Non è impugnabile il testamento senza interesse ad agire

03 Settembre 2020

In materia testamentaria, l'attore titolare della legittimazione ad esercitare le azioni di nullità ed annullamento non è esentato dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse...
Massima

In materia testamentaria, l'attore titolare della legittimazione ad esercitare le azioni di nullità ed annullamento non è esentato dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, per cui l'azione stessa non è proponibile in mancanza della prova, da parte del medesimo attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare - attraverso la rimozione degli effetti del testamento impugnato - una lesione attuale del proprio diritto ed il conseguente danno alla propria sfera giuridica.

Il caso

Tizia cita in giudizio Caio deducendo di essere unica erede, in forza di testamento olografo di Sempronio, il quale, con atto di donazione del 22 settembre 1998 aveva disposto di un immobile in favore del convenuto. Fatto è però che l'immobile apparteneva al de cuius solo per la quota del 50%, essendo l'altra metà di proprietà del coniuge Mevia, deceduta il 14 dicembre 1997.

Era vero che Mevia aveva disposto del bene per testamento in favore del futuro donante, tuttavia la successione non costituiva nella specie titolo valido a consentire la disposizione del bene per intero, essendo il testamento falso e, quindi, nullo e in ogni caso annullabile in quanto effettuato da soggetto vittima di circonvenzione da parte del donatario.

In primo grado la domanda viene rigettata.

La Corte di Appello conferma la sentenza del Tribunale, rigettando il gravame proposto avverso la sentenza di primo grado.

Le ragioni del rigetto dell'appello risiedono essenzialmente in ciò: seppure il testamento fosse nullo, Sempronio, essendo unico erede legittimo della moglie, era comunque diventato proprietario della totalità, potendo quindi disporre dell'immobile per intero al momento della donazione. Secondo la corte di merito tale statuizione, che integrava una autonoma ratio decidendi, sufficiente da sola a reggere la decisione, non era stata impugnata dall'appellante, conseguendone quindi la formazione del giudicato interno su questo punto.

Tizia ricorre in Cassazione.

La questione

Anche per impugnare un testamento con le azioni di nullità ed annullamento è necessario che l'attore dimostri la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, per cui l'azione non è proponibile in mancanza di tale prova?

Le soluzioni giuridiche

Tizia ricorre in Cassazione denunciando l'omessa pronuncia sulla domanda con la quale aveva chiesto l'accertamento della falsità del testamento olografo di Mevia, rappresentando che l'attrice aveva anche un interesse morale all'accertamento della nullità della scheda, fermo restando che l'accertamento della nullità dell'olografo avrebbe travolto la donazione posta in essere sulla base di quel titolo.

La Cassazione ritiene il motivo infondato.

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia.

Ora – affermano gli Ermellini - la fattispecie del rigetto implicito ricorre nella specie in modo esemplare. Infatti, la corte d'appello ha iniziato l'analisi della vicenda ponendo in luce che la decisione di primo grado, nel prospettare la carenza di interesse ad agire, aveva proposto una ulteriore ragione del decidere: che Sempronio, in quanto unico successibile ex lege di Mevia, era divenuto comunque proprietario del bene, essendo quindi legittimato a disporre per intero al momento della donazione (che è di data posteriore rispetto alla morte di Mevia).

Quindi - posto che la domanda di nullità del testamento era stata proposta in funzione strumentale rispetto all'accertamento della nullità della donazione, per carenza della titolarità del diritto per intero in capo al donante – la corte ha ritenuto che il rilievo del primo giudice, fondato sulla inattaccabilità della donazione sotto questo profilo, esaurisse la vicenda.

Per completezza di esame si osserva ancora che non emerge né dalla sentenza né dal ricorso che l'attrice avesse giustificato altrimenti la domanda di nullità del testamento, se non con l'interesse a farne discendere la nullità della donazione. In particolare non risulta che il riferimento all'interesse morale, ventilato in modo del tutto generico con il motivo in esame, fosse stato già fatto valere in sede di merito con la concretezza richiesta per poter giustificare l'azione.

