Azione revocatoria e fondo patrimoniale: opponibilità dell'atto di costituzione, legittimazione passiva dei coniugi e sopravvenuta inesistenza del credito
15 Settembre 2020
Massima
La titolarità di un diritto di credito, anche eventuale, costituisce condizione dell'azione revocatoria sotto il profilo della legitimatio ad causam dell'attore. Pertanto, il sopravvenire in corso di causa di un giudicato che accerti l'inesistenza del credito sulla base del quale l'azione era stata esercitata, determina il venir meno dell'interesse all'azione revocatoria, non sussistendo più l'esigenza di dichiarare l'inefficacia dell'atto di disposizione del patrimonio. Inoltre, poiché la legitimatio ad causam e l'interesse ad agire dell'attore sono elementi del rapporto processuale che devono permanere, quali condizioni dell'azione, sino al momento della decisione definitiva, il sopravvenuto difetto degli stessi, in pendenza del giudizio di legittimità, deve essere rilevato dalla Corte di Cassazione e comporta, indipendentemente dall'originaria fondatezza o meno della domanda, il rigetto nel merito della domanda stessa. Il caso
La Corte d'Appello di L'Aquila, confermando la sentenza di primo grado, ha dichiarato inopponibile l'atto con il quale due coniugi avevano costituito in fondo patrimoniale, ai sensi dell'art. 167 c.c., immobili di loro proprietà, così sottraendoli alla garanzia patrimoniale del credito risarcitorio vantato dalla creditrice nei confronti di uno solo dei due, in relazione a danni da malpractice sanitaria. I coniugi hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo, quale primo motivo, che la Corte d'Appello aveva errato nel respingere l'eccezione da loro proposta di inammissibilità della domanda revocatoria per difetto di interesse ad agire, poiché ritenevano l'atto di costituzione del fondo patrimoniale inopponibile ai creditori, in quanto non vi era prova della relativa annotazione a margine dell'atto di matrimonio. Quale secondo motivo, i coniugi hanno dedotto il difetto di legittimazione passiva in capo alla moglie, dal momento che unico debitore della creditrice risultava essere il marito e precisando, altresì, che era stato provato che la moglie fosse estranea ed inconsapevole di ogni fatto relativo alla vicenda. Quale terzo motivo, i ricorrenti hanno eccepito la pretestuosità dell'aspettativa di credito a tutela della quale parte attrice aveva agito in revocatoria, in quanto la sentenza penale della Corte d'Appello che aveva riconosciuto la colpa medica del marito era stata cassata. Non avrebbe potuto, quindi, riconoscersi – secondo la prospettazione dei coniugi ricorrenti – né la probabile fondatezza del credito, né la scientia damni in capo al marito. La questione
La mancanza di prova che la costituzione del fondo patrimoniale sia stato annotato a margine dell'atto di matrimonio rende tale atto inopponibile ai creditori e, quindi, la domanda revocatoria inammissibile per difetto di interesse ad agire? Nel procedimento revocatorio, sussiste litisconsorzio necessario tra i coniugi stipulanti l'atto di costituzione del fondo patrimoniale anche quando uno solo dei due sia debitore? L'annullamento con rinvio della sentenza penale di condanna emessa dalla Corte d'Appello è elemento sufficiente a determinare l'accertamento negativo delle ragioni di credito risarcitorie? E la sentenza di assoluzione dell'imputato emessa dalla Corte d'Appello che decide quale giudice del rinvio? Le soluzioni giuridiche
L'ordinanza in esame può davvero essere considerata una pronuncia di spiccato interesse poiché, in poche pagine, risolve esaustivamente quattro diverse questioni, tutte di grande rilievo. La prima domanda cui la Corte di Cassazione si trova a dover dare risposta è quella che riguarda la rilevanza - in termini di opponibilità ai creditori dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale - dell'annotazione apposta a margine dell'atto di matrimonio. I giudici della Corte, pur sottolineando che il sistema di pubblicità regolato per le convenzioni matrimoniali dall'art. 163, terzo comma, c.c., opera a garanzia dei coniugi, i quali possono così rendere la convenzione opponibile ai terzi, affermano che l'omissione dell'annotazione dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale non può comunque essere utilizzata da questi ultimi per bloccare l'azione revocatoria, proprio perché tale azione non annovera tra i suoi fatti costitutivi la circostanza che l'atto sia opponibile ai creditori, bensì solo che l'atto sia stato compiuto e che abbia avuto l'effetto di sottrarre il bene dal patrimonio del debitore. Peraltro, quali ulteriori argomentazioni a sostegno dell'infondatezza del primo motivo di ricorso, la Corte precisa (i) che l'azione revocatoria