Abbandono del figlio: natura permanente dell'illecito endofamiliare
08 Settembre 2020
Massima
L'abbandono genitoriale consistente nella protratta violazione di tutti gli obblighi che il genitore ha nei confronti della prole, integra un illecito endofamiliare permanente, e non la reiterazione di singoli illeciti istantanei. La peculiare natura del danno che investe la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così pure lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa, incide sul dies a quo della prescrizione, individuato nel momento in cui la vittima della condotta di abbandono genitoriale è pervenuta nelle concrete condizioni di esercitabilità del diritto risarcitorio. Il caso
Nel 2013, un figlio quarantatreenne adìva il Tribunale di Livorno chiedendo la condanna del padre al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che egli avrebbe patito per essere stato da questi abbandonato sin dalla nascita. Il padre si costituiva in giudizio resistendo alle richieste del figlio, che venivano rigettate dal Tribunale. Quanto al danno patrimoniale, il giudice riteneva che la liquidazione fino al compimento della maggiore età fosse già stata effettuata e coperta dal giudicato sul mantenimento, riferendosi evidentemente alla sentenza di accertamento della paternità; dichiarava prescritto il diritto al mantenimento per il periodo successivo alla maggiore età, e, comunque, infondata la domanda per assenza dei presupposti probatori di merito. Riguardo invece ai danni non patrimoniali, esistenziale, morale e biologico, anche per essi riteneva decorsa la prescrizione, aggiungendo che gli stessi erano comunque indimostrati. Ladecisione del giudice di prime cure veniva confermata dalla Corte d'Appello di Firenze, la quale affermava la natura istantanea ad effetti permanenti dell'illecito endofamiliare in questione - trattandosi, secondo il giudice d'appello, di violazioni sistematiche reiterate (consistenti nel non eseguire correttamente giorno per giorno la prestazione paterna) - e, sulla stessa linea del primo giudice, riteneva perciò prescritto il diritto al risarcimento del danno. La vicenda giungeva così dinanzi ai giudici della Corte di Cassazione. Tra i motivi di ricorso, il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2935 e 2947 c.c., per avere la corte territoriale qualificato il danno endofamiliare come illecito istantaneo ad effetti permanenti deducendone la maturata prescrizione quinquennale. Sosteneva infatti il ricorrente che il padre avrebbe tenuto una ininterrotta condotta illecita di totale disinteresse e disprezzo e, che, nel caso concreto, si sarebbero verificate mancanze continue e complesse dalla nascita all'azione giudiziaria esercitata: una “omissione unica” durata quarant'anni. Nell'arco temporale interessato non sarebbe dunque identificabile “un singolo illecito, il suo inizio, la sua cessazione”, e la prescrizione, ai sensi dell'art. 2935 c.c., decorrerebbe dalla cessazione dell'illecito permanente. Il ricorrente si doleva altresì del fatto che la corte territoriale avrebbe male interpretato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, scambiandola con una domanda di maggior contribuzione economica e trascurando che l'obbligo di assistenza del figlio non avrebbe un contenuto fisso (come gli alimenti), dovendo essere determinato in base alle effettive esigenze del figlio e alle condizioni patrimoniali e sociali di ogni genitore. Il figlio, quindi, avrebbe diritto a un livello di vita correlato alle possibilità economiche dei genitori, che nel caso in esame il padre gli avrebbe inibito, negandogli in particolare un congruo inserimento sociale e lavorativo. Da qui la richiesta di risarcimento dei danni relativi alla perdita di chances lavorative. Anche questo, ad avviso del ricorrente, costituirebbe illecito permanente con effetti permanenti, in quanto mai cessato, per il quale non sarebbe maturata la prescrizione. La questione
L'ordinanza in commento, inserendosi nel più ampio tema della responsabilità civile nei rapporti familiari, affronta la questione della natura istantanea o permanente dell'illecito endofamiliare derivante dalla violazione degli obblighi genitoriali, e delle ricadute in termini di prescrizione del relativo diritto del figlio abbandonato di far valere le proprie pretese risarcitorie. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione, muovendo da un articolato excursus giurisprudenziale sul tema, si sofferma sulla natura dell'illecito endofamiliare nella vicenda in esame, ritenendo non sostenibile la qualificazione operata dalla corte territoriale che lo riconduce nello schema istantaneo ad effetti permanenti. Invero, secondo l'ordinanza de qua, ciò è in parte evidenziato dallo stesso giudice d'appello che considera quale esempio di illecito permanente “un mancato pagamento”, perdurante come illecito “finché non sopraggiunge l'adempimento”. Orbene, la Corte di Cassazione precisa che l'abbandono genitoriale consiste in realtà nel “mancato adempimento”, protratto per un minimum temporale di rilevanza, di tutti gli obblighi che il genitore ha nei confronti della prole: una completa e costante assenza del genitore nella vita