Versamento diretto dell'assegno dal datore di lavoro: procedimento
07 Settembre 2020
Il quadro normativo
Con il meccanismo del versamento diretto del mantenimento da parte del datore di lavoro si crea una sorta di vincolo di indisponibilità tendenzialmente stabile sui redditi del debitore, con funzione principalmente dissuasiva dal persistere nell'inadempimento. La garanzia opera se il coniuge o il genitore obbligato è a sua volta creditore, solitamente di una prestazione periodica pecuniaria (ma potrebbe trattarsi anche di una somma dovuta una tantum dal terzo purchè specificamente individuata) in genere da lavoro dipendente (ma l'ordine di pagamento può essere rivolto anche all'ente erogatore della pensione - Cass. civ. 27 gennaio 2004 n. 13989, o al conduttore di un immobile appartenente al debitore o ad un suo fornitore per esempio). Lo strumento ha diverse fonti normative secondo la situazione nella quale viene utilizzato: nell'art. 156 comma 6 c.c. in caso di separazione, nell'art. 8 comma 3 e 4 l. 898/1970 (come modificati nel 1987) ed anche nell'art. 3 comma 2 l. 219/2012 allorchè si tratti di mantenimento per i figli. Il vantaggio offerto dal versamento diretto dell'assegno è duplice: da un lato l'avente diritto, essendo la prestazione a periodicità normalmente mensile, evita il ricorso a plurime procedure esecutive (una per ciascuna inutile scadenza del pagamento) in caso di inadempimento o adempimento parziale, con risparmio anche in termini di costi legali e contenendo il rischio dell'esito incerto proprio dell'azione esecutiva; dall'altro, la tutela è più immediata rispetto ai tempi lunghi della procedura esecutiva che sono chiaramente incompatibili con la natura “alimentare” del credito. Il ricorso alla procedura esecutiva resta peraltro l'unica possibilità per il recupero degli arretrati non corrisposti essendo pacifico che il versamento diretto opera solo per il futuro (sul punto Trib. Roma 22 agosto 2018). La previsione contenuta nell'art. 156, comma 6 c.c. postula l'inadempimento ad un obbligo di mantenimento disposto con un provvedimento dell'autorità giudiziaria. Nulla vieta peraltro che si tratti non solo di pagamento dell'assegno di mantenimento ma anche ad esempio di mancato pagamento dell'adeguamento dell'assegno mensile agli indici di rivalutazione Istat, mentre non pare ipotizzabile il ricorso al versamento diretto per le spese straordinarie per la prole non rimborsate poiché l'inadempimento potrebbe non essere certo a fronte di una contestazione del debitore sul previo consenso all'esborso; si applica anche alla separazione consensuale sia per il mantenimento del coniuge (Corte Cost. 19 gennaio 1987 n. 5) che dei figli (Corte Cost. 31 maggio 1983 n. 144), ed anche in caso di inadempimento al provvedimento che riconosce un contributo al mantenimento in sede di procedimento ex art. 342 bis c.c., a carico del convivente allontanato dalla casa famigliare (Trib. Bologna 31 gennaio 2012). L'ordine del Giudice presuppone una richiesta di parte, seppure in dottrina si sia ritenuto ammissibile che venga disposto d'ufficio se l'imposizione della garanzia sia ritenuta necessaria per assicurare il corretto e puntuale adempimento degli obblighi patrimoniali nei confronti della prole, soluzione condivisibile tenuto conto della supremazia dei diritti del minore e della natura alimentare del credito (A.e M. Finocchiaro, Diritto di Famiglia, Milano, 1984, 651; De Filippis Casaburi Separazione e divorzio nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 2004, 438). In generale, considerata l'utilità sottesa allo strumento processuale in oggetto, il Giudice gode di ampia discrezionalità, sia relativamente alla determinazione del quantum del versamento, come si dirà, che in merito alla valutazione delle circostanze dell'inadempimento (incluso, secondo