Responsabilità degli amministratori di una Srl

07 Settembre 2020

L'art. 378 CCI rappresenta una norma di interesse primario in materia di responsabilità degli amministratori di una Srl, nella prospettiva di un'azione promossa dai creditori. Si tratta di una disposizione che mira, in accordo con la finalità principale del Codice della Crisi e dell'Insolvenza, a sollecitare l'emersione rapida e la tempestiva gestione della crisi, ampliando l'ambito della responsabilità degli amministratori.
Premessa

L'art. 378 CCI rappresenta una norma di interesse primario in materia di responsabilità degli amministratori di una Srl, nella prospettiva di un'azione promossa dai creditori. Si tratta di una disposizione che mira, in accordo con la finalità principale del Codice della Crisi e dell'Insolvenza, a sollecitare l'emersione rapida e la tempestiva gestione della crisi, ampliando l'ambito della responsabilità degli amministratori.

In particolare, la disposizione in esame interviene sul dettato dell'art. 2476 c.c. riproponendo una disciplina dell'azione di responsabilità promossa dai creditori e colmando una lacuna che era ancora evidente dopo la riforma del diritto societario del 2003, laddove il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nulla prevedeva circa la possibilità di muovere un'azione di responsabilità da parte dei creditori di una S.r.l. contro gli amministratori.

Le previsioni del comma 6 dell'art. 2476 c.c.

Il testo dell'articolo 378, comma 1, CCI modifica il tenore dell'art. 2476 c.c. aggiungendovi il comma 6, dove si leggono quattro previsioni.

La prima è nel senso che gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. È evidente come la descritta previsione sia finalizzata a realizzare un maggior grado di responsabilizzazione degli amministratori rispetto agli obblighi di conservazione del patrimonio sociale, come è dato leggere nella Relazione Illustrativa al decreto legislativo: infatti, si prevede che gli amministratori rispondano nei riguardi dei creditori quando il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

La seconda previsione è nel senso che l'azione di responsabilità contro gli amministratori possa essere proposta dai creditori sociali solo quando il patrimonio sociale risulti insufficiente ai fini del soddisfacimento dei crediti degli stessi. Si precisa che la rinuncia, da parte della società, a esperire l'azione di responsabilità contro gli amministratori non impedisce l'esercizio di tale azione da parte dei creditori sociali. Infine, si legge che la transazione sull'azione di responsabilità può essere impugnata dai creditori solo con l'azione revocatoria, laddove sia esperibile.

L'insufficienza del dettato del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 aveva determinato la formazione di due diverse letture giurisprudenziali, che sostenevano, ovvero escludevano, l'applicazione analogica dell'art. 2394 c.c. alle società a responsabilità limitata: con il comma 1 dell'art. 378 CCI, si ammette espressamente la possibilità di esperimento di un'azione di responsabilità nei riguardi degli amministratori che abbiano violato gli obblighi di conservazione del patrimonio societario. Dunque, bene si può osservare come siffatta previsione abbia introdotto un criterio di liquidazione dei danni conseguenti all''inosservanza dell'obbligo di gestire la società, al verificarsi di una delle cause di scioglimento della società medesima, con l'unica finalità di conservare integrità e valore patrimoniale.

Quantificazione del danno risarcibile

C'è un punto rispetto al quale il codice della crisi e dell'insolvenza innova profondamente rispetto al codice civile: si tratta dei criteri per la quantificazione del danno risarcibile ex art. 2486 c.c., laddove gli amministratori abbiano violato l'obbligo di cui al comma 1 del suddetto articolo. È quasi superfluo ricordare come la difficoltà di affrontare il tema della quantificazione del danno si scontri con la difficoltà di conteggiare le conseguenze della mala gestio in totale o parziale assenza di documentazione contabile. La norma civilistica, infatti, precisava che gli amministratori dovessero ritenersi personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali e ai terzi per l'inosservanza dell'obbligo di conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale: nessuna indicazione era riservata alla quantificazione del danno risarcibile, in merito al quale la giurisprudenza mostrava una significativa divisione. Si contrapponevano, infatti, due precisi orientamenti, il primo dei quali si sostanziava nell'applicabilità del criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare, sicché il danno risarcibile veniva parametrato in misura pari alla differenza tra l'attivo e il passivo accertati nell'ambito della procedura concorsuale. Un secondo orientamento, invece, prevedeva l'applicazione del criterio della ‘differenza dei netti patrimoniali', sicché il danno risarcibile veniva quantificato in misura pari alla differenza tra il patrimonio netto della società al momento dell'effettivo verificarsi della causa di scioglimento e il patrimonio netto della società al momento della sua formale messa in liquidazione. La più importante fissazione del principio si è avuta con la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 6 maggio 2015, n. 9100.

