Caso fortuito ed ordinaria diligenza: quando la caduta si verifica in pieno giorno il custode non risarcisce i danni

Francesco Agnino
14 Settembre 2020

Quando il fatto del danneggiato assume il carattere del caso fortuito tale da interrompere il nesso di causalità nella responsabilità ex art. 2051 c.c.?
Massima

Va escluso il risarcimento per danni da cose in custodia allorché venga accertata la mancanza di un nesso di causalità tra la presenza del tombino e dell'avvallamento e la caduta del soggetto danneggiato, posto che la situazione dei luoghi e l'orario diurno costituiscono prova del fatto che l'uso dell'ordinaria diligenza avrebbe evitato la caduta.

Il caso

Parte attrice agiva in giudizio nei confronti del titolare di un centro commerciale per ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della caduta cagionata da un tombino in ferro, sconnesso, non visibile e neppure segnalato. La domanda era rigettata tanto in primo che in secondo grado rilevando che era stata fornita dal custode la prova liberatoria del caso fortuito, identificato nel fatto della danneggiata. Proposto ricorso in Cassazione, i giudici di legittimità confermavano le statuizioni dei giudici di merito, sul rilievo che la situazione dei luoghi e l'orario diurno erano prova del fatto che l'uso dell'ordinaria diligenza avrebbe evitato la caduta.

La questione

Quando il fatto del danneggiato assume il carattere del caso fortuito tale da interrompere il nesso di causalità nella responsabilità ex art. 2051 c.c.?

Le soluzioni giuridiche

Funzione dell'art. 2051 c.c. è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta.

Dalla qualificazione della responsabilità ex art. 2051 c.c.in termini di responsabilità oggettiva discendono importanti conseguenze sul piano dell'onere della prova.

In particolare, al danneggiato spetta soltanto di dimostrare, oltre al danno, il nesso causale tra quest'ultimo e la cosa oggetto di custodia; il custode, dal canto suo, per andare esente da responsabilità, deve provare non già l'assenza di colpa, come sarebbe stato sufficiente secondo la teorica della responsabilità per colpa presunta, ma, piuttosto, l'interruzione di tale nesso causale ovvero l'esistenza di un fattore estraneo alla cosa che abbia cagionato l'evento lesivo.

Benché l'art. 2051 c.c.menzioni espressamente il caso fortuito, il vigente codice non ne fornisce alcuna definizione specifica; cionondimeno con tale espressione è designato l'evento che non poteva essere in alcun modo previsto o, se prevedibile, non poteva essere in alcun modo prevenuto, così come puntualizzato dalla più recente giurisprudenza caso fortuito, dunque, per la nostra legge, è quell'evento che non poteva essere previsto (ad esempio un terremoto).

Ed al caso fortuito è equiparata la forza maggiore, ovvero l'evento che, pur prevedibile, non poteva essere evitato (ad esempio, un evento atmosferico).

Viene, dunque, in rilievo il caso fortuito, testualmente indicato dalla norma in esame come l'oggetto della prova liberatoria da parte del custode e che può definirsi come quel fattore causale, estraneo alla sfera soggettiva e caratterizzato dall'imprevedibilità e dall'eccezionalità (fattore causale comprensivo anche del fatto del terzo o della colpa del danneggiato).

Proprio con riferimento al caso fortuito come fattore causale imprevedibile, la Suprema Corte a più riprese è intervenuta.

Così, trovandosi a decidere un caso in cui un individuo era inciampato nel dislivello di alcuni centimetri formatosi tra il pavimento della cabina dell'ascensore e quello del piano di arresto, aveva cassato con rinvio la sentenza di rigetto della domanda risarcitoria, invitando i giudici di merito a riesaminare la controversia alla luce del principio di diritto per cui «la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può costituire un “caso fortuito”, ed escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., quando abbia due caratteristiche, ovvero sia stata colposa e non prevedibile da parte del custode» (Cass. civ., n. 25837/2017).

In particolare, è stato altresì affermato che il fortuito è tale quando l'evento è imprevedibile da parte del custode; il giudizio di imprevedibilità della condotta della vittima da parte del custode va compiuto guardando al custode e valutando, con giudizio ex ante, se questi potesse ragionevolmente attendersi una condotta negligente da parte dell'utente delle cose affidate alla sua custodia; il custode, per superare la presunzione di colpa a proprio carico, è tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Cass. civ., n. 13222/2016).