talune pronunce, anche quelle che attengono l'elemento psicologico e in definitiva la prognosi di maggiore o minore esposizione del credito di mantenimento: Cass. civile 9 dicembre 1993 n. 7303). Si reputa comunque ragionevole escludere la rilevanza del solo e semplice ritardo, occorrendo un ritardo temporalmente significativo oppure quando provochi fondati timori in ordine alla tempestività dei futuri adempimenti (Trib Novara 5 dicembre 2009), o più in generale dovendo inserirsi in un generale quadro di disordine degli affari dell'obbligato tale da far presumere un reiterato inadempimento o il ritardo sistematico nei pagamenti successivi (Cass. civile 22 aprile 2013 n. 9671). D'altro canto sarebbe contrario al principio di reciproca tolleranza vigente in materia di obbligazioni alimentari non accettare ritardi minimi, che non possono considerarsi pregiudizievoli per il coniuge o i figli (Trib. Milano 11 febbraio 2014). Al contempo tuttavia si ritiene irrilevante l'intervenuta regolarizzazione dei pagamenti da parte dell'obbligato successivamente alla richiesta di distrazione (Trib. Taranto 8 novembre 1996), mentre l'adempimento successivo all'accoglimento dell'istanza non impone al Giudice di revocare il provvedimento emesso qualora ritenga che l'adempimento suddetto non sia idoneo ad eliminare il pericolo di ulteriori futuri inadempimenti (Cass. civile 28 aprile 1998 n. 4323). Il dato testuale dell'articolo in commento, laddove cita che il Giudice può ordinare il versamento diretto di una parte delle somme dovute dal terzo, ha posto il problema della sussistenza o meno di un limite quantitativo dell'ordine di pagamento. Il dibattito giurisprudenziale può oggi considerarsi risolto (due le sentenze significative in argomento, Cass. civile 2 dicembre 1998 n. 12204 e più recentemente Cass. civile 6 novembre 2006 n. 23668), nel senso che, secondo la situazione specifica, il Giudice può disporre anche il pagamento diretto dell'intera somma dovuta dal terzo, quando questa non ecceda ma anzi realizzi pienamente l'assetto economico determinato in sede di separazione (di recente, Trib. Catania ord. 24 marzo 2016, secondo cui è soltanto il prudente apprezzamento del Giudice a far scattare la misura ex art. 156, comma 6 c.c. che non incontra i limiti previsti per il sequestro e il pignoramento di stipendi, salari e pensioni dei dipendenti pubblici). In pratica il Giudice deve riferirsi ai redditi complessivi che l'obbligato ha a disposizione al di là dell'ammontare dello stipendio. Invero questa soluzione, senz'altro maggioritaria (rare le pronunce in senso contrario, ad as. Trib. Modena 5 febbraio 1999, secondo cui la sussistenza di un limite all'ordine di distrazione fonda le basi sulla considerazione che, avendo l'ordine di versamento diretto i caratteri di vera e propria espropriazione forzata, dovrebbe valere il limite del quinto fissato dall'art. 545 comma 5 c.p.c. in quanto espressione di un principio di ordine generale applicabile anche alla fattispecie in esame, sia per la necessità di assicurare alla persona una esistenza libera e dignitosa sia in considerazione del dato testuale che, riferendosi a “una parte dei beni” implicitamente prevede un limite alla distrazione), allorchè la situazione complessiva non sia ben ponderata e le risorse siano limitate, a parere di chi scrive rischia di esporre il coniuge obbligato a un vero pregiudizio specie nei casi in cui non sia indagata la gravità dell'inadempimento o la sussistenza di una precisa intenzione di non adempiere. Vige infatti anche in fase di separazione un generale dovere di solidarietà coniugale, che se da un lato impone di mettere a disposizione del coniuge debole le risorse per il suo mantenimento, dall'altro dovrebbe evitare di pregiudicare eccessivamente la posizione e la dignità del coniuge obbligato.
