L'ingiustificato arricchimento e il principio di non contestazione in caso di sopravvenuta interruzione di una relazione sentimentale

Federico Colangeli
18 Agosto 2020

La Corte di merito, con siffatta affermazione, e con la statuizione adottata sul presupposto della stessa, è incorsa nella denunciata violazione dell'art. 115 c.p.c. e art. 2041 c.c., non essendo previsto, in relazione...
Massima

La Corte di merito, con siffatta affermazione, e con la statuizione adottata sul presupposto della stessa, è incorsa nella denunciata violazione dell'art. 115 c.p.c. e art. 2041 c.c., non essendo previsto, in relazione all'azione ex art. 2041 c.c. un regime probatorio "speciale" che non contempli, in particolare, anche il ricorso al principio della non contestazione, osservandosi che tale principio, prima che fosse riformato l'art. 115 c.p.c., è stato ritenuto comunque già applicabile e fondato sulla lettera dell'art. 167 c.p.c., che impone al convenuto di prendere posizione in comparsa di risposta sui fatti posti dall'attore, che l'onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti e che l'accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero di una non contestazione, rientra nel quadro dell'interpretazione del contenuto e dell'ampiezza dell'atto della parte, ed è rimessa all'apprezzamento del giudice di merito.

Il caso

Nel 2002 veniva citato in giudizio, innanzi al Tribunale di Bologna, il padre della ex compagna di uno dei due attori in causa, i quali riferivano che, in virtù di una relazione sentimentale in allora esistente, il convenuto aveva concesso alla coppia l'uso di un appartamento, di cui era proprietario, dietro l'accordo che il compagno della figlia avrebbe, a sua cura e spese, ristrutturato e arredato l'immobile de quo.

Inoltre, in cambio di ciò, parte convenuta si sarebbe impegnata a rinunciare all'incasso dei canoni locativi dovuti fino alla totale compensazione reciproca delle rispettive poste di credito.

Poco dopo aver concluso i lavori di ristrutturazione e aver ricevuto tutti gli arredi di casa, la coppia interrompeva il proprio rapporto affettivo, senza aver potuto in alcun modo usufruire dell'immobile stesso.

Per contro il padre della ex compagna, dopo aver fatto cambiare la serratura, vendeva a terzi l'appartamento ristrutturato ed arredato, nulla riconoscendo, dal punto di vista economico, all'allora compagno della figlia.

Quest'ultimo, unitamente al proprio genitore, che aveva contribuito alle spese di ristrutturazione e all'acquisto degli arredi immobiliari, esperiva giudizialmente l'azione generale di arricchimento ex art. 2041 e ss. c.c.

Da parte sua, il convenuto chiedeva il rigetto di detta domanda giudiziale, eccependo sia l'insussistenza di qualsiasi intesa economica tra di lui e l'ex compagno della figlia, sia l'assenza di necessità a procedere alla ristrutturazione e all'arredamento dell'abitazione in oggetto, lasciando con ciò intendere che ogni decisione, occorsa in merito, fosse da imputarsi all'esclusiva discrezionalità delle parti attrici.

Con la sentenza Cass. civ. n. 4916/2009 del 17.11.2009 il giudice di primo grado rigettava la domanda e compensava interamente le spese di lite tra le parti.

Quindi, i soccombenti decidevano di appellare tale decisione, ma con la sentenza n. 1453/2015 del 17.08.2015 il giudice di secondo grado rigettava il gravame, confermava la sentenza impugnata e disponeva l'integrale compensazione tra le parti delle spese del relativo grado di giudizio.

Nei confronti di quest'ultimo provvedimento, gli appellanti ricorrevano per cassazione, adducendo tre motivi di diritto, mentre la parte avversa resisteva mediante controricorso.

La questione

Il primo motivo di gravame rappresenta certamente la questione di maggior interesse nell'ordinanza in commento.

I ricorrenti censurano, infatti, l'erronea applicazione, da parte della Corte territoriale bolognese, del principio della non contestazione dei fatti, con specifico riferimento alla verifica dei presupposti giuridici, ai fini della configurazione dell'azione ex art. 2041 c.c.

In particolare, nel corso del precedente processo d'appello, gli attori avevano denunciato che, in primo grado, la difesa di controparte aveva costantemente omesso di prendere posizione su talune circostanze fondamentali e decisive per il giudizio, quali l'avvenuta realizzazione degli interventi di ristrutturazione immobiliare e l'adeguatezza di questi ultimi ai relativi costi affrontati dall'ex compagno della figlia del convenuto e dal padre del primo.

La difesa degli appellanti argomentava conclusivamente che una corretta applicazione del principio sancito dall'art. 115 c.p.c., come parzialmente innovato a seguito della riforma processuale del 2009 (l. n. 69 del 18.06.2009), comportava necessariamente una decisione a loro favorevole, poiché la non contestazione ex adverso dei fatti sopra dedotti integrava, in tutto e per tutto, gli elementi costitutivi dell'azione sussidiaria di cui all'art. 2041 c.c., con specifico rilievo alla “locupletazione di un soggetto a danno di un altro senza giusta causa” (V., pag. 5 dell'Ordinanza in commento).