opera quale tutela conservativa della garanzia patrimoniale, collocandosi su di un piano preventivo e cautelare, (ii) che l'annotazione potrebbe intervenire anche in tempi successivi, non essendo previsto alcun termine di decadenza al riguardo e, dunque, (iii) che può apprezzarsi un interesse all'esercizio dell'azione revocatoria a prescindere dall'annotazione dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale. Anche il secondo motivo di ricorso viene giudicato infondato dalla Suprema Corte, la quale, non discostandosi dalla giurisprudenza pressoché unanime sul punto (Cass. Civ., sez. VI, ord., 20 gennaio 2020 n. 1141), conferma che, nell'azione revocatoria dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale al quale abbiano preso parte entrambi i coniugi, la legittimazione passiva compete ad entrambi e ciò anche nel caso in cui sia stato il solo coniuge debitore a destinare al fondo beni di sua esclusiva proprietà. In particolare – secondo la Corte – l'interesse alla partecipazione al giudizio in qualità di litisconsorte necessario del coniuge non debitore si ravvisa nella circostanza che anche quest'ultimo sarebbe destinato a risentire personalmente e direttamente degli esiti pregiudizievoli che deriverebbero dall'eventuale accoglimento della domanda revocatoria. Non rileva, poi, l'assenza di intento fraudolento in capo al coniuge non debitore, in quanto – essendo l'atto costitutivo del fondo patrimoniale stato stipulato in data successiva al sorgere del credito – è sufficiente la consapevolezza del carattere pregiudizievole del proprio comportamento avente comunque l'effetto di ridurre la consistenza del patrimonio a danno dei creditori complessivamente considerati. La Corte di Cassazione, analizzando il terzo motivo di ricorso dedotto dai ricorrenti, ha l'occasione di soffermarsi sulla natura del credito idoneo a fondare una domanda revocatoria: non è necessario che il credito sia accertato positivamente, in quanto tale accertamento non costituisce indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria. È sufficiente che il credito sia litigioso (Cass. Civ., sez. III, sent., 10 febbraio 2016, n. 2673). Proprio per tale ragione, l'annullamento con rinvio della sentenza penale emessa dalla Corte d'Appello, che aveva giudicato l'imputato colpevole, non può essere considerata circostanza idonea a determinare l'insussistenza del credito, dal momento che si tratta di un passaggio giudiziale che non ha la forza di giudicato e che, in quanto tale, non può portare all'accertamento negativo delle ragioni creditorie. Al contrario, la sentenza penale di assoluzione dell'imputato emessa dalla Corte d'Appello, quale giudice del rinvio – sopravvenuta successivamente alla proposizione del ricorso in Cassazione - è idonea a fondare l'accertamento negativo del credito, dalla cui inesistenza deriva il venir meno dell'interesse all'azione revocatoria, non sussistendo più l'esigenza del creditore di far rientrare nella garanzia patrimoniale del debitore un bene illecitamente sottrattovi. Inoltre, dovendo entrambe le condizioni dell'azione revocatoria – legitimatio ad causam ed interesse ad agire – sussistere sino al momento della decisione definitiva, la Corte ritiene che il loro sopravvenuto difetto debba essere rilevato anche in sede di legittimità e che non possa che condurre al rigetto nel merito della domanda. Osservazioni
Le questioni analizzate dalla Suprema Corte con la pronuncia in commento spaziano dalla rilevanza dell'annotazione dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale nell'atto di matrimonio, alla legittimazione passiva del coniuge non debitore, sino ad arrivare all'analisi della natura del credito fondante l'azione revocatoria e gli effetti della sua sopravvenuta inesistenza in pendenza del giudizio di legittimità. Le conclusioni cui pervengono i Giudici della Corte sono lineari e non prestano il fianco a nessuna critica, non discostandosi, peraltro, dalla giurisprudenza pressoché unanime formatasi con riferimento alle diverse tematiche, nonché ai principi consolidati in materia. Il tocco di novità si percepisce con più forza nel principio di diritto espresso dalla Corte con riferimento alla sopravvenienza, in pendenza del giudizio di legittimità, di una sentenza (penale) che abbia l'effetto di revocare tutte le statuizioni civili e, quindi, di privare l'azione revocatoria dello scopo per cui era stata proposta. In tal caso, ritengono i Giudici che la domanda debba essere rigettata nel merito, a fronte del sopravvenuto difetto della legitimatio ad causam e dell'interesse ad agire, condizioni dell'azione revocatoria che devono permanere sino al momento della decisione definitiva.
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