La domanda (che non è una domanda in senso stretto, e di conseguenza non è soggetta a preclusioni, potendo quindi essere proposta fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, si ritiene addirittura anche dopo la remissione della causa al Collegio e prima della decisione) si propone con ricorso. Si precisa che il terzo non è parte del procedimento, poiché il Giudice non interviene nel rapporto che intercorre tra il debitore e il terzo né effettua alcun accertamento in ordine al medesimo, ma semplicemente “trasferisce” il diritto alla riscossione al creditore del mantenimento (invero il rapporto tra il creditore e il terzo viene ritenuto analogo a quello esistente tra il debitore ceduto e il creditore cessionario ai sensi dell'art. 1260 c.c. secondo cui per il perfezionamento della fattispecie non è necessario il consenso del ceduto). Salvo la necessità che il terzo sia comunque specificamente individuato e la possibilità da parte sua di comunicare l'inesistenza di rapporti con il debitore. Colui che ista per l'ordine di versamento diretto deve provare l'esistenza del diritto all'assegno (salvo che l'istanza venga proposta in corso di causa) mentre il resistente dovrà fornire la prova dell'intervenuto adempimento, sicchè l'inadempimento risulta assai facile da dimostrare. La prova è tendenzialmente documentale, risultando utile, ad esempio, la produzione di una diffida e messa in mora o dell'atto di precetto notificato. E' il creditore a dover individuare il datore di lavoro non esistendo in merito un potere ufficioso del Giudice (Trib. Modena 7 marzo 2006), ma, onde non gravare l'istante di un onere eccessivo, è ragionevole l'utilizzo del quadro indiziario fornito, laddove la specifica individuazione sia difficoltosa. La Corte Costituzionale ha esteso la possibilità di chiedere l'ordine di versamento diretto anche in fase istruttoria (Corte Cost. 6 luglio 1994 n. 278) e quindi al Giudice Istruttore avanti al quale pende la causa (se richiesto, e solo ove la domanda si formulata in via autonoma, ad esempio nell'ambito di un procedimento ex art. 710 c.p.c., dovrà essere versato il contributo unificato). E' discutibile invece che il versamento possa essere disposto dal Presidente in sede di udienza ex art. 708 c.p.c., presupponendo l'art. 156 l'inadempimento di un provvedimento giudiziale già emesso, che quindi non può essere esistente nella fase introduttiva del giudizio di separazione. Astrattamente la decisione potrebbe essere assunta anche inaudita altera parte ma normalmente, previa notifica del ricorso con annesso decreto all'interessato, viene fissata un'udienza ad hoc. La procedura prevista dall'art. 156 comma 6 si applica anche nel corso del giudizio di divorzio a tutela dell'assegno per il coniuge fino al passaggio in giudicato della sentenza parziale sullo status (Cass. civile 22 aprile 2013 n. 9671 cit.) così come in seno a un procedimento di modifica ex art. 710 c.p.c. Infine il versamento diretto può essere richiesto per la prima volta nell'ambito del giudizio d'appello (Cass. civile 19 dicembre 2003 n. 19527). Si esclude che l'ordine di pagamento diretto possa essere contenuto in un accordo stipulato a seguito di negoziazione assistita, nulla prevedendo la legge in tal senso: d'altro canto l'ordine presuppone l'intervento del Giudice, che non può ritenersi supplito dall'autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Dopo il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o comunque dopo l'emissione del provvedimento definitivo, la competenza spetta al Tribunale in composizione collegiale con le forme del procedimento in camera di consiglio, ossia nel contesto della domanda di revisione o anche solo di un procedimento azionato appositamente per ottenere l'ordine di versamento. Anche coloro che reputano possibile che l'ordine di pagamento diretto sia emesso in sede di udienza presidenziale, escludono che sia poi impugnabile autonomamente ex art. 708 comma 4 c.p.c., bensì ammettono tutt'al più che sia reclamabile insieme ai provvedimenti presidenziali; è da escludersi anche che possa essere impugnato ex art. 669 terdecies non essendo annoverabile tra le misure cautelari (Cass. civile 17 luglio 1997 n. 6557, Cass. civile 2 febbraio 2012 n. 1518). Laddove invece l'ordine di versamento sia emesso all'esito di un autonomo giudizio (promosso nelle forme del procedimento camerale in camera di consiglio), esso è reclamabile in Corte d'Appello ex art. 739 c.p.c. Infine, ai sensi dell'art. 156 ult. Comma, l'ordine di versamento diretto è sempre revocabile o modificabile se sopravvengono giustificati motivi (che non sono mai rappresentati dall'adempimento successivo da parte dell'onerato): dal Giudice Istruttore se la domanda è proposta in corso di causa, prima del passaggio in giudicato; dalla Corte d'Appello, dopo il passaggio in giudicato dal Tribunale collegiale con le forme del procedimento in camera di consiglio.