L'imprevedibilità dell'evento da parte del custode costituisce, secondo il Supremo Collegio, uno dei due presupposti - oltre alla negligenza della vittima - in presenza dei quali la condotta del danneggiato può qualificarsi come caso fortuito ai fini dell'esonero da responsabilità ex art. 2051 c.c..

Tutte queste affermazioni - in quanto implicano un giudizio sullo stato soggettivo del custode e, più precisamente, sulla prevedibilità o meno da parte sua dell'evento lesivo - si muovono nel solco della teorica della responsabilità ex 2051 c.c. come responsabilità per colpa presunta, e, dunque, in una direzione diversa da quella della responsabilità oggettiva verso la quale la giurisprudenza è oramai da tempo orientata.

Aggiungere alla valutazione dell'imprudenza del danneggiato quella sull'imprevedibilità ex latere custodis vuol dire disorientare, in qualche modo, colui che è chiamato ad applicare l' art. 2051 c.c. inducendolo ad una sorta di strabismo decisionale per cui si deve volgere lo sguardo, al contempo, in due direzioni diametralmente opposte.

Ed, invece, una ricostruzione piana della fattispecie - che muova dal punto fermo costituito dalla natura oggettiva della responsabilità - dovrebbe portare l'interprete, nell'operazione di valutazione dell'esistenza o meno del fortuito, a porre l'attenzione in una sola direzione.

L'attenzione, cioè, non può che concentrarsi sul comportamento del danneggiato, dovendosi verificare se quest'ultimo abbia assunto una rilevanza tale da recidere il nesso causale tra la cosa e il danno; a nulla rilevando, in una lettura della fattispecie in termini di responsabilità oggettiva, il comportamento del custode né tanto meno il suo stato soggettivo.

In questa sede, deve prestarsi adesione a quanto affermato dalla Cassazione, a mente della quale l'imprevedibilità - idonea ad esonerare il custode dalla responsabilità - deve essere oggettiva dal punto di vista probabilistico o della causalità adeguata, senza alcun rilievo all'assenza o meno della colpa del custode (Cass. civ., n. 2482/2018).

È chiaro, dunque, come, alla stregua di tali adamantine indicazioni della Corte, per verificare se, nella fattispecie di responsabilità ex art. 2051 c.c., il comportamento del danneggiato abbia assunto il ruolo di caso fortuito, occorrerà interrogarsi se quella condotta - ad una valutazione ex ante - possa dirsi normale, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit, oppure no.

Così ragionando, non potrebbe dirsi normale e, dunque, costituire un caso fortuito la condotta di chi inciampa per disattenzione in una buca di ampie dimensioni in pieno giorno o di chi, sovrappensiero, non si avvede del dislivello di diversi centimetri creatosi all'ingresso dell'ascensore abitualmente utilizzato.

In questi casi, nella serie causale tra la cosa e il danno si inserisce un fattore giustappunto anormale, eccentrico, che diventa esso stesso la fonte del pregiudizio.

Analizzando l'iter giurisprudenziale, pertanto, si evince come l'interpretazione porti a far assumere connotati oggettivi alla responsabilità del custode, considerando il caso fortuito di cui all' art. 2051 c.c. un elemento impeditivo di tale responsabilità.

Difatti, l'orientamento maggioritario ritiene che il caso fortuito (inteso come elemento impeditivo) sia non il fatto imprevisto e imprevedibile con la diligenza, ma il fatto estraneo al rischio tipico della cosa - ossia il fatto naturale integrante forza maggiore o il fatto dello stesso danneggiato o il fatto del terzo - che incide sul nesso causale in modo da interromperlo, di talché il danno sia causalmente riconducibile non alla cosa ma all'elemento esterno.

Si è affermato così che il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità oggettiva può rinvenirsi anche nella condotta del terzo o dello stesso danneggiato, quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo (Cass. civ., n. 18317/2015; Cass. civ., n. 993/2009).

La nozione di fortuito appare, dunque, molto ampia e comprende ogni fatto idoneo ad interrompere il rapporto di causalità tra la cosa ed il danno, assolutamente imprevedibile e non controllabile da parte del custode.