filiale, dunque, che è un perfetto esempio di omissione permanente, ontologicamente diversa dalla reiterazione di singoli illeciti istantanei. In ordine alla prescrizione del diritto al risarcimento affermata dalla sentenza impugnata, i giudici di legittimità richiamano i principi sanciti dalla sentenza delle Sezioni Unite, Cass. civ. sez. un., n. 576/2008, sulla “concreta percepibilità del danno”. La Corte di Cassazione considera l'abbandono protratto della prole una forma di illecito in relazione alla quale la concreta capacità della persona danneggiata di esercitare il diritto risarcitorio, ossia la concreta percepibilità completa del danno, assume un peculiare rilievo, derivante dalla natura parimenti peculiare del danno. Chiarisce infatti la Corte che tale illecito produce anche un danno non patrimoniale lato sensu psicologico - esistenziale, ovvero che investe direttamente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così pure lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa. Si legge nell'ordinanza in commento che la capacità di percepire correttamente e reagire conseguentemente viene acquisita dalla vittima dell'abbandono quando questa si svincola dall'incidenza percettiva e comportamentale del notorio istintivo desiderio filiale di un rapporto positivo con il genitore, per raggiungere una maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso; vale a dire, la piena autonomia, la capacità di percepire la reale situazione a sé pregiudizievole e di assumere attive decisioni di contrasto con la persona “desiderata”. Ne consegue che, secondo i giudici di legittimità, il primo dies da cui prendere le mosse, non va individuato nel momento in cui si è configurata la condotta di abbandono del padre (per di più erroneamente intesa dal giudice d'appello come un illecito istantaneo ad effetti permanenti), bensì, mutuando l'insegnamento delle Sezioni Unite, nel momento in cui la vittima della condotta di abbandono genitoriale è pervenuta nelle concrete condizioni di esercitabilità del diritto risarcitorio sopra descritte. Soltanto quando si è raggiunto tale dies a quo, quindi, nel caso di illecito permanente può scattare la progressività del de die in diem. Sulla base di tali considerazioni la Suprema Corte accoglie integralmente il ricorso, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Firenze affinché applichi i principi di diritto espressi in ordine alla natura permanente dell'illecito endofamiliare nel caso esaminato e alla determinazione del dies a quo prescrizionale. Osservazioni
Il provvedimento in commento si colloca nel percorso evolutivo che ha condotto alla coniugazione delle regole della responsabilità civile, un istituto per sua natura legato ad una logica di tipo patrimonialistico, con quelle della famiglia, tradizionalmente governata da regole e rimedi giuridici propri, e per lungo tempo definita con una nota metafora, un' “isola che il mare del diritto può lambire, ma soltanto lambire” (Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali del Seminario giuridico dell'Università di Catania, VIII, Napoli, 1949, 57). Orbene, la responsabilità civile fa il suo ingresso nei rapporti familiari a seguito del superamento dell'arcaica concezione della famiglia intesa come istituto pubblicistico nel codice civile del 1942, fondata essenzialmente su una struttura di tipo gerarchico e autoritario, i cui interessi avevano il primato su quelli individuali. Una famiglia caratterizzata dalla immunità dei suoi membri nella loro condotta nei confronti degli altri familiari, e, pertanto, impermeabile alla tutela aquiliana. Tale assetto muta con la riforma del diritto di famiglia del 1975 e la graduale realizzazione del modello di famiglia voluto dalla Costituzione ed espresso dagli artt. 29 c. 2 e 30 Cost.. Si pone finalmente al centro dell'attenzione la posizione del singolo all'interno del nucleo familiare, quale titolare di situazioni giuridiche tutelate dall'ordinamento, non suscettibili più di alcuna limitazione nei confronti degli altri membri della famiglia. Il ruolo di centralità assunto dall'individuo nell'ordinamento giuridico - rafforzato dalla parallela evoluzione giurisprudenziale del danno alla persona attraverso una rilettura dell'art. 2059 c.c. in una chiave “costituzionalmente orientata” - non consente eccezioni al principio di tutela dei diritti fondamentali, qualora la lesione di tali diritti sia riconducibile alla condotta posta in essere in violazione di un dovere familiare. Superata pertanto l'era della ingiustificabile immunità familiare, il consolidato orientamento formatosi in dottrina (fra gli altri si segnalano: Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano,1984; Dogliotti, La famiglia e l' “altro” diritto: responsabilità civile, danno biologico, danno esistenziale, in Famiglia e diritto, 2001, 159; Ferrando, La crisi coniugale tra rimedi tradizionali e responsabilità civile, in Rapporti familiari e responsabilità civile, a cura di Longo, Torino, 2004; Facci, La responsabilità dei genitori per violazione dei doveri genitoriali, in La responsabilità nelle relazioni familiari, a cura di Sesta, Torino 2008; nonché, Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2009) e