Il provvedimento recante l'ordine di versamento diretto va notificato al terzo in copia autentica, senza l'apposizione della formula esecutiva, possibilmente già indicando le modalità per il pagamento. Nel silenzio della legge sul punto, l'orientamento prevalente esclude la possibilità dell'azione diretta nei confronti del terzo in caso di inadempimento; a ben vedere tuttavia una soluzione simile finirebbe per vanificare la tutela del creditore, tanto più che in caso di divorzio l'art. 8, come vedremo, prevede la possibilità dell'azione esecutiva diretta nei confronti del terzo. Resta certamente la possibilità di procedere nei confronti del terzo che si rifiuti di ottemperare all'ordine di pagamento diretto sia ai sensi dell'art. 388, comma2 c.p., che agire per il risarcimento del danno in sede civile o procedere con il pignoramento presso terzi. Il pagamento diretto disciplinato dall'art. 8, comma 3, l. 898/1970 si differenzia dal procedimento ex art. 156 comma 6 c.c. in quanto 1) non richiede l'intervento del Giudice, 2) se rivolto al datore di lavoro o all'ente previdenziale ha ad oggetto il 50% della somma dovuta, 3) il creditore ha azione esecutiva diretta nei confronti del terzo inadempiente
Presupposti per la legittimità del procedimento sono: a) l'esistenza, nei confronti di uno degli ex coniugi al pagamento dell'assegno divorzile, di un provvedimento giudiziale esecutivo di condanna (poiché la norma fa riferimento alla corresponsione periodica di un assegno, si esclude che l'ordine possa essere disposto in caso di liquidazione una tantum dell'assegno), b) l'esistenza di un terzo obbligato a corrispondere somme periodiche di denaro all'ex coniuge debitore dell'assegno L'art. 8 dispone una serie di adempimenti da attuarsi da parte dell'interessato, che si rivolgerà direttamente al terzo nel caso di inadempimento (non mero pericolo quindi) che si protragga da oltre un mese. L'inadempimento può essere anche parziale , salvo il diritto del creditore, nel prosieguo, di ottenere dal terzo il versamento per l'intero. L'effetto del procedimento de quo è di costituire un rapporto obbligatorio tra il creditore dell'assegno e il debitor debitoris, oltre a legittimare un'azione diretta esecutiva nei confronti di un terzo, seppur questi non abbia partecipato al procedimento nell'ambito del quale si è costituito il titolo per cui si procede. Infine, la tutela è preventiva, cioè riguarda solo le rate che verranno a scadere, mentre per quelle pregresse scadute occorre procedere con l'espropriazione del credito presso terzi. Il procedimento è scansionato per fasi: 1) In primo luogo, l'avente diritto deve inviare all'obbligato una lettera di messa in mora (termine usato impropriamente dal legislatore) a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. Gli interessi si calcolano dalla data in cui l'assegno deve essere corrisposto, e non dall'invio della raccomandata; 2) Trascorsi inutilmente 30 giorni (decorrenti, prudenzialmente, dall'effettiva ricezione della raccomandata da parte dell'obbligato), il creditore, se l'inadempimento persiste, deve