A prevalere, nella prassi, è stato il secondo orientamento, laddove il primo ha incontrato applicazione solamente nelle ipotesi più remote di scritture contabili mancanti o del tutto inattendibili, oppure nei casi in cui la crisi e l'insolvenza della società fossero direttamente collegabili alla condotta colposa degli amministratori.

Ben altra fortuna ebbe, invece, il secondo indirizzo giurisprudenziale, di applicazione assai più ampia e di maggiore impatto operativo, in presenza di un sopravvivente contrasto giurisprudenziale. Il nostro art. 378, al comma 2, opta per una soluzione di compromesso, scegliendo in via primaria l'applicazione del principio della "differenza dei netti patrimoniali", ma contemporaneamente ammettendo pure l'applicabilità - in alcuni casi - del criterio della "differenza tra attivo e passivo fallimentare”.

Nello specifico, si legge che, fatta salva la prova contraria, il danno risarcibile ex art. 2486 c.c. si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto della società alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica (o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura della stessa) e il patrimonio netto della società alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento prevista dall'art. 2484 c.c., detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al completamento della liquidazione.

Solamente come ipotesi sussidiaria, nel caso in cui si sia aperta una procedura concorsuale e manchino le scritture contabili o laddove i netti patrimoniali non siano determinabili a causa dell'irregolarità delle scritture contabili o per qualunque altra ragione il danno risarcibile ai sensi dell'art. 2486 c.c. è pari alla differenza tra l'attivo e il passivo accertati nella procedura. In siffatta prospettiva, la norma in esame propone una finalità deflativa del contrasto giurisprudenziale in materia, risolvendo l'obiettiva difficoltà di quantificazione del danno. Sintetizzando, i criteri enucleati per la quantificazione del danno sono tre: il primo criterio, squisitamente contabile, presume l'ammontare del danno risarcibile sulla base della differenza dei netti patrimoniali. Si tratta di un criterio per la cui applicazione si individuano due fasi operative: la prima consiste nella determinazione del danno patrimoniale complessivo, ossia nell'identificazione del bilancio a partire dal quale si assume che la società abbia perso il capitale sociale, realizzandosi una causa di scioglimento della società ex art. 2484 c.c., in assenza di ricapitalizzazione. Si richiede poi la rettifica del bilancio e dei successivi bilanci, proprio sulla base dei criteri di redazione dei bilanci di liquidazione, nonché la rettifica per detrazione dei costi di liquidazione, che la legge impone di esaminare 'secondo un criterio di normalità'.

Infine, occorre verificare la determinazione del danno patrimoniale totale inteso come differenza tra il valore del patrimonio netto rettificato alla data della perdita del capitale sociale e del patrimonio netto del primo bilancio di liquidazione, ovvero del bilancio redatto alla data di apertura della procedura concorsuale. La seconda fase, invece, consiste nella ripartizione del danno patrimoniale complessivo in base al periodo di carica dei singoli amministratori. Occorre, a tal fine, l'identificazione dei periodi di carica; l'estrazione dei netti patrimoniali rilevanti sulla base dei bilanci rettificati; la determinazione individualizzata della differenza dei netti patrimoniali in base al periodo di carica; l'analisi finale di congruenza dei risultati.

Il secondo criterio è extra-contabile e si poggia sulla differenza tra l'attivo e il passivo concorsuale; vi poi un terzo criterio, alternativo ai due precedenti, che considera il valore delle operazioni che hanno cagionato un pregiudizio alla società.

Quanto a quest'ultimo, vi andrebbero ricomprese due tipologie di danni: i cd. danni puntuali, ossia condotte non permanenti nel tempo, che siano connesse alla realizzazione di singole operazioni pregiudizievoli per indebita prosecuzione dell'attività sociale; e i danni incrementali, ossia i danni prodotti per progressivo accrescimento, cagionati da condotte permanenti nel tempo, che siano connesse con un'indebita prosecuzione dell'attività sociale, a causa di perdita della continuità aziendale, ovvero perdita del capitale sociale. I danni incrementali sarebbero quelli determinati sulla base di criteri presuntivi, relativi alla differenza dei netti patrimoniali e, in via subordinata, alla differenza tra l'attivo e il passivo concorsuale in relazione ai periodi in cui i singoli amministratori sono stati in carica.

In conclusione

La norma - come ancora precisa la Relazione Illustrativa - si riferisce a tutte le azioni di responsabilità, apertesi, altresì, pure in assenza di una procedura concorsuale, sicché il criterio di liquidazione deve trovare applicazione in ipotesi di apertura di qualunque procedura regolata dal codice della crisi e dell'insolvenza. Più precisamente, l'art. 14, comma 1, lett. e) della legge delega n. 155/2017 non limita l'operatività della delega alle sole procedure concorsuali, ma si limita a imporre di disciplinare i soli criteri di quantificazione del danno risarcibile, così come previsti dall'art. 2486 c.c.

Sommario