Diagnosi di PAS: il giudice può non condividerla e disporre l'affido condiviso del figlio minore
14 Settembre 2020
Massima
La locuzione “sindrome da alienazione genitoriale” non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere da un genitore per emarginare e neutralizzare l'altro. Spetta al giudice valutare, sulla base delle risultanze di causa e dell'ascolto del minore, quale sia il regime di affidamento migliore nell'interesse del figlio minore, pure disattendendo le risultanze di una consulenza tecnica, che era pervenuta a conclusioni diverse, nel presupposto dell'esistenza di un genitore alienante. Il giudice può poi invitare i genitori ad intraprendere un percorso di sostegno alla genitorialità, senza che ciò si traduca in una violazione della libertà personale degli stessi. Il caso
Due coniugi sono coinvolti in un procedimento divorzile assai complesso per il fatto che il figlio, residente con la madre in regime di affidamento condiviso, rifiuta di frequentare il padre. Il Tribunale adotta vari strumenti per comprendere le ragioni di tale atteggiamento e ripristinare la relazione padre/figlio (licenziamento di CTU psicologica, sostegno psicologico per il figlio, presa in carico dei genitori da parte del Servizio sociale, previsione di incontri protetti, affidamento all'Ente). A conclusione del procedimento, dato atto di un parziale miglioramento della relazione padre/figlio e dalla condizione psichica di quest'ultimo, il Tribunale, discostandosi dalle conclusioni del CTU, che aveva individuato nel figlio una Pas perpetrata dalla madre, torna a prevedere l'affidamento condiviso, con la prescrizione di specifici interventi per il minore (attivazione, da parte del Servizio sociale di un programma di assistenza educativa domiciliare con monitoraggio presso le residenze di entrambi i genitori). Invita poi entrambi i genitori ad intraprendere un percorso di sostegno alla genitorialità. La questione
Numerose le questioni affrontate dalla sentenza commentata, tesa a ricercare soluzioni concrete per garantire al figlio il diritto ad un'effettiva bigenitorialità. Ci si interroga in particolare sul fondamento scientifico della Pas e, comunque, dell'accertamento delle ragioni concrete che possono indurre un minore a rifiutare uno dei genitori. Ci si sofferma poi sui limiti del potere del Giudice nel disporre un percorso si sostegno alla genitorialità. Le soluzioni giuridiche
L'art. 337-ter secondo comma c.c. prevede che, in caso di frattura della coppia genitoriale, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. In questo senso valuta prioritariamente la possibilità di un affidamento condiviso rispetto a quello esclusivo che rimane un regime residuale, come prevede l'art. 337-quater primo comma c.c. Il giudice non è vincolato alle domande delle parti, né alle loro istanze istruttorie. Può così essere licenziata una consulenza tecnica, ovvero richiesta una relazione al servizio sociale; sussiste poi l'obbligo di procedere all'ascolto del minore, come dispone l'art. 337-octies c.c.; può disporsi l'affidamento a soggetti terzi (servizio sociale, piuttosto che parenti del minore), in difetto di adeguate risorse genitoriali o di esacerbata conflittualità. In altri termini, le scienze sociali assumono una rilevanza assai notevole nelle determinazioni afferenti l'esercizio della responsabilità genitoriale. L'ordinamento attribuisce al giudice un notevole potere anche officioso, per la realizzazione del superiore interesse del minore, non considerato in astratto, bensì con riferimento al soggetto coinvolto nella specifica crisi genitoriale. Sovente nelle consulenze tecniche di tipo psicologico viene diagnosticata a carico dei minori una sindrome di alienazione genitoriale (PAS), che, peraltro, ancora nel Manuale Diagnostico DSM 5 non viene classificata come sindrome, ossia un insieme di sintomi inquadrati e classificati in criteri diagnostici suffragati e condivisi dalla letteratura scientifica. Di qui l'approccio giustamente cauto della giurisprudenza che, a prescindere dalla classificazione adottata dal consulente, ha in più occasioni affermato come debba essere esaminato il quadro fattuale agli atti, alla luce anche delle risultanze dell'ascolto del minore, senza assumere a base della decisione la sola diagnosi tecnica, con possibilità, quindi, di discostarsi dalle conclusioni del ctu, modulando diversamente il regime di affidamento, con un'estensione della regola generale per cui il giudice deve intendersi peritus peritorum Osservazioni