Osservazioni

Nel caso di danni ex art. 2051 c.c., sussistendo da un lato la figura del custode e dall'altro la figura della vittima, la diligenza deve essere analizzata in due diversi momenti: un primo, con riguardo alla posizione del custode; un secondo, con riguardo alla condotta della vittima.

Difatti, la possibilità che la colpa del danneggiato integri il caso fortuito non significa che la ricorrenza della prima implichi di per sé la sussistenza del secondo.

Anche altre recenti sentenze hanno specificato che la prova liberatoria di cui all'art. 2051 c.c. è circoscritta esclusivamente al caso fortuito, non potendosi operare una presunzione di sussistenza di quest'ultimo ogni qualvolta vi sia una condotta negligente del danneggiato.

Nelle ipotesi in cui è stata esclusa la responsabilità del custode, difatti, la giurisprudenza non si è mai limitata ad identificare la colpa del danneggiato nel caso fortuito, ma ha sempre richiesto un quid pluris: le condotte ascrivibili al danneggiato possono portare all'esclusione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., solo quando sono connotate dai caratteri della imprevedibilità, anormalità ed eccezionalità (Cass. civ., n. 4390/2017).

Di conseguenza, dovendo ritenere ormai granitica la giurisprudenza che riconosce la natura di responsabilità oggettiva della norma in esame, è evidente che, per verificare la sussistenza del caso fortuito (evento imprevedibile ed eccezionale), si deve aver riguardo al criterio della diligenza del custode-agente medio (a quell'homo eiusdem condicionis et professionis tanto richiamato in diritto penale) e all'incidenza causale della condotta del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso.

L'eventuale negligenza della vittima non è da sola sufficiente ad escludere la colpa del custode: quest'ultimo è considerato responsabile dall'ordinamento in forza di una responsabilità oggettiva, che consente di mandarlo esente da obblighi risarcitori solo nell'ipotesi in cui l'evento esterno si inserisca nel decorso causale in modo del tutto anomalo ed imprevedibile.

Proprio con riferimento a tali ipotesi, la giurisprudenza ha precisato che il fatto del terzo e la colpa del danneggiato escludono la responsabilità del custode in quanto intervengano, nella determinazione dell'evento dannoso, con un impulso autonomo e con i caratteri dell'imprevedibilità ed inevitabilità (Cass. civ., n. 24755/2008), i quali non ricorrono nel fatto che il custode può prevenire esercitando i poteri di vigilanza che gli competono (Cass. civ., n. 1655/2005).

È stato infatti affermato che, per ottenere l'esonero dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., il custode deve provare che il fatto presenti i requisiti dell'autonomia, dell'eccezionalità, dell'imprevedibilità, dell'inevitabilità e che sia, quindi, idoneo ad interrompere il nesso causale tra cosa in custodia e danno e il rapporto di custodia tra il soggetto e la cosa stessa, concretando così gli estremi del caso fortuito (Cass. n. 18317/2015; Cass. civ., n. 20619/2014).

Le sentenze più rilevanti che si sono concentrate sulla potenziale "scriminante" determinata dalla condotta del danneggiato, hanno ripetutamente affermato che anche se la responsabilità del custode di una strada per dissesti stradali integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva che pone la dimostrazione del nesso eziologico tra la cosa in custodia e l'evento lesivo a carico del danneggiato e la prova dell'esistenza del caso fortuito a carico del custode, il nesso eziologico non può dirsi provato ove la cosa in custodia non mostri di possedere elementi particolari di lesività e l'evento dannoso risulti ascrivibile alla condotta negligente del danneggiato, posto che la nozione di caso fortuito va intesa in senso lato, quale fattore autonomo e imprevedibile che, interrompendo il nesso causale tra cosa e danno, libera il custode dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. (Cass. civ., n. 22684/2013; Cass. civ., n. 12174/2016; Cass. civ., n. 3793/2014).

Alla luce di quanto detto e, dunque, in considerazione del fatto che il caso fortuito debba essere inteso come fattore incidente sul nesso di causa, è evidente che, per accertare la sussistenza del caso fortuito sarà necessario procedere al giudizio di prevedibilità, quest'ultima intesa in senso oggettivo: tale criterio consente di collegare i fatti in una certa sequenza logica in forza della quale risulti normale o regolare, secondo le regole di comune esperienza, un determinato collegamento di avvenimenti.