notificare al terzo (debitor debitoris) un invito al pagamento diretto unitamente al provvedimento che determina l'importo dell'assegno dovuto e copia della cd. messa in mora. 3) L'avvenuta notificazione va comunicata, a cura dell'avente diritto, all'obbligato, debitore principale. In alternativa la notifica di cui alla fase precedente va fatta anche nei confronti di costui, oltre che del terzo. L'obbligo per il terzo decorre dal mese successivo al perfezionamento della succitata procedura. 4) Ove il terzo non adempia, l'avente diritto ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti (Trib. Roma 17 settembre 2013) Posto che anche per il pagamento diretto il presupposto è l'inadempimento del versamento dell'assegno disposto da un provvedimento dell'autorità giudiziaria, diversamente da quanto previsto per la separazione (art. 156 comma 6 c.c.), l'inadempimento non è previamente accertato dal Giudice, né, si reputa, deve già sussistere allorchè si avvia la procedura, poiché la norma prevede che l'inadempimento perduri per almeno 30 giorni ma non impedisce che la raccomandata venga inviata prima che l'inadempimento si sia verificato. In tal modo si tutela l'avente diritto contro ritardi eccessivi nel pagamento che potrebbero essere pregiudizievoli. L'adempimento parziale o tardivo (ma successivo al trentesimo giorno dalla ricezione della raccomandata) non arresta la richiesta di pagamento diretto al terzo. L'oggetto dell'ordine di pagamento diretto è il medesimo previsto dall'art. 156 comma 6 c.c., quindi destinatario è in primis il datore di lavoro, ma esiste una sostanziale differenza rispetto alla disciplina codicistica, rappresentata dal limite quantitativo disposto dall'art. 8 comma 6 l. 898/1970, a norma del quale «Lo Stato nonchè gli altri enti indicati nell'art. 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, nonché gli altri enti datori di lavoro cui sia stato notificato il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno e l'invito a pagare direttamente al coniuge cui spetta la corresponsione periodica, non possono versare a quest'ultimo oltre la metà delle somme dovute al coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumenti accessori». Il limite opera quindi solo per i dipendenti del settore pubblico o parificato, seppure taluno ritenga che si estenda anche ai dipendenti privati, ma, si osserva, una simile interpretazione introdurrebbe una ingiustificata disparità rispetto all'ordine di pagamento diretto ex art, 156 comma 6 c.c.. Non si applica per certo ai rapporti libero professionali. La ragione della diversità di disciplina tra il contesto separativo e quello divorzile, sta nel fatto che nel primo è previsto un controllo del Giudice che dovrebbe bilanciare i contrapposti interessi, anche a mente del fatto che stante l'art. 156 comma 2 c.c. il Tribunale, nel determinare l'importo dell'assegno, deve operare una valutazione complessiva delle rispettive situazioni economico patrimoniali delle parti, mentre in fase divorzile l'ordine di pagamento diretto non presuppone alcun previo controllo da parte del Giudice.
