su suicidio, suicidio assistito, interruzione della cura ed eutanasia, alla luce di Corte Cost. n. 207/2018 in Dir. Fam. 2019, 465; FALLETTI, Suicidio assistito e separazione dei poteri dello Stato in Fam. Dir. 2019, 235).

In casi simili, la Corte aveva dichiarato inammissibile la questione, con un invito al Parlamento a legiferare e ad eliminare così, per quella via, l'incostituzionalità della norma; se il richiamo rimaneva inascoltato non restava ad essa che attendere una nuova questione di legittimità costituzionale, che a questo punto sarebbe stata accolta ( e ciò, magari, molto tempo dopo, mentre la norma, inficiata di incostituzionalità avrebbe continuato a mantenere piena efficacia (Tra le altre, Corte cost. n. 45/2015).

A questo punto, come si diceva, dopo l'udienza di rinvio, la Consulta dichiara la parziale incostituzionalità della norma. Ma essa ritiene di dover colmare “l'intollerabile vuoto di tutela” che deriverebbe dalla sua pronuncia. E, a tal fine richiama la procedura prevista dalla L. 219, più volte ricordata, per la sospensione delle cure, e ritiene di applicarla alla somministrazione di farmaci letali: (così riferendosi a tale legge, non solo per giustificare l'incostituzionalità della norma, ma pure per superare l'affermato vuoto normativo, con l'effetto peraltro di ridurre ulteriormente l'area della dichiarazione di incostituzionalità) : manifestazione di volontà del malato documentata in forma scritta , attraverso video registrazioni; ovvero con dispositivi che permettano alla persona disabile di comunicare; prospettazione da parte del medico delle possibili alternative; verifica delle condizioni, affidata a strutture pubbliche, previo (addirittura) parere dei Comitati etici, organismi disciplinati dall'art. 2 d.l. n. 158 del 2012, convertito in legge con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, nonchè dall'art. 1 decreto Ministro della salute 8 febbraio 2013 . Se non si rispettassero tali procedure, permarrebbe l'agevolazione al suicidio…

Nulla quaestio, se fosse stata sollevata la legittimità costituzionale della L. 219, là dove essa non prevede l'uso di sostanze letali ( e , in tal caso, come si diceva, la questione di incostituzionalità potrebbe riguardare la mancata previsione di un uso futuro di tali sostanze nelle Direttive anticipate), ma qui si tratta di valutare una norma incriminatrice! Probabilmente i giudici della Consulta pensano all'”aiuto” corrisposto dal medico. Ma che dire del caso in esame? Come si è visto, un soggetto si è offerto di accompagnare il malato nel luogo dove potrebbe essere praticata la somministrazione del farmaco. Sarebbe incriminato in virtù di circostanze che non dipendono da lui e che egli non sarebbe tenuto a conoscere? Evidentemente, proprio tenendo conto di ciò, la Corte ha precisato che le condizioni procedurali indicate non possono essere richieste per fatti anteriori commessi, come quello oggetto del giudizio de quo. E' evidente peraltro che tale precisazione non risolve affatto il problema…Diventa a questo punto sempre più urgente l'intervento del legislatore…

Certo è che, con sentenza n. 8/19 del 5 febbraio 2010 (in IlFamiliarista) la Corte d'assise di Milano ha assolto Marco Cappato dal reato di istigazione al suicidio “perché il fatto non sussiste”.

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