Come è noto, la Corte di Strasburgo ha più volte condannato l'Italia per violazione dell'art. 8 CEDU (sulla tutela del diritto al rispetto della vita familiare), per aver il sistema giudiziario omesso di porre in essere misure adeguate per la costruzione o il mantenimento di una relazione tra genitori e figli minori, in caso di crisi del nucleo familiare (tra le decisioni più recenti, Corte EDU 17 novembre 2015, n. 35592; Corte EDU 29 gennaio 2013). Si è così precisato come l'autorità giudiziaria non possa limitarsi ad adottare provvedimenti routinari (quali il disporre accertamenti o far seguire la famiglia dai servizi sociali), dovendo invece intervenire attivamente al fine di assicurare l'effettivo esercizio del diritto di visita di un genitore, ostacolato (in modo diretto o indiretto) dal comportamento dell'altro (Corte EDU 15 settembre 2016. n. 43299). Nel contempo, la Corte ha affermato la necessità dell'adozione di misure concrete ed efficaci per garantire agli ascendenti il rapporto con i nipoti minorenni (Corte EDU 20 gennaio 2015, n. 107/2010). Orbene, nella fattispecie oggetto della sentenza in commento, non può certo dirsi che il Tribunale non si sia attivato per individuare gli strumenti utili a protezione del rapporto tra padre e figlio collocato presso la madre, in un contesto di elevata conflittualità tra i genitori. Il procedimento di divorzio, protrattosi per quattro anni, ha visto nell'ordine: il licenziamento di CTU psicologica sull'idoneità genitoriale delle parti, l'intervento dell'ASL su un disturbo della personalità del minore, un sostegno psicologico per lui, la presa in carico del nucleo familiare da parte del servizio sociale, la previsione di incontri protetti padre/figlio, l'ascolto del minore, l'affidamento di questi al servizio sociale, in luogo di quello condiviso, l'attivazione di un servizio di assistenza educativa nei domicili di entrambi i genitori, l'avvio del figlio ad un percorso psicoterapico. Tutto questo lavoro ha dato buoni frutti, tanto che le parti avevano «dimostrato di saper parzialmente cooperare nell'interesse del figlio», mentre il figlio evidenziava un superamento dell'iniziale disagio relazionale, che lo aveva portato ad esprimere financo propositi suicidari. Il Tribunale pertanto dispone, tra l'altro, il ritorno all'affidamento condiviso del figlio, con collocamento presso la madre, insieme con libere frequentazioni padre/figlio sotto il monitoraggio del servizio sociale, incaricato del compito di facilitazione di detti incontri, come pure di un'assistenza educativa domiciliare a cadenza settimanale. Come si vede, sia nel corso del procedimento, sia in sede di decisione, il Tribunale non si è certo appiattito su misure routinarie e standard, ma ha ricercato soluzioni personalizzate per la salute psichica del figlio minore e per la realizzazione del suo diritto ad un'effettiva bigenitorialità. La sentenza poi è meritevole di considerazione nella parte in cui approccia in modo critico le risultanze peritali, dichiarando «di non condividere gli esiti della consulenza del CTU, con riferimento alla sindrome di alienazione parentale nei termini fatti propri» dalla consulenza stessa. Come è noto, con l'acronimo PAS (sindrome di alienazione genitoriale), nei termini definiti dal suo sostenitore principale, Richard Gardner, si fa riferimento ad una dinamica psicologica disfunzionale, attivata su figli minori in contesti conflittuali di crisi della coppia