Al vaglio della Corte di Giustizia UE il recente orientamento della Corte Costituzionale sulle impugnazioni per «motivi inerenti alla giurisdizione».

Tommaso Cocchi
18 Settembre 2020

Le SS.UU. della Corte di Cassazione sottopongono alla Corte di Giustizia dell'UE tre questioni pregiudiziali concernenti le impugnazioni delle sentenze del Consiglio di Stato per «motivi inerenti alla giurisdizione».

Il caso. Veniva indetta una procedura aperta per l'affidamento della somministrazione temporanea di personale, da aggiudicarsi con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con una soglia di sbarramento per le offerte tecniche ad un determinato punteggio. Soltanto due offerte raggiungevano il minimo sufficiente per l'ammissione e le altre venivano escluse dalla gara.

La terza classificata impugnava la propria esclusione che la procedura di gara contestando sia violazioni concernenti sia la procedura di gara che la valutazione della propria offerta. La stazione appaltante e la controinteressata eccepivano, per quel che qui rileva, il difetto di legittimazione della ricorrente a proporre doglianze volte ad ottenere la caducazione dell'intera procedura, essendo stata esclusa.

Il giudice di prime cure riteneva la ricorrente legittimata a proporre l'impugnativa, respingendo tuttavia le doglianze nel merito. Avverso tale pronuncia veniva proposto appello e il Consiglio di Stato, rigettando il motivo concernente la valutazione dell'offerta in relazione alla soglia di sbarramento, dichiarava nel contempo inammissibili i motivi caducatori per carenza di legittimazione della ricorrente in quanto esclusa dalla procedura.

Avverso la sentenza del Consiglio di Stato la società proponeva ricorso in Cassazione ex art. 111, ultimo comma, Cost., ritenendo la pronuncia impugnata viziata da diniego di giurisdizione, nonché contrastante con il diritto sovranazionale e con la giurisprudenza sia della Corte di Giustizia (Corte di giustizia 11 maggio 2017, C-131/16, che richiama Corte di giustizia 4 luglio 2013, Fastweb, C-100/12, p. 33; 5 aprile 2016, PFE, C-689/13, p. 24) che delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (in particolare Cass., Sez. Un, 6 febbraio 2015, n. 2242, nonché la nota sentenza “Mantovani” Cass., Sez. Un., 29 dicembre 2017, n. 31226).

L'ordinanza di rimessione. Nella pronuncia in commento la Suprema Corte ha in primo luogo compiuto un'attenta ricostruzione del panorama normativo e giurisprudenziale sul tema dell'impugnazione per motivi di giurisdizione delle decisioni del Consiglio di Stato, sino a richiamare il recente arresto della Corte Costituzionale (Corte Cost, 18 gennaio 2018, n. 6). In tale pronuncia, come si ricorda, è stato affermato il principio secondo cui «l'intervento delle Sezioni Unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell'Unione o della Cedu (…) [non potendo essere ricondotto] al controllo di giurisdizione un motivo di illegittimità (sia pure particolarmente qualificata) [come quella derivante dalla violazione del Diritto dell'Unione Europea]». Secondo la richiamata pronuncia del Giudice delle Leggi, in altri termini, la violazione da parte del Consiglio di Stato del Diritto dell'Unione Europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia, integrerebbe una semplice violazione di legge, incensurabile con lo strumento del ricorso per Cassazione.

Nella pronuncia in esame la Suprema Corte ha apertamente preso le distanze dai principi affermati dalla Corte Costituzionale , osservando che «la compatibilità del suddetto orientamento con il Diritto dell'Unione, e dunque la sua vincolatività per le Sezioni Unite, è dubbia e ciò induce a chiedere, in via pregiudiziale, l'intervento della Corte di Giustizia».