Secondo l'insegnamento della Cassazione, in materia testamentaria, l'attore titolare della legittimazione ad esercitare le azioni di nullità ed annullamento non è esentato dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, per cui l'azione stessa non è proponibile in mancanza della prova, da parte del medesimo attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare - attraverso la rimozione degli effetti del testamento impugnato - una lesione attuale del proprio diritto ed il conseguente danno alla propria sfera giuridica.

Osservazioni

Con la sentenza in commento la Cassazione ribadisce il proprio costante orientamento per il quale la legittimazione generale all'azione di nullità prevista dall'art. 1421 c.c. (norma applicabile in quanto compatibile anche al testamento), in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, non esime l'attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, per cui l'azione stessa non è proponibile in mancanza della prova, da parte dell'attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica.

L'interesse ad agire, previsto dalla fondamentale norma dell'art. 100 c.p.c., costituisce una delle condizioni dell'azione, per cui mancando il primo, non esiste neppure la seconda.

L'interesse ad agire si identifica con l'interesse della parte a conseguire un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l'intervento del giudice; l'interesse ad agire va dunque valutato in considerazione dell'utilità concreta derivabile alla parte attrice dall'eventuale accoglimento della domanda.

In altri termini – afferma la Suprema Corte - l'interesse ad agire richiede non solo l'accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire (Cass. 4 maggio 2012, n. 6749).

In parole povere, la parte attrice deve conseguire vantaggio pratico, una utilità concreta dall'accoglimento del ricorso; l'interesse ad agire vale quindi a qualificare la posizione dell'istante rispetto a quella indifferenziata del quisque de populo (Cons. stato 1 marzo 2017, n. 934).

Il requisito dell'interesse serve ad evitare che si proceda all'esame del merito quando l'accoglimento della domanda non importerebbe alcun vantaggio all'attore, e, dunque, ad evitare attività processuali inutili: l'interesse processuale presuppone, nella prospettazione della parte istante, una lesione concreta ed attuale dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio e l'idoneità del provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare il medesimo interesse sostanziale. In mancanza dell'uno o dell'altro requisito, l'azione è inammissibile. Sarebbe infatti del tutto inutile, ai fini giuridici, prendere in esame una domanda giudiziale se nella fattispecie prospettata non si rinvenga affermata una lesione della posizione giuridica vantata nei confronti della controparte, ovvero se il provvedimento chiesto al giudice sia inadeguato o inidoneo a rimuovere la lesione (Cons. Stato 10 gennaio 2012, n. 16).

L'interesse del ricorrente deve sussistere non soltanto all'inizio del procedimento ma deve permanere fino al momento della decisione; se pertanto la parte abbia dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse, ne discende l'improcedibilità dell'azione, non potendo in tal caso il giudice decidere la controversia nel merito, non potendo procedere d'ufficio né sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell'interesse ad agire (Cons. stato 12 settembre 2016, n. 3848).

L'interesse ad agire deve essere concreto ed attuale e non può mai risolversi nella mera aspettativa ad una pronuncia giudiziale, se ad essa non corrisponde un'utilità effettiva in capo a chi si rivolge alla giustizia (Cass. 24 gennaio 2019, n. 2057).

In sostanza, l'interesse ad agire, previsto quale condizione dell'azione dall'art. 100 c.p.c., va identificato in una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente in ciò che senza il processo e l'esercizio della giurisdizione l'attore soffrirebbe il pregiudizio d'una propria situazione giuridica protetta; pertanto esso deve avere necessariamente carattere attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, viceversa restando escluso ove il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima od accademica d'una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche. Non rileva pertanto l'intento di perseguire un fine generale d'attuazione della legge né è sufficiente dedurre l'esigenza di rimuovere una situazione d'incertezza, occorrendo pur sempre dimostrare che questa produce un danno giuridicamente rilevante (Cass. 25 febbraio 2002, n. 2721).

Parimenti non sono ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire; l'accertamento in diritto deve essere cioè pregiudiziale alla richiesta di un concreto provvedimento, idoneo a realizzare l'interesse perseguito dalla parte (Cass. 28 novembre 2008, n. 28405).