in giurisprudenza (significative in proposito: Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713; Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801; Cass. civ., sez. I, 15 settembre 2011, n. 18853) da tempo oramai ammette l'estensione del rimedio risarcitorio ai rapporti familiari, pur in presenza di concorrenti strumenti tipici di tutela, ove la violazione dei doveri, la cui giuridicità è oggi indiscussa, cagioni la lesione di diritti fondamentali della persona. Tale orientamento viene ribadito dalla pronuncia in commento, che - nella sua articolata motivazione che conduce alla qualificazione di illecito permanente della fattispecie in esame - richiama gli arresti giurisprudenziali più recenti in materia di violazione dei doveri nascenti dal rapporto di filiazione (Cass. civ., sez. I, 10 aprile 2012, n.5652; Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205; Cass. civ.,sez. 6-3, 16 febbraio 2015, n. 3079). Il leitmotiv di tali pronunce è il richiamo dei giudici sul disvalore rappresentato dalla situazione del figlio che, a causa della trascuratezza e dell'abbandono da parte del genitore, si veda ingiustamente privato del rapporto intrafamiliare costituzionalmente garantito e di ogni assistenza morale ed economica durante il delicato periodo di sviluppo e di formazione della propria personalità. Ora, posto che gli obblighi genitoriali sorgono con la nascita del figlio e trovano, quindi, per giurisprudenza consolidata, la loro fonte nella procreazione, è indubbio secondo la Suprema Corte, la quale in proposito cita la sentenza 5652/2012, “come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30) e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela” (Cass. civ., sez. I, 10 aprile 2012, n. 5652). Ed è proprio la considerevole protrazione temporale di per sé, secondo la pronuncia in commento, a portare al livello di disvalore costituzionale la condotta illecita, la quale, se fosse episodica integrerebbe soltanto una violazione delle norme ordinarie relative agli obblighi genitoriali. Uno degli aspetti nevralgici dell'illecito endofamiliare riguarda la prescrizione del diritto risarcitorio. In passato, così come si legge nell'ordinanza de qua, la Corte di Cassazione si è era già espressa sulla prescrizione in una fattispecie tuttavia diversa rispetto a quella del protratto abbandono genitoriale (Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2016, n. 6833): si trattava di una richiesta risarcitoria a seguito della scoperta da parte del figlio delle cartelle cliniche relative a due suoi ricoveri presso un ospedale psichiatrico, dovute ad ingiustificate e pressanti richieste del padre. In tal caso l'illecito endofamiliare era evidentemente istantaneo e soggetto alla prescrizione quinquennale con decorrenza dal momento di consumazione. La questione pratica sollecitata dall'ordinanza in commento è invece relativa al dies a quo prescrizionalein vicende, come quella di cui si discorre, in cui vi è una divaricazione tra il manifestarsi del danno e la concreta capacità di percepirlo da parte del danneggiato. La Corte di Cassazione muove dall'insegnamento delle Sezioni Unite del 2008, n. 576, il quale ha comportato un “revirement soggettivistico” per l'individuazione del dies a quo. Si assiste infatti all'ingresso nel processo di una componente psicologica legata alla percepibilità del danno da parte della vittima, come tale estranea ad un'interpretazione meramente letterale degli artt. 2935 e 2947 c.c.. La Corte estende la portata di tale principio di diritto, ritenendo che l'elemento soggettivo della concreta percepibilità, pur se temperato tramite i parametri dell'ordinaria diligenza, debba conformarsi ad ogni tipo di danno, giacché l'interpretazione delle norme del codice civile relative alla prescrizione non può essere governata da un favor esclusivo nei confronti del danneggiante. Ciò nell'ottica di un bilanciamento degli interessi delle parti e dei valori ad essi sottesi fatti propri dall'ordinamento giuridico. Lontani oramai i tempi dell'isola jemoliana che il mare del diritto poteva soltanto lambire, indubbiamente i principi affermati dalla Corte di Cassazione costituiscono oggi un nuovo tassello nell'evoluzione della responsabilità aquiliana nella famiglia. Il provvedimento in commento va nella direzione di un rafforzamento della tutela del familiare danneggiato, di un adeguamento delle regole sulla prescrizione alle peculiarità dell'illecito di protratto abbandono della prole, e, nel caso specifico, alla concreta capacità del figlio di percepire il danno, una volta svincolatosi dal desiderio di un legame affettivo con il genitore che lo ha rifiutato, e di reagire per la riparazione dei pregiudizi subìti. A. Fasano, S. Matone, I conflitti della responsabilità genitoriale, Milano, 2013; G. Facci (a cura di), Il danno endofamiliare, in Famiglia e diritto, 2011, 12, 1147; L. Mormile, L'illecito endofamiliare, in Studium Iuris, 2015, 1, 41; D. Marcello, La responsabilità genitoriale e il danno endofamiliare, in Giur. It., 2015, 11, 2333; A. Scalera, Il danno da deprivazione della figura paterna: alcune incertezze applicative, in Famiglia e diritto, 2018, 4, 399. |