La Suprema Corte interviene nuovamente su un tema che, purtroppo, è facile pronosticare diverrà ancor più attuale, in presenza di scenari economici imprevedibili nel breve e medio orizzonte.
Più in dettaglio, indaga quando il contribuente che non abbia versato l'Imposta sul Valore Aggiunto possa ritenersi incolpevole, restando la sua condotta non rimproverabile (o, secondo diverso indirizzo dottrinale, non potendo qualificarsi come antigiuridica).
Lo fa, esprimendosi anche su come possa declinarsi l'istituto della prescrizione in rapporto alle diverse ipotesi di sospensione del decorso del termine, che si sono stratificate nel periodo dell'emergenza sanitaria mediante successive disposizioni aventi forza di legge.
Il caso. L'inchiesta prende le mosse quasi 10 anni fa, per l'accertata omissione, da parte di un imprenditore veneto, del versamento di circa 360.000 euro, riferiti all'IVA incassata nell'anno di imposta 2011.
Ad esito dell'istruttoria il Tribunale territorialmente competente ne dichiarava la penale responsabilità, disattendendo la tesi che collocava le sue azioni nell'ambito di una grave crisi aziendale, alla quale l'imputato non era riuscito a far fronte in alcun modo, malgrado avesse attinto al proprio patrimonio personale.
La Corte distrettuale riformava la pronuncia di prime cure, confermando la condanna a mesi 5 di reclusione, che già escludeva la ricorrenza della circostanze attenuanti generiche, ma disponendo la sospensione condizionale della pena.
Interpone ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'interessato, denunciando error in iudicando: da un lato, poiché i Giudici d'Appello avrebbero ingiustamente escluso l'inesigibilità della prestazione tributaria, derivante da uno stato di decozione inaffrontabile pur accedendo a risorse esterne all'azienda, dichiarata poi fallita proprio su domanda dell'Agenzia delle Entrate; dall'altro, poiché sarebbe stato erroneamente negato il beneficio delle attenuanti generiche, valorizzando precedenti oggetto di depenalizzazione a scapito di una serie di comportamenti dell'imputato, che s'era comunque adoperato facendo tutto il possibile per corrispondere il dovuto all'erario.
Con successiva memoria, in via subordinata, la difesa richiede la declaratoria di estinzione del reato ovvero, qualora il termine di legge non fosse considerato perento a causa della recentissima sospensione del computo, la remissione degli atti alla Consulta, affinché possa valutare la legittimità dell'art. 83, d. l. n. 18/2020 nella parte in cui avrebbe individuato, con efficacia retroattiva ed in spregio all'art. 25, comma 2, Cost., una nuova ipotesi di sospensione della prescrizione penale, applicabile anche a crimini perfezionatisi prima della sua entrata in vigore.
Il Collegio – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva chiesto l'annullamento senza rinvio della decisione impugnata – rigetta il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
L'Estensore esamina partitamente le doglianze, a partire dalla prima dedotta con il ricorso principale, che in ogni caso meriterebbe attenzione preliminare rispetto alla possibilità di proscioglimento – o di incidente di costituzionalità – lumeggiata con l'atto successivo del ricorrente; risolve più sinteticamente, condivisibilmente, il motivo sul trattamento sanzionatorio, volto a censurare valutazioni di merito immuni da carenze di carattere logico.
L'inesigibilità della condotta. Ed invero, risulta centrale la riflessione sul precetto contestato, per poterne delimitare il campo di applicabilità.
In proposito, gli Ermellini sottolineano: in primis, l'impossibilità di sostenere l'esistenza di cause di giustificazione e di esclusione della colpevolezza ulteriori rispetto a quelle codificate, rimanendo precluso lo strumento dell'analogia; secondariamente, che l'inadempimento tributario di specie – ricollegabile pure ad una negligente pratica commerciale, quando corrisponda ad un mancato accantonamento all'epoca dell'incasso delle fatture – può essere attribuito a forza maggiore solo qualora derivi da fatti non imputabili né governabili all'imprenditore, ai quali egli non abbia potuto tempestivamente porre rimedio, nonostante i suoi sforzi concreti (si cita, sul punto, Cass., Sez. III Pen., n. 8352/2015).
La crisi d'impresa, invece, era qui manifesta da anni e le omissioni erano frutto della precisa scelta imprenditoriale di privilegiare una diversa destinazione delle risorse impiegate per (tentare di) ricapitalizzare la società, con conseguente assunzione di responsabilità per le conseguenze (anche penali) da parte dell'agente.
I connotati della prescrizione del reato. Quanto all'invocata prescrizione, la Corte di legittimità osserva che, a differenza di quanto prospettato con gli scritti difensivi, l'epoca di introduzione della causa di sospensione del computo rilevante debba riferirsi - condividendo l'opzione promossa da autorevole dottrina - non già alla decretazione d'urgenza del 2020, ma all'entrata in vigore della versione vigente dell'art. 159, comma 1, c.p.p., che contiene il rinvio espresso ad ogni sospensione del procedimento - ergo, pure del processo - «imposta da una particolare disposizione di legge»; fattispecie nella quale possono sussumersi le ultime previsioni dell'Esecutivo.
In questa logica, il prolungamento del decorso del termine è determinato da una disposizione sostanziale posta in un tempo certamente antecedente alla condotta e, pertanto, non solo la quaestio costituzionale diviene manifestamente infondata, ma neppure può dirsi interamente consumato il periodo previsto, senza alcun effetto sul processo in corso e sulla decisione che, con il rigetto dell'impugnazione, diverrà irrevocabile.
Conclusioni. La sentenza in commento espone organicamente i vari punti, definendo con chiarezza i principi giuridici statuiti e potrà dunque costituire un utile riferimento per il giurista pratico che si confronti con la norma incriminatrice oggetto di analisi.
Benché tecnicamente inappuntabile, suscita interrogativi di non poco conto sulle ricadute pragmatiche dell'orientamento così (ulteriormente) consolidato, in una fase nella quale molti potrebbero, nell'oggettiva difficoltà d'accedere a finanziamenti esterni all'azienda, utilizzare i pregressi accantonamenti per la stessa sopravvivenza del tessuto economico, interesse che esorbita, per alcuni versi, il “mero” contesto d'impresa.
Fonte: Diritto e Giustizia