Delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale e ordine pubblico, permangono incertezze

Paolo Di Marzio
16 Settembre 2020

Può essere delibata, e conseguire gli effetti civili, la sentenza ecclesiastica che abbia pronunciato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione di uno, o più, dei “bona matrimonii”, nel caso di specie...
Massima

Può essere delibata, e conseguire gli effetti civili, la sentenza ecclesiastica che abbia pronunciato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione di uno, o più, dei “bona matrimonii”, nel caso di specie il consenso alla procreazione di figli ed il vincolo dell'indissolubilità del matrimonio, a condizione che la riserva mentale sia stata manifestata all'altro coniuge o sia stata da questo effettivamente conosciuta, o comunque risultasse conoscibile con l'ordinaria diligenza, atteso che, ove tali circostanze non ricorrano, la delibazione trova ostacolo nella contrarietà con l'ordine pubblico italiano, che è rilevabile d'ufficio, e nel cui ambito deve essere ricompreso il fondamentale principio della tutela della buona fede e dell'affidamento del coniuge incolpevole

Il caso

I coniugi avevano contratto un matrimonio canonico riconosciuto agli effetti civili, il cosiddetto matrimonio concordatario. Il Tribunale ecclesiastico aveva dichiarato la nullità del vincolo matrimoniale per esclusione, da parte del marito, del consenso alla procreazione dei figli ed alla indissolubilità del vincolo matrimoniale, ritenendo accertata la riserva mentale dell'uomo all'atto della celebrazione del matrimonio. Al giudizio innanzi ai dicasteri ecclesiastici aveva partecipato anche la moglie. Conseguita la esecutività della decisione canonica, il marito aveva domandato alla Corte d'appello di Milano la delibazione della pronuncia, al fine di conseguire il riconoscimento degli effetti civili alla decisione ecclesiastica. La moglie è rimasta contumace. La Corte d'appello ha negato la delibazione rilevando, d'ufficio, che dagli atti del giudizio ecclesiastico non emergeva la prova che il difetto di consenso unilaterale - in altri termini: la riserva mentale - del marito fosse stato manifestato alla moglie, o fosse stato da lei effettivamente conosciuto, o comunque che la donna l'avesse ignorato per propria negligenza. La Corte di merito ha precisato che la rilevabilità d'ufficio della contrarietà all'ordine pubblico della delibazione di una sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario è esclusa solo in relazione all'ipotesi di convivenza tra i coniugi protrattasi per almeno tre anni dalla data del matrimonio concordatario regolarmente trascritto, come sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza Cass. civ., n. 16379/2014, ma non nelle altre ipotesi in cui la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale deve essere negata per il contrasto con l'ordine pubblico italiano. Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il marito, e la moglie non si è costituita neppure in questo giudizio. Il marito, con unico motivo di ricorso, ha sostenuto che non è consentito al giudice italiano, chiamato a procedere alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, rilevare d'ufficio la contrarietà della sentenza ecclesiastica con l'ordine pubblico italiano, quando il coniuge convenuto non si opponga all'accoglimento della domanda, o comunque non sollevi l'eccezione di contrarietà all'ordine pubblico, da qualificarsi in ogni caso come un'eccezione in senso stretto, che può essere proposta solo dalle parti. La Corte di Cassazione ha respinto la censura proposta dal ricorrente, e la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale è rimasta definitivamente negata.