Le soluzioni giuridiche

La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, nel pronunciarsi sulla fondatezza del primo motivo di ricorso, fornisce la giusta interpretazione delle norme ivi menzionate.

Gli ermellini, infatti, rigettando in toto l'argomentazione giuridica della Corte d'appello felsinea, secondo la quale «Scartato subito il principale argomento di … omissis …, e cioè che né nel processo né in precedenza, controparte avesse mai mosso contestazioni circa l'effettiva esecuzione dei lavori, posto che l'enunciato criterio di liquidazione, quello dell'effettiva perdita patrimoniale, richiede la prova, più ampia, della precisa entità dei costi affrontati, si tratta di riesaminare il materiale probatorio …», ribadiscono l'applicabilità del principio della non contestazione anche all'azione di ingiustificato arricchimento (Cfr., pag. 5 dell'Ordinanza in commento).

Peraltro, i giudici di legittimità precisano, altresì, che il principio processuale dai ricorrenti invocato era già presente, seppur implicitamente, nell'ordinamento processuale italiano all'art. 167 c.p.c., ancor prima che la Legge di riforma del rito civile n. 69 del 2009 lo introducesse in maniera esplicita all'art. 115 c.p.c., rubricato “Disponibilità delle prove”.

Dunque, il convenuto nella propria comparsa di costituzione e risposta è tenuto ex lege a prendere posizione sui fatti, di carattere principale, posti dall'attore a fondamento della sua domanda e tale onere di contestazione ha per oggetto principale le allegazioni dedotte dalla parte attrice.

La Suprema Corte sottolinea, infine, che l'accertamento dell'assolvimento di detto onere di contestazione è, per l'appunto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, il quale, di conseguenza, è chiamato a dare interpretazione del contenuto e dell'ampiezza del primo atto difensivo, proveniente dal convenuto (In senso conforme, Cass., sez. VI – lav, 1 febbraio 2019, ord. n. 3126).

Tuttavia, nella fattispecie presa in esame, i giudici d'appello avevano erroneamente disatteso il pacifico orientamento giurisprudenziale, sopra meglio illustrato, non considerando dimostrati i fatti allegati dagli attori, in quanto mai contestati dal convenuto e perciò provocando la cassazione della propria statuizione sul punto specifico.

Osservazioni

Nella decisione in commento la Corte di Cassazione si sofferma su due specifici e distinti istituti giuridici: da una parte, il principio della non contestazione dei fatti dedotti dalla controparte, enucleato negli artt. 115 e 167 c.p.c., dall'altra, l'azione generale di arricchimento, prevista e disciplinata dagli artt. 2041 e 2042 c.c.

Mentre il primo rileva esclusivamente nell'ambito processualcivilistico e non necessita, ai nostri fini, di alcuna riflessione in merito, il secondo, pur delineando una domanda giudiziale azionabile nel processo civile, rientra, a pieno titolo, nel novero delle fonti delle obbligazioni giuridiche ex art. 1173 c.c. e, per ciò stesso, è riconducibile anche nell'area del diritto di tipo sostanziale, trovandosi, non a caso, regolato negli articoli del codice civile.

Tale natura ambivalente dell'istituto, unitamente all'aspetto sussidiario ed equitativo dell'azione giudiziale che da esso scaturisce, come stabilito all'art. 2042 c.c., ha fatto sì che nell'ambito del diritto di famiglia e dei diritti della persona siano emerse varie fattispecie giuridiche, che sono state risolte dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, facendo, per l'appunto, ricorso alla particolare figura in trattazione.

A titolo meramente esemplificativo e non certamente esaustivo, possa valere una recente pronuncia della Corte di Cassazione, che conferma la decisione del giudice di secondo grado di riconoscere l'applicabilità dell'art. 2041 c.c. alle attribuzioni patrimoniali tra gli ex conviventi, quando queste ultime esulano dall'adempimento del dovere di assistenza e contribuzione, nonché travalicano i limiti di proporzionalità ed adeguatezza (V., Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 2020, n. 2392).

Anche nello specifico caso in analisi l'ingiustificato arricchimento interviene in una situazione di antecedente legame affettivo e sentimentale, che, pur non rappresentando, di per sé, la causa della modificazione patrimoniale in favore del convenuto e a danno degli attori, concorre in maniera significativa e determinate all'insorgenza della fattispecie obbligatoria dell'arricchimento, divenuto successivamente indebito per la sopravvenuta mancanza di una valida causa giustificativa a sorreggerne i relativi effetti giuridici.

Guida all'approfondimento

M. Balloriani – r. De rosa – s. Mezzanotte, Manuale breve diritto civile, Giuffrè Ed., 2019;

N. Picardi – B. Sassani – A. Panzarola (a cura di), Codice di procedura civile, Tomo I, Giuffrè Ed., 2015;

Redazione legale (a cura di), Memento Procedura civile 2015, Ipsoa – Francis Lefebvre, 2015.

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