Nel caso di inadempimento da parte del terzo, l'avente diritto ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti. La tesi prevalente ritiene che l'esecuzione avvenga nelle forme dell'espropriazione. Dal punto di vista pratico, l'avente diritto deve notificare al terzo l'atto di messa in mora all'obbligato principale, unitamente all'invito al terzo e la comunicazione al debitore principale, il tutto munito di formula esecutiva (per quanto ciò desti perplessità trattandosi di un atto di parte). Contestualmente va notificato l'atto di precetto. Nell'ipotesi in cui le somme che dovrebbero essere versate dal terzo risultino già pignorate, a norma dell'art. 8 comma 5 il processo esecutivo prevale su quello di cognizione se al momento della notificazione dell'ordine al terzo sia già in atto un pignoramento nei confronti dell'ex coniuge debitore. Il coniuge creditore potrà intervenire in quel processo esecutivo concorrendo con gli altri creditori ma in via privilegiata, avendo il suo credito natura elementare (Corte Cost. 21 gennaio 2000 n. 17). Al terzo è riconosciuta la possibilità di far valere i fatti che attengono al suo rapporto con l'obbligato al versamento dell'assegno; potrà far valere vizi sia formali che sostanziali attraverso un giudizio di accertamento negativo secondo le regola del procedimento ordinario (Trib. Genova 31 agosto 2000). Una giurisprudenza ha ritenuto ammissibile (sia per il terzo che per il debitor debitoris) anche il ricorso alla tutela ex art. 700 c.p.c. in pendenza dei termini per proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. per inibire al creditore l'inizio dell'esecuzione (Cass. civile 23 febbraio 2000 n. 2051) Anche al debitore principale è data la possibilità di far valere vizi formali e sostanziali relativi al procedimento avviato dall'avente diritto all'assegno, il tutto, analogamente al terzo, mediante azione di accertamento negativo. La revoca o modifica del pagamento diretto avviene per il tramite dell'autorità giudiziaria adita tramite un giudizio ordinario di cognizione instaurato secondo le norme del codice di procedura civile. Non è sufficiente il mero adempimento per chiedere la revoca da parte dell'obbligato debitore principale, avendo la previsione normativa anche finalità preventiva. Nella diversa ipotesi in cui l'obbligato abbia ottenuto una modifica dell'importo dell'assegno attraverso il procedimento di revisione ex art. 9 l. 898/1970, sarà sufficiente la notifica al terzo del provvedimento modificativo di quello che aveva originato il pagamento diretto. Il pagamento diretto dell'assegno da parte del datore di lavoro è una delle tutele previste anche a garanzia del mantenimento della prole. Tuttavia vige una diversa disciplina del procedimento secondo i contesti in cui ci si trovi ad operare: 1) In caso di separazione si applica l'art. 156 comma 6 c.c. che prevede, come visto, l'intervento del Giudice (Trib. Milano ordinanza 15 novembre 2013); 2) In caso di divorzio, si applica l'art. 8, comma 3 l. 898/1970 che consente al genitore creditore di procedere in via stragiudiziale nei modi anzidetti 3) Nei casi di figli non matrimoniali, la disciplina è tutt'altro che chiara, alla luce dell'ambigua formulazione dell'art. 3, comma 2 l. 219/2012 In particolare, con l'art. 3, comma 2, legge 10 dicembre 2012 n. 219 (che ha unificato la tutela per tutti i figli), vengono estese alla filiazione non matrimoniale alcune regole già dettate per quella “legittima” in caso di separazione o divorzio, tra le quali l'ordine di pagamento rivolto al terzo quale strumento di cui il genitore può avvalersi nei confronti dell'altro che non adempia all'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli. Inoltre, l'ordine di distrazione viene svincolato dall'esistenza di un inadempimento pregresso, sulla base, si reputa, di una complessiva valutazione delle circostanze che lascino presupporre anche solo un pericolo di inadempimento, tutto ciò evidentemente nell'ottica di rendere per i figli la tutela ancora più pregnante. La norma, stante il tenore letterale, non è di facile interpretazione poiché, da un lato, prevede che l'ordine al terzo provenga dal giudice, dall'altro lato dispone che sia applicabile “quanto previsto dall'art. 8, comma 2 e ss. l, n. 898/1970”, secondo cui, l'ordine nei confronti del