In ragione di ciò, la Suprema Corte ha formulato alla Corte di Giustizia i seguenti quesiti:

I. Se gli articoli 4, paragrafo 3, 19, paragrafo 1, del TUE e 2, paragrafi 1 e 2, e 267 TFUE, letti anche alla luce dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ostino ad una prassi interpretativa come quella concernente gli articoli 111, ottavo comma, della Costituzione, 360, primo comma, n. 1, e 362, primo comma, del codice di procedura civile e 110 del codice del processo amministrativo – nella parte in cui tali disposizioni ammettono il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per «motivi inerenti alla giurisdizione» – quale si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018 e dalla giurisprudenza nazionale successiva che, modificando il precedente orientamento, ha ritenuto che il rimedio del ricorso per cassazione, sotto il profilo del cosiddetto «difetto di potere giurisdizionale», non possa essere utilizzato per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell'Unione europea (nella specie, in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici) nei quali gli Stati membri hanno rinunciato ad esercitare i loro poteri sovrani in senso incompatibile con tale diritto, con l'effetto di determinare il consolidamento di violazioni del diritto comunitario che potrebbero essere corrette tramite il predetto rimedio e di pregiudicare l'uniforme applicazione del diritto dell'Unione e l'effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria, in contrasto con l'esigenza che tale diritto riceva piena e sollecita attuazione da parte di ogni giudice, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione da parte della Corte di giustizia, tenuto conto dei limiti alla «autonomia procedurale» degli Stati membri nella conformazione degli istituti processuali.

II. Se gli articoli 4, paragrafo 3, 19, paragrafo 1, TUE e 267 TFUE, letti anche alla luce dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ostino alla interpretazione e applicazione degli articoli 111, ottavo comma, della Costituzione, 360, primo comma, n. 1, e 362, primo comma, del codice di procedura civile e 110 del codice processo amministrativo, quale si evince dalla prassi giurisprudenziale nazionale, secondo la quale il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per «motivi inerenti alla giurisdizione», sotto il profilo del cosiddetto «difetto di potere giurisdizionale», non sia proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l'applicazione del diritto dell'Unione, omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in assenza delle condizioni, di stretta interpretazione, da essa tassativamente indicate (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81) che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell'Unione le normative o prassi processuali nazionali, seppure di fonte legislativa o costituzionale, che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l'effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di giustizia nella corretta e vincolante interpretazione del diritto comunitario, di rendere irrimediabile (e favorire il consolidamento del)l'eventuale contrasto interpretativo tra il diritto applicato dal giudice nazionale e il diritto dell'Unione e di pregiudicare la uniforme applicazione e la effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell'Unione.

III. Se i principi dichiarati dalla Corte di giustizia con le sentenze 5 settembre 2019, Lombardi, C-333/18; 5 aprile 2016, Puligienica, C-689/13; 4 luglio 2013, Fastweb, C-100/12, in relazione agli articoli 1, par. 1 e 3, e 2, par. 1, della direttiva 89/665/CEE, modificata dalla direttiva 2007/66/CE, siano applicabili nella fattispecie che è oggetto del procedimento principale, in cui, contestate dall'impresa concorrente l'esclusione da una procedura di gara di appalto e l'aggiudicazione ad altra impresa, il Consiglio di Stato esamini nel merito il solo motivo di ricorso con cui l'impresa esclusa contesti il punteggio inferiore alla «soglia di sbarramento» attribuito alla propria offerta tecnica e, esaminando prioritariamente i ricorsi incidentali dell'amministrazione aggiudicatrice e dell'impresa aggiudicataria, li accolga dichiarando inammissibili (e ometta di esaminare nel merito) gli altri motivi del ricorso principale che contestino l'esito della gara per altre ragioni (per indeterminatezza dei criteri di valutazione delle offerte nel disciplinare di gara, mancata motivazione dei voti assegnati, illegittima nomina e composizione della commissione di gara), in applicazione di una prassi giurisprudenziale nazionale secondo la quale l'impresa che sia stata esclusa da una gara di appalto non sarebbe legittimata a proporre censure miranti a contestare l'aggiudicazione all'impresa concorrente, anche mediante la caducazione della procedura di gara, dovendosi valutare se sia compatibile con il diritto dell'Unione l'effetto di precludere all'impresa il diritto di sottoporre all'esame del giudice ogni ragione di contestazione dell'esito della gara, in una situazione in cui la sua esclusione non sia stata definitivamente accertata e in cui ciascun concorrente può far valere un analogo interesse legittimo all'esclusione dell'offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell'impossibilità per l'amministrazione aggiudicatrice di procedere alla scelta di un'offerta regolare e all'avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, alla quale ciascuno degli offerenti potrebbe partecipare.

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