Il Tribunale di Cagliari sulla formazione dell'atto di nascita e il riconoscimento del figlio da entrambe le madri

Redazione Scientifica
02 Settembre 2020

Il Tribunale di Cagliari affronta il delicato tema della filiazione del minore nato in Italia da PMA eterologa praticata all'estero nell'ambito di una coppia omossessuale. Centrali, nella pronuncia del Tribunale, anche i temi della formazione dell'atto da parte dell'Ufficiale dello Stato Civile e del nuovo concetto di genitorialità intenzionale.

Il giudizio traeva origine dal ricorso presentato dal Ministero dell'interno e dalla Prefettura di Cagliari contro il Comune della stessa città, con cui veniva chiesta la disapplicazione dell'atto dell'Ufficiale dello Stato Civile contenente la dichiarazione di riconoscimento del minore quale figlio naturale da parte della convivente della madre partoriente, che aveva assunto così lo stato di “altro genitore” dello stesso sesso.

Costituitesi in giudizio, le resistenti, quali esercenti la responsabilità genitoriale sul minore, eccepivano preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva delle amministrazioni ricorrenti. Con riferimento, poi, al merito della controversia, illustravano la loro relazione sentimentale, iniziata con una convivenza e proseguita con l'elaborazione di un progetto condiviso di genitorialità, che le aveva portate a fare ricorso in Germania alla PMA di tipo eterologo, prevista in tale Stato anche per coppie dello stesso sesso.

A tal proposito, le resistenti rilevavano come la giurisprudenza di merito avesse già avuto modo di riconoscere la legittimità di un atto di nascita, relativo a minori nati in Italia, nell'ambito di progetti di genitorialità portati avanti tramite l'accesso all'estero a tecniche di PMA, recante l'indicazione di due madri. Il PM, per parte sua, osservava che le resistenti, facendo ricorso alla PMA di tipo eterologo in Germania, avevano prestato un consenso privo di efficacia nell'ordinamento italiano, richiamando altresì la più
recente giurisprudenza della Cassazione, contraria al riconoscimento di una genitorialità sociale, in difetto di vincolo biologico.

Ritenuta l'ammissibilità della domanda, sotto il profilo della legittimazione ad agire, il Tribunale ne dichiara, peraltro, l'infondatezza quanto al merito.
La fattispecie in esame, afferma il Tribunale, è stata recentemente esaminata da vari giudici di merito, tra cui la Corte d'Appello di Trento che, con decreto 16 gennaio 2020, ha fatto luce proprio su questo tema legato alla filiazione del minore nato in Italia da fecondazione eterologa praticata all'estero nell'ambito di una coppia omosessuale.
In particolare, ciò che i Giudici ritengono condivisibile della ricostruzione sistematica fornita dalla Corte d'Appello è l'affermazione che riconosce la «prevalenza alla tutela dell'interesse dell'incolpevole nato alla conservazione di uno status già acquisito a seguito della nascita (e del consenso prestato da coloro che hanno fatto ricorso alla PMA), scindendo tale profilo dalla valutazione di liceità o illiceità della tecnica di PMA concretamente utilizzata».
Inoltre, prosegue il Collegio, è bene tener conto che la stessa l. n. 40/2020 ha delineato un «nuovo tipo di genitorialità, denominata intenzionale, non più basata sul legame biologico/genetico tra i genitori e il nato, quanto piuttosto sul consenso reso dalle parti che vi si sottopongono e che manifestano la volontà di assumere la responsabilità della procreazione». Ed è proprio da tale affermazione che, secondo il Tribunale, appaiono non condivisibili le argomentazioni del PM e delle amministrazioni ricorrenti in ordine all'imprescindibilità del legame biologico tra il nato e colui che intende affermare il suo ruolo di genitore.
L'art. 8 poi della medesima legge chiarisce che «i nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tali tecniche, senza alcun riferimento al necessario rispetto dei requisiti soggettivi o oggettivi di accesso alla PMA».
Dunque, è proprio dal dato positivo che secondo il Tribunale non è possibile ritenere condivisibile la tesi del Ministero degli Interni e della Prefettura di Cagliari secondo cui gli artt. 30 e 43 d.P.R. n. 396/2000, nel disciplinare la formazione dell'atto di nascita e il riconoscimento del figlio, presupporrebbero necessariamente la diversità di sesso dei genitori.

A sostegno della propria tesi, dopo aver esaminato la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 7668/2020 che comunque non inficerebbe il ragionamento finora condotto, il Tribunale ritiene che sia stata proprio la Corte Costituzionale, con sentenza Corte cost. n. 221/2019 ad aver «scolpito il principio guida» di tale controversa tematica, nella parte in cui ha affermato che «il divieto di accesso alla PMA per coppie di individui dello stesso sesso non si pone in contrasto con la possibilità di ricorre all'adozione o alla trascrizione dell'atto formato all'estero dopo la nascita e ciò in quanto se prima della nascita, il legislatore può discrezionalmente limitare l'accesso alla PMA, da intendersi quale tecnica per porre rimedio a una infertilità patologica nell'ambito della conservazione di un modello di famiglia ritenuto preferibile, una volta che la nascita si è verificata, deve essere tutelato l'interesse del nato alla conservazione e al consolidamento delle relazioni familiari già instaurate».