terzo, per dare attuazione ai provvedimenti sul mantenimento che siano stati pronunciati a favore del figlio, proviene non dal giudice ma direttamente dall'altro genitore. E' evidente la difficoltà interpretativa essendo stato richiamato l'art. 8 l. 898/1970, che prescinde dall'intervento giudiziale, nell'ambito di un procedimento che invece lo presuppone. Gli orientamenti sono diversi. Secondo una prima interpretazione, oggi maggioritaria, di matrice giurisprudenziale, che si fonda sul richiamo e quindi sulla prevalenza dell'art. 8, il legislatore avrebbe previsto lo stesso meccanismo operativo in caso di divorzio: quindi spetta al genitore attivarsi e chiedere in caso di inadempimento direttamente al terzo il versamento dell'assegno (Trib. Milano 24 aprile 2013, Trib. Genova 11 ottobre 2018 in questa rivista con nota di Valentina Rascioni Tutela dei figli nati fuori dal matrimonio e art. 3 l. n. 219/2012: ordine del Giudice o procedimento stragiudiziale?) Un altro orientamento, sempre d'origine giurisprudenziale, ritiene che la legge del 2012 abbia introdotto un terzo modello in base al quale il terzo può essere chiamato ad adempiere in luogo del genitore obbligato inadempiente, ma solo successivamente all'ordine di distrazione da parte del Giudice (Trib. Roma 7 gennaio 2015 n. 188, in questa rivista con nota di Alessandro Simeone; Trib. Bari sentenza 25 marzo 2014): se questa interpretazione ha il pregio di unificare la disciplina per tutti i figli, il meccanismo previsto è tuttavia alquanto complesso poiché prima occorre ottenere l'ordine del giudice, e dopo è necessario avviare integralmente la procedura prevista dall'art. 8 l.898/1970, compresa quindi la messa in mora del debitore, la notifica del titolo al terzo e la comunicazione al debitore principale. In dottrina si è ritenuto che in base all'art. 3, comma 2 l. 219/2012 l'intervento del Giudice sostituisca l'invio della raccomandata previsto dall'art. 8 l. 898/1970 (De Filippis, La nuova legge sulla filiazione: una prima lettura, in Famiglia e diritto, 299, 2013), ma così concludendo si prolungherebbero i tempi per la soddisfazione del credito, essendo assai più veloce e pratico l'invio della raccomandata su iniziativa della parte rispetto alla necessità di attendere un provvedimento giudiziale. Altra tesi è quella per cui l'ordine di pagamento diretto previsto dalla l. 219/2012 coesiste con la richiesta di pagamento diretto ex art. 8 l. 898/1970, e presuppone sia la domanda di parte che un pericolo di inadempimento (Tommaseo, La nuova legge sulla filiazione: i profili processuali, in Famiglia e Diritto, 251, 2013): interpretazione che tuttavia non specifica come in concreto opererebbero il meccanismo.
Conclusione
Il quadro normativo è quindi complesso e la disciplina non è uniforme. Certamente le principali perplessità riguardano la disciplina del pagamento diretto dell'assegno di mantenimento per i figli. Nessuna delle interpretazioni offerte può considerarsi prevalente ma è evidente che la tutela innanzi all'inadempimento del dovere di mantenimento dovrebbe essere identica per tutti i figli, semplificata al massimo e possibilmente realizzabile in tempi brevi, prevedendo che l'ordine possa avere ad oggetto importi superiori al 50% delle somme dovute dal terzo all'obbligato principale oltre l'azione esecutiva diretta nei confronti del terzo inadempiente per il pagamento degli importi oggetto dell'ordine. Quindi parrebbe preferibile l'applicazione del meccanismo stragiudiziale previsto dalla legge divorzile, a prescindere dal contesto in cui ci si trovi ad operare e quindi dallo status del figlio. Ma senza un intervento legislativo chiarificatore sul punto, ad oggi la soluzione operativa prevalente è quella del ricorso ai diversi meccanismi su esposti secondo che trattasi di separazione o divorzio, e, per i figli non matrimoniali al procedimento stragiudiziale ex art. 8, comma 3 l. 898/1970, senza il previo ricorso al Giudice.
A.e M. Finocchiaro, Diritto di Famiglia, Milano, 1984, 651 De Filippis Casaburi Separazione e divorzio nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 2004, 438 De Filippis, La nuova legge sulla filiazione: una prima lettura, in Famiglia e diritto, 299, 2013 Tommaseo, La nuova legge sulla filiazione: i profili processuali, in Famiglia e Diritto, 251, 2013 |