L'accordo Italia-Russia sulle adozioni non è applicabile all'adozione in casi particolari

Sabina Anna Rita Galluzzo
26 Agosto 2020

L'art. 8 dell'Accordo bilaterale tra l'Italia e la Russia del 6.11.2008 (ratificato dall'Italia con legge del 18.2.2019), che attribuisce all'Autorità dello Stato di origine del minore la competenza ad emettere la sentenza di adozione, non si applica...
Massima

L'art. 8 dell'Accordo bilaterale tra l'Italia e la Russia del 6.11.2008 (ratificato dall'Italia con legge del 18.2.2019), che attribuisce all'Autorità dello Stato di origine del minore la competenza ad emettere la sentenza di adozione, non si applica in caso di adozione non legittimante prevista all'art. 44 l.184/1983, istituto che non realizza quell'esempio di adozione piena e legittimante costitutiva di un rapporto di filiazione sostitutivo di quello di sangue, con definitivo ed esclusivo inserimento in una nuova famiglia. In tale caso pertanto trova applicazione l'art. 1 della Convenzione de L' Aja del 5/10/1961 (ratificata con l. n. 742 del 1980), ove si fa riferimento alla residenza abituale del minore.

Il caso

La vicenda riguarda un'adozione in casi particolari pronunciata nel 2017 ai sensi dell'art. 44 l. 184/1983 dal Tribunale per i minorenni di Genova in relazione a una bambina russa, residente in Italia. L'adozione veniva dichiarata in favore di un uomo e della sua compagna, che era già stata nominata nel 2012 affidataria della piccola in forza di un provvedimento dello stesso Tribunale per i minorenni. Il Tribunale in particolare aveva riconosciuto alla donna la qualità di tutrice attribuitale dalla autorità russa nel 2011.

La madre biologica della bambina si opponeva in giudizio presentando un provvedimento del Tribunale russo che, nelle more, aveva disposto la reintegrazione della stessa nella responsabilità genitoriale. Nonostante ciò, come accennato, il Tribunale per i Minorenni dichiarava l'adozione e tale provvedimento veniva confermato dalla Corte d'Appello di Genova, nel 2018.

Ne seguiva ricorso in Cassazione. Motivo del gravame era in particolare il contrasto del provvedimento di adozione in casi particolari con l'art. 8 dell'Accordo bilaterale Italia-Russia, in materia di cooperazione e accesso alle pratiche di adozione.

La prima sezione della Corte di Cassazione, trattandosi di questione in materia di giurisdizione, e in mancanza di precedenti pronunce in merito, rimetteva la causa alle Sezioni Unite (Cass., sez. I, ord.18833/2019).

La questione

Il caso concerne l'Accordo tra la Repubblica Italiana e la Federazione Russa stipulato il 6 novembre 2008, e ratificato dall'Italia con legge del 18.2.2019 “sulla collaborazione nel settore delle adozioni dei minori”. Tale atto, volto ad agevolare le adozioni dei bambini russi da parte di coppie italiane, stabilisce in particolare all'art. 8 che la sentenza di adozione del minore viene pronunziata dall'Autorità dello Stato di origine competente. Problematica nella specie è proprio l'applicabilità di tale disposizione all'istituto dell'adozione in casi particolari regolamentato dall'art. 44 l. 184/1983.

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con il provvedimento in esame risolvono la questione sostenendo la non applicabilità dell'Accordo citato alle adozioni di cui all'art. 44 l.184/1983.

La Corte motiva tale sua scelta soffermandosi in particolare sulla differenza tra l'adozione piena e l'adozione in casi particolari.

Notevoli sono infatti le divergenze tra i due istituti. L'uno, l'adozione piena presuppone che vi sia una dichiarazione d'adottabilità del minore ossia che lo stesso sia in stato d'abbandono, l'altro, l'adozione in casi particolari ne può prescindere. Anche i rapporti con la famiglia d'origine del minore sono regolati in maniera completamente difforme. Nel caso dell'adozione piena il legame con la famiglia si interrompe completamente, tranne per quel che riguarda gli impedimenti matrimoniali, viene meno il cognome d'origine e l'adottato diviene in tutto e per tutto figlio dell'adottante. Scopo di tale adozione è infatti quello di dare al minore lo status di figlio della famiglia adottante, status che, fino alle recenti modifiche in materia di filiazione di cui alla l. 219/2012, era definito legittimo (di qui la differenza terminologica tra adozione legittimante e non legittimante attualmente priva di significato).

In ipotesi di adozione in casi particolari invece l'adottato mantiene lo status di figlio che ha in relazione ai genitori biologici ed a questo aggiunge quello di figlio adottivo. Conserva infatti inalterati i diritti e i doveri rispetto alla famiglia d'origine, della quale mantiene il cognome cui antepone quello del genitore adottivo. Non sorgono inoltre legami di parentela rispetto ai parenti dell'adottante. Riguardo poi ai diritti successori, questi sorgono solamente in favore dell'adottato nei confronti dell'adottante. L'adottante dal canto suo acquista la responsabilità genitoriale sul minore, e di conseguenza assume l'obbligo di mantenerlo, educarlo e istruirlo.

L'adozione in casi particolari inoltre si caratterizza per i requisiti richiesti agli adottanti, molto meno stringenti rispetto a quelli stabiliti dall'art.6 per l'adozione piena. Pertanto può essere richiesta, come nel caso di specie, anche da persona non coniugata.