genitoriale, ovvero di presunta violenza domestica: il bambino è indotto a stringere un “rapporto di fedeltà” con il genitore alienante, che si estrinseca sostanzialmente in un rifiuto del genitore “alienato”. La validità scientifica della PAS è ampiamente contestata dalla letteratura internazionale, tanto che il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM nella quinta edizione) nemmeno la riconosce come sindrome o malattia. Per parte sua, la giurisprudenza di legittimità ha cercato di eludere la questione circa il fondamento scientifico della PAS, non mancando tuttavia di rilevare come detto fondamento debba essere accuratamente vagliato dal giudice di merito, in presenza di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale. In tal senso Cass. 20 marzo 2013, n. 7041 (relativa al famoso caso del bimbo di Cittadella), ove si precisa che: «Di certo non può ritenersi che, soprattutto in ambito giudiziario, possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di giustificare». E ancora si è affermato che, a prescindere dal dare credito o meno all'esistenza della PAS, il giudice deve accertare e verificare, in concreto, le ragioni per cui un figlio rifiuta di frequentare un genitore, utilizzando «i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia (incluso l'ascolto del minore) e anche le presunzioni (desumendo eventualmente elementi anche dalla presenza, laddove esistente, di un legame simbiotico e psicologico tra il figlio e uno dei genitori)» (Cass. 8 aprile 2016, n. 6919). Più recentemente, nel cassare la sentenza di merito che, sulla scorta di una diagnosi di PAS a carico di una madre, aveva disposto l'affidamento esclusivo al padre del figlio minore con immediato allontanamento dalla casa materna di quest'ultimo e collocazione temporanea in una comunità, la Suprema Corte ha evidenziato come detto provvedimento così rigoroso fosse stato assunto sulla base dell'inidoneità genitoriale della madre affermata dalla consulenza tecnica. Nel ribadire come il giudizio sulla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione debba essere formulato sulla base di elementi oggettivi e concreti, tra cui l'ascolto del minore, la sentenza imputa al giudice di merito di non aver nemmeno spiegato «per quale ragione l'affidamento in via esclusiva al padre, previo collocamento temporaneo dello stesso in una comunità o casa-famiglia, costituirebbe l'unico strumento utile ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed ad assicurare al medesimo assistenza e stabilità affettiva, sempre nell'ottica di assicurare l'esercizio del diritto del minore ad un'effettiva bigenitorialità»(Cass. 16 maggio 2019, n. 13274). Giudicando in sede di rinvio, operato dalla prima delle decisioni della Suprema Corte, si è precisato tuttavia che, anche in mancanza di fondamento scientifico della PAS, occorre comunque stabilire se il dato emerso in sede peritale (rifiuto del bambino verso l'altro genitore) sia o meno riconducibile a comportamenti del genitore convivente, allontanando, se del caso, il minore da lui (App. Brescia 17 maggio 2013, in Corr. Merito 2013, 1051). Nel contempo, pure la stessa riscontrata ricorrenza di comportamenti fattuali manipolativi della relazione tra il figlio minore e l'altro genitore (indipendentemente dall'inquadramento nella categoria della PAS) non osta di per sé all'affidamento condiviso, dovendosi se mai assumere tutte le opportune cautele per garantire l'accesso a quel genitore e la costruzione di un rapporto con lui, in nome del diritto del figlio alla bigenitorialità (Cass. 28 settembre 2017, n. 22744). In senso parzialmente difforme Trib. Brescia 22 marzo 2019, pur dando atto dell'atteggiamento critico della comunità scientifica verso la PAS, ne riporta tutti gli indici, scegliendo l'allontanamento del minore dalla madre, senza passaggi intermedi, per collocarla direttamente presso il padre. Il Tribunale di Civitavecchia, invece, preso atto delle adeguate capacità genitoriali di