La questione

Le questione principale che la decisione in commento propone, attiene alla possibilità di rilevare d'ufficio il contrasto con l'ordine pubblico italiano della decisione ecclesiastica di nullità matrimoniale pronunciata in conseguenza della simulazione unilaterale del consenso. Invero, il contrasto della decisione straniera di cui è domandato il riconoscimento degli effetti civili con l'ordine pubblico italiano, secondo i principi generali, sembra corretto ritenere sia rilevabile d'ufficio (cfr. art. 64, lett. g), l. n. 218 del 1995). Non deve però trascurarsi, innanzitutto, che proprio in materia di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, in conseguenza degli impegni concordatari assunti dall'Italia con la Santa Sede, il giudizio di delibazione segue una disciplina particolare, basti osservare che non trovano applicazione le normali regole del diritto internazionale privato italiano, bensì gli articoli 796 e 797 c.p.c., pur in generale abrogati (tra le altre, Cass. sez. I, sent. 10 dicembre 2010, n. 24990), con la conseguenza che per valutare il contrasto con l'ordine pubblico italiano non dovrà considerarsi se le disposizioni della decisione canonica “producono effetti contrari all'ordine pubblico”, bensì se la decisione ecclesiastica “non contiene disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano” (art. 797, n. 7), c.p.c.). Che l'ordine pubblico assuma una connotazione particolare, quando occorre valutarlo in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, del resto, è stato affermato anche dalle Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno sostenuto che, con riferimento alle sentenze di annullamento del matrimonio di altri Stati, il riconoscimento degli effetti civili è subordinato alla mancanza di incompatibilità con l'ordine pubblico interno, che è impeditiva della delibazione sia quando risulti assoluta che quando possa qualificarsi relativa, mentre detta incompatibilità rileva quale impedimento alla delibazione, in riferimento alle sentenze ecclesiastiche, solo quando sia assoluta, perché il riconoscimento degli effetti civili “è possibile in caso di incompatibilità relativa, ravvisabile tutte le volte che la divergenza possa superarsi, sulla base di una valutazione di circostanze o fatti (anche irrilevanti per il diritto canonico), individuati dal giudice della delibazione, idonei a conformare la pronuncia ai valori o principi essenziali della coscienza sociale desunti dalle fonti normative costituzionali ed alla norma inderogabile, anche ordinaria, nella materia matrimoniale” (Cass. S.U., sent. 18 luglioo 2008, n. 19809). Deve quindi ricordarsi che, ancora le Sezioni Unite, hanno affermato nella sentenza n. 16379/2014 il principio secondo cui la convivenza ultratriennale e qualificata dei coniugi, a seguito della celebrazione delle nozze, costituisce un ostacolo di ordine pubblico alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, ma il vizio non può essere rilevato d'ufficio, potendo solo costituire oggetto di un'eccezione in senso stretto, pertanto esaminabile solo se proposta da una delle parti.

Le soluzioni giuridiche

L'individuazione delle condizioni necessarie perché il giudice dello Stato possa procedere alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale è materia delicata, attenendo alla corretta applicazione di una normativa di origine bilaterale.

In particolare, la questione delle circostanze che devono ricorrere perché possano riconoscersi gli effetti civili alla sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, in presenza della simulazione unilaterale del consenso da parte di uno dei coniugi, rimane tra le più complesse, ed impegna da anni la dottrina come la giurisprudenza. La disciplina processuale prevista dal diritto statuale dispone che l'azione volta a far valere l'invalidità del matrimonio non possa essere più proposta: decorso un anno dalla celebrazione delle nozze, oppure nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione medesima. Diversamente, nella disciplina prevista dall'ordinamento canonico l'azione può essere proposta senza limiti di tempo. Sul punto, comunque, la giurisprudenza appare consolidata e consente la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità anche oltre il termine annuale di cui all'art. 123 , 2 comma, c.c.(Simulazione), e pure in presenza di convivenza coniugale (Cass. S.U., sent. nn. 4700/1988, e Cass. n. 2678/1984). In tempi recenti, però, componendo un contrasto giurisprudenziale che aveva visto proporre orientamenti diversi per decenni, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che, in ossequio ai principi di ordine pubblico vigenti nell'ordinamento italiano, i quali valorizzano il rilievo del matrimonio-rapporto, la convivenza dei coniugi, purché qualificata, esteriorizzata, stabile ed ultratriennale, impedisce il riconoscimento degli effetti civili alla sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale per qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto (Cass. S.U., sent. n. 16379/2014). La questione della convivenza quale fattore impeditivo del riconoscimento degli effetti civili alla decisione ecclesiastica di nullità matrimoniale, in conseguenza del contrasto con l'ordine pubblico italiano, hanno sostenuto le Sezioni Unite, può però essere oggetto soltanto di una eccezione in senso stretto, rimanendo riservata alle parti. Nel caso in esame, invece, la Suprema Corte ha ritenuto che la questione della conoscenza o conoscibilità della simulazione unilaterale del consenso, quale fattore impeditivo del riconoscimento degli effetti civili alla decisione ecclesiastica di nullità matrimoniale, sia suscettibile di rilievo d'ufficio.