Analogamente si è affermato che il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto senza che sia precisato il risultato utile e concreto che la parte intenda in tal modo conseguire (Cass. 23 dicembre 2009, n. 27151).

Ancora, si ritengono non proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti che costituiscano solo elementi frazionari della fattispecie costitutiva di un diritto, che può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella sua interezza (Cass. 27 gennaio 2011, n. 2051).

L'interesse ad agire comporta la verifica, da compiersi d'ufficio da parte del giudice, in ordine all'idoneità della pronuncia richiesta a spiegare un effetto utile alla parte che ha proposto la domanda, e quindi la sussistenza di un interesse concreto ed attuale (Cass. 20 luglio 2007, n. 16159).

L'accertamento dell'interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l'intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una situazione giuridica, deve compiersi con riguardo all'utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito (Cass. 4 marzo 2002, n. 3060).

In altri termini, la sussistenza dell'interesse ad agire viene verificata astrattamente con la valutazione dell'obiettivo finale e cioè del bene della vita cui tende il richiedente, a prescindere dalle allegazioni ed argomentazioni, fondate o meno, poste come presupposto della domanda giudiziale: l'interesse ad agire è indipendente dalle tesi che si sostengono e sussiste nel caso in cui accogliendo l'istanza derivi per l'istante il conseguimento di un vantaggio (Trib. Bologna 1 ottobre 2003).

Inoltre, l'assenza di interesse ad agire è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, poiché costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda; pertanto, la sua sussistenza va accertata dal giudice anche quando non vi è contrasto tra le parti sul merito della stessa (Cass. 7 marzo 2002, n. 3330).

I principi sopra illustrati sono validi anche in materia testamentaria per cui l'attore titolare della legittimazione ad esercitare le azioni di nullità ed annullamento non è esentato dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, cioè dal dimostrare la possibilità di trarre un diretto beneficio in termini giuridici dalla eliminazione dell'efficacia del testamento impugnato; in mancanza di tale prova, deve reputarsi che lo stesso sia evidentemente carente di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., con la conseguente inammissibilità dell'impugnazione.

Facendo applicazione di tali principi, la Suprema Corte nel caso in esame ha dunque rigettato il ricorso in quanto l'interesse ad agire, di natura morale, era stato ventilato in modo del tutto generico, era cioè privo dei requisiti di concretezza ed attualità richiesti per poter giustificare l'azione.

La pronuncia in commento conferma, seppur in maniera incidentale e quasi en passant, che un interesse anche solo morale della parte può giustificare l'esigenza di una decisione di merito (Cons. Stato 10 gennaio 2018, n. 99; TAR Lazio 10 dicembre 2018, n. 11924).

La Cassazione ribadisce così il principio ormai consolidato secondo cui l'azione proposta innanzi al giudice è subordinata alla sussistenza dell'interesse ad agire, ovvero la concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell'interesse protetto, a norma dell'art. 100 c.p.c. (Cons. Stato 21 marzo 2016, n. 1156, con ampi richiami giurisprudenziali).

Infine, nella fattispecie che ci occupa, la Cassazione rigetta il ricorso affermano altresì che l'attrice non ha giustificato la domanda di nullità del testamento se non con l'interesse a farne discendere la nullità della donazione, cioè la domanda di nullità del testamento era stata proposta in funzione strumentale rispetto all'accertamento della nullità della donazione.

Su questo punto rileviamo in senso critico che per giurisprudenza consolidata l'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. deve avere le caratteristiche della concretezza e dell'attualità e deve consistere in una utilità pratica che il ricorrente può ottenere con il provvedimento chiesto al giudice; tuttavia è stato chiarito che la predetta utilità pratica non deve essere intesa nel solo limitato significato di immediata utilità finale del provvedimento invocato, ben potendo consistere anche in una semplice utilità strumentale, sufficiente ad assicurare all'interessato il bene della vita di cui lamenta la lesione cioè la rimessa in discussione della questione controversa (Cons. Stato 20 dicembre 2002, n. 7255; Cons. Stato 10 novembre 1999, n. 1671).

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