L'esdebitazione del consumatore

30 Settembre 2020

Il diritto per sua natura è sempre intrecciato ad altri saperi, come se rispondesse quasi per statuto al celebre invito di Forster, “connect, only connect”: e lo dimostra benissimo l'argomento dell'esdebitazione, intrecciato com'è, nelle sue capacità espansive, a saperi anche diversissimi fra loro quali l'economia, la sociologia, la storia, la letteratura, e perfino la psicoanalisi e la teologia. Descritta nella massima sintesi possibile, l'esdebitazione consiste nella liberazione di un soggetto da tutti i suoi debiti: e questa definizione elementare lascia intuire già da sola i mille rimandi del fenomeno.
L'esdebitazione, in generale

Il diritto per sua natura è sempre intrecciato ad altri saperi, come se rispondesse quasi per statuto al celebre invito di Forster, “connect, only connect”: e lo dimostra benissimo l'argomento dell'esdebitazione, intrecciato com'è, nelle sue capacità espansive, a saperi anche diversissimi fra loro quali l'economia, la sociologia, la storia, la letteratura, e perfino la psicoanalisi e la teologia. Descritta nella massima sintesi possibile, l'esdebitazione consiste nella liberazione di un soggetto da tutti i suoi debiti: e questa definizione elementare lascia intuire già da sola i mille rimandi del fenomeno. L'economia e la sociologia: fondamentali, come la storia, per comprendere del fenomeno stesso le radici e le ragioni profonde.

La letteratura: che da parte sua riesce sempre a dare anima e sangue alle cose, ai concetti – pensiamo ad esempio a Balzac, i cui romanzi ci offrono figure universali, per quanto appartenenti ad altre epoche, di esponenti della borghesia o della piccola borghesia sopraffatti dai debiti, rovinati anche negli affetti e nella dimensione privata.

E la psicoanalisi, la teologia? L'una, la psicoanalisi, ci ricorda che la parola “credito” deriva dal latino “credo”, che a sua volta proviene dal sanscrito, “sraddha”, a voler indicare un atto di fiducia in un dio: un atto di fiducia, sottolinea appunto la psicoanalista Julia Kristeva, implicante una restituzione sottoforma di favore divino al fedele, da cui infine scaturisce la nozione di credito finanziario inteso come concessione di un bene contro una ricompensa. Quanto all'altra, alla teologia, basti pensare alla preghiera del “Padre Nostro”: perché cos'altro è la remissione dei debiti di cui ci parla la preghiera se non una forma di esdebitazione?

In termini laici ne parla anche una bellissima poesia di Giovanni Giudici, “Piazza Saint-Bon”: “Per il mio padre pregavo al mio Dio/una preghiera dal senso strano:/rimetti a noi i nostri debiti/come noi li rimettiamo”.

Ma rimane il fatto che l'esdebitazione è innanzitutto un istituto giuridico, che il nostro ordinamento conosce, in relazione al diritto concorsuale, in una duplice accezione: come esdebitazione in senso stretto e come esdebitazione concordataria. L'esdebitazione in senso stretto è quella prevista dagli articoli 142 e seguenti della legge fallimentare, dedicati all'esdebitazione del fallito, e dall'art. 14 terdecies della legge sul sovraindebitamento, la n. 3 del 2012, dedicata invece all'esdebitazione del sovraindebitato, e possiamo definirla “esdebitazione in senso stretto” perché sono le norme a definirla esplicitamente come “esdebitazione”. Peraltro, non solo queste sono le uniche norme in assoluto del nostro ordinamento nel quale l'esdebitazione esista come tale, ma gli articoli 142 e seguenti, introdotti all'interno della legge fallimentare nel 2005, avevano rappresentato addirittura l'occasione in cui l'esdebitazione in senso stretto – pur presente da tempo in altri ordinamenti – aveva trovato accoglienza per la prima volta nel nostro diritto positivo, quale procedimento attraverso il quale il “fallito persona fisica” può ottenere, al ricorrere di certi presupposti, il “beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti” (art. 142 l. fall.).