Osservazioni

Occorre innanzitutto ricordare, in riferimento alla disciplina sostanziale dell'istituto della nullità del matrimonio per simulazione, che il diritto statuale consente «l'impugnazione» del matrimonio quando gli sposi si siano accordati a non adempiere gli obblighi e a non esercitare i diritti che discendono dal matrimonio (art. 123,comma 1, c.c.). Il diritto canonico, invece, prevede l'invalidità delle nozze quando anche uno solo dei contraenti, con un positivo atto di volontà, abbia escluso il matrimonio. In tal caso il simulatore vuole la celebrazione del matrimonio, rifiutando però nel suo animo la reale assunzione di ogni obbligo di natura coniugale. Si parla in tal caso di simulazione totale. Le nozze sono ancora invalide, per l'ordinamento giuridico della Chiesa, quando anche uno solo degli sposi abbia escluso un elemento o una proprietà essenziale del matrimonio (can 1101, § 2, c.j.c.). Il matrimonio canonico è quindi nullo anche se uno solo dei coniugi abbia escluso, con atto positivo di volontà, la prole, la fedeltà o l'indissolubilità del vincolo, che secondo una ormai tradizionale definizione agostiniana vengono denominati bona matrimonii. Nelle ipotesi in questione la simulazione suol definirsi parziale. La diversità di disciplina prevista dai due ordinamenti appare evidente, in quanto il diritto italiano configura la simulazione, intesa quale possibile causa di invalidità del matrimonio, come l'effetto di un accordo intervenuto tra gli sposi, mentre nella disciplina propria del diritto canonico le nozze sono nulle anche in conseguenza della simulazione del consenso posta in essere da una sola parte, pertanto unilateralmente e, se del caso, sebbene l'altra parte ne fosse rimasta incolpevolmente all'oscuro.

La Cassazione ha sottolineato pronunziando a Sezioni Unite che, in ordine alla possibilità di delibare le decisioni canoniche di nullità matrimoniale, occorre comunque tener presente la maggiore disponibilità che l'ordinamento dello Stato, in conseguenza degli obblighi concordatari derivanti dall'art. 7 della Costituzione, manifesta nella ricezione dei provvedimenti emanati nell'ambito dell'ordinamento canonico (Cass. sez. un., sent. n. 5026/1982), principio confermato anche in tempi più recenti dalla Suprema Corte, che ha sottolineato il particolare favore al riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale che lo Stato ha inteso manifestare negli accordi concordatari (Cass. S.U.,sent. n. 19809 del 2008, Cass.,sent. n. 12738 del 2011). Tuttavia, secondo il Giudice di legittimità, assume il valore di regola di ordine pubblico nell'ordinamento civile, il principio dell'affidamento e della buona fede del coniuge ignaro, perché rientra fra le linee essenziali dell'istituto del matrimonio la tutela dei valori della libertà personale, della libertà religiosa, dell'eguaglianza e del pieno sviluppo della persona umana (Cass sez. un.,sent. n. 5026/1982, Cass.,sent. n. 10657 del 2010), che sono garantiti da norme costituzionali, ed in particolare dagli art. 2, 3, 13, 19 e 29 della Carta fondamentale. La Cassazione sostiene, con orientamento il quale pare anch'esso ormai consolidato, che tale principio fondamentale, sebbene sia da considerarsi inderogabile, si ricollega ad un valore individuale che appartiene alla sfera di disponibilità del suo titolare, al quale deve essere riconosciuto il diritto di optare per la non conservazione di un rapporto viziato per fatto dell'altra parte. Ne consegue che la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità non deve essere negata (neppure) quando il coniuge che non poteva conoscere, o comunque ignorava anche per propria negligenza, il vizio del consenso dell'altro coniuge, chieda proprio lui la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica di nullità da parte della Corte d'appello, o comunque non si opponga al riconoscimento degli effetti civili alla decisione canonica (Cass. civ., sez. un., sent. n. 6128/1985).