La prevedibilità assume parimenti una rilevanza oggettiva quando vale ad individuare la rilevanza del fattore sopravvenuto nella concatenazione degli avvenimenti, rilevando come criterio utile per la valutazione della regolarità causale della sequenza danno-evento.

Tale giudizio consente, difatti, di escludere dalla sequenza causale le conseguenze che avrebbero prodotto risultati diversi, vale a dire le circostanze anormali rispetto al fatto stesso.

La Corte di Cassazione avvalora l'orientamento secondo cui caso fortuito e negligenza della vittima afferiscono ad ambiti diversi. Il fatto colposo del danneggiato può integrare il caso fortuito solo quando sia imprevedibile, eccezionale, inconsueto; diversamente, può al massimo concorrere con il fatto del custode e comportare una diminuzione del risarcimento del danno.

La condotta della vittima d'un danno da cosa in custodia, oltre al requisito dell'imprudenza del danneggiato può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata.

Stabilire se una certa condotta della vittima d'un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui sia prevedibile o imprevedibile è un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito.

In altri termini, il contegno imprudente del danneggiato assume valore causale o eziologico assorbente, cosi che la cosa assume il ruolo di semplice occasione e non la causa del danno, escludendo qualsiasi responsabilità del custode.

Nella realtà socio-economica attuale, diversa da quella in cui nacque la regola, risulta così evidente la consapevolezza di una più moderna configurazione del caso fortuito, in relazione alle cose in custodia, quale limite per escludere la responsabilità del custode, non riconducibile, nella sua inevitabilità, alla semplice mancanza di colpa da parte del custode.

Ne consegue che il custode, che ha l'onere di provare il caso fortuito, può sostenere che il fortuito, nella fattispecie, può essere costituito proprio dalla rilevanza del comportamento del danneggiato, in occasione del verificarsi del danno.

In altri termini, allorché sia accertato in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento cauto e responsabile da parte del danneggiato, ne consegue che deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi per contro realizzato il caso fortuito.

Infine, si osserva che la Corte di Cassazione ha definitivamente consacrato il principio di c.d. prevenzione bilaterale, il quale può trovare terreno elettivo di applicazione proprio in un ambito, come quello dei danni da caduta, originati appunto da incidenti i cui protagonisti possono entrambi influenzare il livello del danno, essendo tanto il danneggiante quanto il danneggiato nelle condizioni di adottare opportune misure atte a preventive ed abbassare i rischi di sinistro (Cass. civ., n. 2480/2018; Cass. civ., n. 2482/2018).

In un tale settore, ove vige una regola di responsabilità oggettiva pura, il danneggiato potrebbe non essere incentivato ad assumere le dovute precauzioni, se non si individuasse qualche correttivo in grado di subordinare il risarcimento all'adozione, da parte sua, di un efficiente livello di cautele.

La Suprema Corte, dunque, conferma che non vi è alcuna incompatibilità tra la struttura oggettiva della responsabilità configurata dalla norma di cui all'art. 2051 c.c. e le fattispecie di danno caratterizzate dalla possibile prevenzione bilaterale delle parti, a patto che si possa ovviare ad un'applicazione rigida della relativa regola attraverso i correttivi della defense of contributory negligence o della comparative negligence, di guisa che la condotta colposa della vittima, attentamente scrutinata dal punto di vista della relativa efficienza causale, possa venire rispettivamente considerata o come un caso fortuito, tale da interrompere il nesso causale, o come un concorso colposo del danneggiato, ex art. 1227 c.c., tale da ridurre il risarcimento.

Soluzione, questa, che permette di affiancare, sul piano della prevenzione, tanto il custode quanto i terzi potenziali danneggiati, senza per questo negare quell'asimmetria rispetto ai rischi legati alla cosa che è alla base della soluzione accolta dalla codificazione civile nell'art. 2051 c.c. e che pone a carico del custode una responsabilità oggettiva.

In tal modo, a ben vedere, la gestione concreta della regola recupera, in una prospettiva esplorata dall'approccio di analisi economica del diritto, la funzione di prevenzione e di precauzione che pur spetta alle regole di responsabilità civile ivi comprese quelle riconducibili nell'area della c.d. strict liability nel caso in cui al “rischio unilaterale” si affianca quello “bilaterale” per il quale anche il comportamento del danneggiato acquista rilevanza sul piano causale.