Si tratta di un tipo di adozione, soprattutto per il caso che interessa in questa sede rientrante nella lettera d) della norma, finalizzato a salvaguardare la continuità della relazione affettiva ed educativa nonché a trovare soluzioni per situazioni molto difficili. Le Sezioni Unite infatti, nel provvedimento in esame, specificano, richiamando precedenti giurisprudenziali, che tale forma di adozione si fonda sull'interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura e costituisce una clausola di chiusura del sistema, volta a consentire il ricorso a tale strumento tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità della relazione tra adottante ed adottando (Cass., Sez. Un., 12193/2019; Cass. 17100 /2019).

L'Accordo Italia-Russia, precisano le Sezioni Unite, è finalizzato a “offrire al minore i benefici di una famiglia stabile qualora non sia stato possibile reperire una famiglia adeguata nel Paese di origine”. Ha infatti come modello un'adozione piena costitutiva di un rapporto di filiazione sostitutivo di quello di sangue, con definitivo ed esclusivo inserimento in una nuova famiglia, modello cui non corrisponde invece l'adozione in casi particolari, che, se pur volta a sopperire a situazioni di abbandono, non costituisce tra l'adottato e gli adottanti un vincolo di filiazione giuridica tale da sostituirsi a quello di sangue. Prova ne è che nell'Accordo è indicata espressamente la dichiarazione di adottabilità del minore, dichiarazione che, presupposto indispensabile dell'adozione piena, non è invece richiesta nel caso dell'adozione di cui all'art. 44 .

Sulla base di tali motivazioni pertanto, concludono le Sezioni Unite, riguardando il caso di specie un'adozione in casi particolari, ai fini della giurisdizione, come correttamente affermato dai giudici di merito, non trova applicazione l'Accordo Italia-Russia, che rinvia all'autorità dello Stato di origine del minore la competenza ad accertare le condizioni legittimanti la pronunzia di adozione (art. 11, comma 1), nonché quella ad emettere la sentenza di adozione (art. 8, comma 2).

Risulta pertanto applicabile, nel caso in esame, l'art. 1 della Convenzione de L' Aja del 5 ottobre1961, “Convenzione sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori”, ratificata con l. n. 742 del 1980 e richiamata dall'art. 42 l. 218/1995. L'art. 1 della Convenzione in particolare, stabilisce che compenti ad adottare misure tendenti alla protezione del minore sono le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale dello stesso.

In relazione a quest'ultimo aspetto la residenza della bambina, come evidenziato dalla Cassazione, era radicata in Italia. La piccola era infatti entrata legalmente nel nostro Paese accompagnata da colei che, secondo i provvedimenti dell'autorità Russa era la sua tutrice e non vi era stata illecitamente trattenuta. L'Italia è divenuta così il paese di abituale residenza della minore, radicandosi in tal modo la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana in forza della convenzione de L'Aia del 1961.

In conclusione pertanto secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l'Accordo Italia-Russia che conferisce all'Autorità dello Stato di origine del minore la competenza ad emettere la sentenza di adozione, non si applica alle adozioni di cui all'44 l.184/1983, istituto che non realizza quell'esempio di adozione “piena e legittimante costitutiva di un rapporto di filiazione sostitutivo di quello di sangue”, con definitivo ed esclusivo inserimento in una nuova famiglia, cui è invece ispirato l'Accordo pattizio tra Italia e Russia.

Osservazioni

La lettera d) dell'art. 44 ossia il caso in cui vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo è considerata una norma “di chiusura” atta utilizzare l'istituto nel caso di vicende problematiche e non altrimenti risolvibili.

La prassi ha così ricondotto a tale ipotesi i casi del minore non più piccolo, o dal carattere problematico a causa del suo vissuto, di quello reduce da uno o più affidamenti falliti, o anche di quello affetto da gravi disabilità in relazione al quale, pur adottabile, risulta difficile trovare una coppia disposta ad accoglierlo. La ratio è allora quella di permettere al minore, in relazione al quale l'affidamento preadottivo diviene impossibile di essere giuridicamente accolto anche da persone che non hanno i requisiti per adottare nella convinzione che l'adozione, anche se non realizzata con gli stringenti requisiti previsti dalla legge, sia comunque preferibile ad una permanente istituzionalizzazione.

L'istituto è stato altresì utilizzato, fornendo all'espressione “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” un'interpretazione più ampia, includendo le ipotesi in cui l'affidamento non è stato possibile a causa della mancanza di una formale dichiarazione d'adottabilità. (In tal senso Dosi, L'adozione in casi particolari, Lessico di diritto di famiglia, 2020; Paolo Morozzo della Rocca, Il nuovo status di figlio e le adozioni in casi particolari, Famiglia e diritto 8-9 /2013). Si tratta di tutti quei casi in cui il minore veniva richiesto in adozione da soggetti legati a lui da un rapporto affettivo e di cura stabile e consolidato. L'istituto costituisce in tal senso una clausola di chiusura del sistema, volta a consentire il ricorso a tale strumento tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità della relazione affettiva ed educativa, all'unica condizione della “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, da intendersi non già come impossibilità di fatto, derivante da una situazione di abbandono del minore, bensì come impossibilità di diritto di procedere all'affidamento preadottivo (Cass. civ., sez. un., 8 maggio 2019, n. 12193). In questo contesto l'istituto è stato utilizzato dalla giurisprudenza anche al fine di consentire l'adozione in casi particolari al convivente omosessuale del genitore.

Si è così affermata l'ammissibilità di tale forma di adozione, non solo quando non si è trovata in concreto una famiglia idonea per il minore, ma anche nell'ipotesi in cui questi già si trovava presso una coppia, priva dei requisiti necessari per adottare, con la quale aveva ormai creato un rapporto stabile e duraturo.

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