Un problema rilevante si pone poi, in materia, in ambito processuale. Occorre domandarsi, infatti, sulla base di quali elementi il giudice statuale, in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, potrà fondare il proprio convincimento che la parte non simulatrice abbia conosciuto il vizio del consenso dell'altra parte, o non l'abbia conosciuto solo per propria negligenza. La stessa giurisprudenza di legittimità non è apparsa costante in materia. Si rinvengono, invero, pronunce della Cassazione in cui si afferma che la Corte d'appello potrà provvedere ad un'eventuale apposita istruttoria, secondo i principi del processo civile ordinario. La tesi che sembra aver prevalso ed è stata confermata anche da Cass. sez. I,ord. n. 11633/2020 in commento, invece, afferma che la Corte di merito potrà utilizzare esclusivamente le risultanze della decisione ecclesiastica, nonché gli atti del processo canonico, ma solo qualora gli stessi siano stati prodotti dalle parti (in tal senso, tra le altre, Cass., n. 3378/2012). Potendo avvalersi soltanto della sentenza ecclesiastica, ed eventualmente degli atti del processo canonico, però, l'accertamento demandato al giudice della delibazione potrà risultare non di rado problematico (cfr. Cass.,ord. n. 10657/010), perché il fatto della conoscenza o meno da parte del coniuge in buona fede della riserva mentale dell'altro al momento della celebrazione delle nozze non viene per lo più preso in considerazione dal giudice ecclesiastico, non costituendo un presupposto logico-giuridico della dichiarazione di nullità, con la conseguenza che nella sentenza canonica può mancare qualsiasi indicazione al riguardo. Merita di essere rilevato come, nell'ordinanza in esame, la Cassazione osservi che, esaminando le risultanze del processo canonico, “da nessun atto emergeva che la riserva mentale del marito in ordine ai bona matrimonii fosse stata manifestata” alla moglie, “la quale aveva partecipato personalmente al giudizio ecclesiastico senza, tuttavia, aver rilasciato dichiarazioni di rilevanza sulle intime convinzioni del marito”. Dalla sentenza ecclesiastica e dagli atti del giudizio canonico, però, non emergeva neppure che la moglie avesse lamentato la mancata conoscenza e conoscibilità della riserva mentale del marito, e neppure che vi avesse operato alcun riferimento. La Cassazione ha confermato in proposito che, in sede di delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità matrimoniale, la Corte d'appello, in materia di simulazione unilaterale del consenso, “deve condurre la relativa indagine con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti”, escludendosi, pertanto, lo svolgimento di qualsiasi attività istruttoria da parte del giudice nazionale. Si pone, pertanto, il problema di comprendere perché per accertare la convivenza ultratriennale dei coniugi, a seguito della celebrazione del matrimonio concordatario, è consentito alla Corte d'appello, adita in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, svolgere una specifica attività istruttoria, mentre questa possibilità è preclusa qualora occorra accertare se la riserva mentale di uno dei coniugi risultasse conosciuta o conoscibile all'altro coniuge. La Cassazione non lo chiarisce.

Si osservi che la tesi secondo cui la convivenza utratriennale possa costituire solo l'oggetto di un'eccezione in senso stretto, sempre confermata dalla Suprema Corte a seguito di Cass. sez. un., sent. n. 16379/2014, non ha ancora convinto tutti, se è vero che il Giudice di legittimità ha dovuto recentemente ribadirla decidendo un ricorso proposto dalla stessa Procura generale presso la Corte di Cassazione, in un caso in cui alla sentenza di ecclesiastica di nullità matrimoniale, a causa della simulazione unilaterale del consenso del marito, erano stati riconosciuti dalla Corte d'appello gli effetti civili, all'esito del giudizio di delibazione in cui la moglie era rimasta contumace e l'eccezione relativa alla convivenza non era stata quindi proposta dalla parte, sebbene risultasse dagli atti la prolungata convivenza dei coniugi a seguito della celebrazione del matrimonio, peraltro allietato dalla nascita di tre figli. La Cassazione ha spiegato in motivazione che le Sezioni Unite sono condivisibilmente pervenute ad affermare la natura di eccezione in senso stretto della convivenza ultratriennale, “sia in considerazione della ‘complessità fattuale' delle circostanze su cui essa si fonda e della connessione molto stretta di tale complessità con l'esercizio di diritti, con l'adempimento di doveri e con l'assunzione di responsabilità personalissimi di ciascuno dei coniugi, sia tenuto conto della espressa previsione della necessità dell'eccezione di parte nell'analoga fattispecie dell'impedimento sul divorzio costituito dall'interruzione della separazione, ai sensi dell'art. 3 della legge 1 dicembre 1970, n. 898”, Cass.,ord. n. 7923/2020. Questo principio è stato specificamente confermato nell'ordinanza n. 11633 del 2020 in commento.

Il motivo per cui, in materia di matrimonio concordatario, nel caso della simulazione unilaterale del consenso lo svolgimento di un'istruttoria da parte del giudice civile della delibazione risulta preclusa, a differenza dell'ipotesi della convivenza ultratriennale dei coniugi, meriterebbe però di essere specificamente chiarito, anche perché, nel passato, la stessa Suprema Corte ha ripetutamente affermato, come anticipato, che è consentito alla Corte d'appello svolgere una specifica attività istruttoria al fine di accertare se la riserva mentale di uno degli sposi al momento delle nozze, rispetto ad una delle proprietà essenziali del matrimonio, sia stata conosciuta, o sia comunque risultata conoscibile, da parte dell'altro coniuge (Cass., sent. nn. 3535/1984, e Cass. n. 3083/1985).

Guida all'approfondimento

Di Marzio P., Il Matrimonio concordatario e gli altri matrimoni religiosi con effetti civili, cap. III, Cedam, 2008, 110 ss.

Carbone V., Risolto il conflitto giurisprudenziale: tre anni di convivenza coniugale escludono l'efficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio, nota a Cass. civ., sez. un., n.16379/2014, edita ne Il Corriere giuridico, Wolters Kluwer Italia, 10/2014, 1206 ss.

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