Partecipazione a distanza all'udienza di riesame e violazione del diritto di assistenza difensiva

Paolo Grillo
17 Settembre 2020

La mancata conoscenza preventiva della partecipazione a distanza dell'indagato all'udienza davanti il tribunale della libertà non comporta automaticamente la lesione del diritto di difesa. Quest'ultimo può ritenersi violato soltanto nei casi in cui non sia effettivamente garantita l'assistenza difensiva.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza n. 25838/20, depositata il 10 settembre.

Il riesame “a distanza”. In tempi di COVID-19 la partecipazione a distanza al processo penale, con tutte le arcinote polemiche che ne sono derivate, è argomento quantomai attuale. Fatti i debiti scongiuri, non possiamo nemmeno escludere – dipenderà dall'andamento della pandemia – che si ritorni presto a parlare di udienze da remoto e di altri accorgimenti tecnici per scongiurare che la macchina della giustizia penale si fermi nuovamente. Nel caso che ci occupa, in realtà, la questione sottoposta all'attenzione della Suprema Corte trae origine dall'impugnazione di un'ordinanza cautelare con la quale veniva applicata la massima misura custodiale ad un soggetto sottoposto ad indagini per associazione di stampo mafioso. Il difensore, proposta richiesta di riesame, andava all'udienza convinto di trovare in aula il proprio assistito. Restava sorpreso nell'apprendere che, invece, ne era stata disposta la partecipazione a distanza. Eccepita la nullità dell'udienza, il procedimento veniva rinviato ad altro giorno, ma all'udienza successiva l'indagato rinunciava a presenziare. Tra i motivi di ricorso, vi è quello della nullità per violazione del diritto di difesa, stante la mancata comunicazione, alla prima udienza di riesame, della partecipazione a distanza dell'assistito.

L'approccio sostanzialistico alla valutazione della violazione del diritto di assistenza difensiva. La tesi sostenuta dal ricorrente non trova d'accordo la Cassazione, che rigetta il motivo con il quale si sosteneva la nullità dell'udienza alla quale non era fisicamente presente l'indagato. Prima di entrare nel merito della censura, però, la Suprema Corte compie un breve excursus sulla disciplina della partecipazione a distanza all'udienza di riesame. La regolamentazione di questa specifica ipotesi è affidata all'intreccio di più norme: alla base, intanto, vi è la disposizione con la quale si prevede che il detenuto può comparire personalmente davanti al tribunale del riesame soltanto se ne fa espressa richiesta. A questo principio generale deve affiancarsi la norma speciale, contenuta nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, secondo cui nei procedimenti per i c.d. reati di grave allarme sociale (tra i quali vi è, appunto, quello per associazione mafiosa) la regola generale è quella della partecipazione a distanza. L'eccezione, invece, è costituita dalla presenza fisica, che va espressamente disposta dal giudice dietro richiesta di parte. Per quanto concerne l'assistenza difensiva, è previsto che il videocollegamento deve essere congegnato in modo tale da consentire la effettiva e diretta interazione tra difensore e assistito e di poter colloquiare riservatamente. E' consentito, inoltre, al difensore di scegliere se essere presente nel luogo dove si trova il proprio assistito, anche tramite un proprio sostituto. Questo sistema ha retto anche al vaglio della Corte EDU, che ha posto l'accento sulla necessità di rendere effettivo il diritto di difesa. Non alla forma, quindi, bisogna guardare quanto piuttosto alla sostanza dell'assistenza difensiva; questo vale sia per le udienze dibattimentali che per quelle camerali.

Nullità e sanatorie. Con questa premessa, la Corte passa a verificare se nel caso di specie possa essersi configurata una nullità per violazione del diritto di difesa. La conclusione è negativa; prendendo le mosse proprio dal “realismo partecipativo” - così è stato definito – che deve caratterizzare la partecipazione a distanza per non generare falle nell'assistenza difensiva, i supremi giudici stabiliscono che nell'ipotesi portata alla loro attenzione non vi sono gli estremi per poter sostenere che il detenuto non potè giovarsi di una concreta ed effettiva assistenza da parte del proprio avvocato. L'ipotesi di nullità che astrattamente potrebbe verificarsi rientra tra quelle di ordine generale a regime intermedio, ed è pertanto soggetta a sanatoria in una serie di ipotesi. Tra queste, spicca la mancanza di un concreto pregiudizio per l'attività difensiva. Il rinvio dell'udienza e la successiva rinuncia alla partecipazione dell'indagato, unitamente al fatto che questi non chiedeva di rendere spontanee dichiarazioni, sono soltanto alcuni degli argomenti che la Corte ha ritenuto di valorizzare per escludere che si fosse verificata una illegittima compressione del diritto all'assistenza del difensore.

(Fonte: www.dirittoegiustizia.it)

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