entrambe le parti, della diminuita conflittualità e del sostegno psicologico al figlio, dispone l'affidamento condiviso di questi, sempre con collocamento presso la madre, così revocando il precedente affidamento al servizio sociale, previsto nel corso del procedimento. In questo modo, sono state espressamente disattese le conclusioni del CTU incaricato che, nel presupposto di una PAS, aveva suggerito l'affidamento esclusivo del figlio al padre con residenza presso di lui ed incontri con la madre in forma protetta. Da ultimo, la sentenza in esame invita i genitori ad intraprendere un percorso di sostegno alla genitorialità, con la specificazione della non obbligatorietà della previsione “tanto che è insuscettibile di esecuzione coattiva e priva di conseguenze sanzionatorie personali nel caso in cui rimanga inattuata, salva ed impregiudicata ogni valutazione in ordine al regime di affidamento applicabile”. Il Tribunale di Civitavecchia tiene, dunque, a precisare come l'”invito” rivolto ai genitori non rappresenti una prescrizione, ben consapevole di quanto ebbe ad affermare la Suprema Corte al riguardo (Cass. 1° luglio 2015, n. 13506): una tale prescrizione, infatti, anche a ritenere che non imponga un vero e proprio obbligo a carico delle parti, comunque, le condizionerebbe nell'intraprendere un percorso terapeutico, in contrasto con l'art. 32 Cost. Il semplice invito rappresenta allora un suggerimento, perché si possa realizzare un altro valore, importante quanto la libertà personale degli adulti, quale il miglior interesse del minore, elemento portante di tutto il sistema normativo, convenzionale, eurounitario ed interno. Tale interesse ha carattere metaindividuale e natura pubblicistica: si tratta di elementi che, come affermato in dottrina (DANOVI, L'ordine di effettuare terapie e percorsi di sostegno: i poteri del giudice travalicano davvero la libertà delle parti?, in Fam. Dir. 2016, 556), consentono di derogare anche a principi processuali altrimenti ineludibili come quello della domanda e della corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Il bene della libertà del singolo viene allora compresso non certo per ragioni utilitaristiche a lui solo riferibili, bensì in funzione di uno status (quello genitoriale), cui si ricollegano doveri ed obblighi verso un soggetto minore di età, che dovrebbero prevalere sull'individualità del soggetto. Correttamente il Tribunale di Civitavecchia tiene a rimarcare come la mancata osservanza dell'”invito” sia priva di sanzioni estranee alla tutela del bene protetto, potendo solo rilevare all'interno dello status, con una possibile rimodulazione dell'affidamento, nell'ambito dell'ampiezza dei poteri che spettano al giudice in questo ambito. Del resto, lo stesso art. 337-ter secondo comma c.c., contempla una previsione generale di chiusura del sistema, di particolare importanza, là dove prevede che il giudice possa adottare “ogni altro provvedimento relativo alla prole”, al fine di realizzare l'interesse morale e materiale di essa. Gennari G., Il contributo delle scienze sociali nelle decisioni in materia di responsabilità genitoriale nelle decisioni in materia di responsabilità genitoriale e le capacità di controllo del Giudice, in IlFamiliarista.it; Pajardi, Vagni, Relazioni conflittuali: quando il bambino rifiuta un genitore. Anche, ma non solo, alienazione parentale, in IlFamiliarista.it; Fasano, Figone (a cura di), Crisi delle relazioni familiari, in Pratica professionale, Milano 2019; Russo R., La Cassazione apre parzialmente sulla PAS, in IlFamiliarista.it; Alienazione parentale: la sindrome va accertata sempre con l'ascolto del minore, in IlFamiliarista.it; Casale C., Le modalità di affidamento del figlio devono assicurare la bigenitorialità anche in presenza di PAS, in IlFamiliarista.it; Cecatiello A., In presenza di indici di alienazione, deve essere garantito il diritto alla bigenitorialità, in IlFamiliarista.it.
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