Come si vede, la norma è molto circoscritta, perché, nell'ammettere il beneficio dell'esdebitazione solo a favore del “fallito persona fisica”, lo assoggetta automaticamente a tre limitazioni: e cioè al fatto che ne possano godere solo imprenditori commerciali (prima limitazione) che superino le soglie dimensionali richieste dall'art. 1 (seconda limitazione) e che esercitino l'attività in forma individuale (terza limitazione). Solo gli imprenditori commerciali possono fallire, infatti, e solo a condizione di superare le soglie dimensionali prescritte dall'art. 1; e per il resto la norma è chiara nel prevedere la propria applicabilità solo alle persone fisiche, e quindi agli imprenditori individuali. Il che significa escludere tutti coloro che non sono imprenditori commerciali oppure lo sono ma in forma societaria oppure, pur svolgendo la propria attività in forma individuale, non superano le soglie prescritte, oppure non sono neppure imprenditori. Ma questi limiti sono stati successivamente superati, almeno in parte, proprio dalla legge n. 3/2012, che a sua volta ha introdotto nel nostro sistema la novità assoluta del sovraindebitamento, quale disciplina funzionale alla regolamentazione dell'insolvenza del cosiddetto debitore civile, o più in generale di tutti i soggetti esclusi dal fallimento e dalle altre procedure concorsuali: ivi incluso naturalmente il consumatore, che anzi rappresenta l'esempio più tipico e paradigmatico di debitore civile, e cioè di debitore diverso dall'imprenditore. Fino a quel momento, l'insolvenza dei soggetti esclusi dal fallimento, e quindi anche del consumatore, era stata sempre regolata semplicemente dalle norme sull'esecuzione individuale. Non che la questione non fosse nota, visto che la dottrina ne parlava da moltissimi anni, e non che all'estero non esistessero già modelli di riferimento, perché ne esistevano da tempo, ad esempio negli Stati Uniti, in Germania, in Spagna. Ma tant'è: in Italia l'insolvenza del debitore civile veniva trattata alla stregua di qualunque altra situazione di debito, come tale quindi regolata dalle norme sull'esecuzione individuale. E la ragione risiedeva probabilmente in una tradizione giuridica più radicalizzata, che faticava ad ammettere una regolamentazione collettiva dell'insolvenza all'infuori del paradigma dell'imprenditore commerciale (non piccolo).

Ecco allora cos'è l'esdebitazione prevista dall'art. 14-terdecies della legge n. 3/2012: è l'esdebitazione di cui possono godere i soggetti che, in quanto esclusi dal fallimento e dalle altre procedure concorsuali, abbiano fatto ricorso alla disciplina del sovraindebitamento. O meglio: che siano stati sottoposti, fra le tre procedure previste dalla legge sul sovraindebitamento (piano del consumatore, accordo di composizione della crisi e liquidazione), alla procedura di liquidazione, perché è solo questa la procedura da cui l'art. 14 terdecies faccia derivare espressamente il beneficio dell'esdebitazione a favore del sovraindebitato (in una linea di coerenza, se vogliamo, rispetto a quanto previsto dall'art. 142 l. fall., considerato che la liquidazione del sovraindebitato corrisponde al fallimento dell'imprenditore commerciale non piccolo, così come alle altre procedure di sovraindebitamento corrispondono le procedure fallimentari minori). Salvo il fatto che anche la legge del 2012 circoscrive l'applicabilità dell'esdebitazione alle sole persone fisiche. Vale a dire: fra i soggetti che possono accedere alla procedura di liquidazione, quale disciplinata dalla legge del 2012, possono aspirare anche all'esdebitazione che ne deriva solo quelli che siano persone fisiche.

Ma accanto a queste forme di esdebitazione in senso stretto ne esistono altre, di natura in senso lato concordataria, diverse dalle prime sia per il fatto di non essere definite espressamente come tali dalla legge (perché la legge, lo abbiamo appena visto, la parola “esdebitazione” la usa solo negli articoli 142 e seguenti l. fall. e 14-terdecies L. 3/2012) sia per il fatto di non dipendere da un procedimento apposito, derivando piuttosto quali conseguenze implicite dall'applicazione di norme dedicate ad altri istituti, e più in particolare dall'applicazione delle norme sui concordati. Qui il riferimento ai concordati va inteso come compiuto non solo al concordato preventivo o fallimentare, in primis, ma anche alle due procedure alternative alla liquidazione previste dalla legge sul sovraindebitamento, vale a dire il piano del consumatore e l'accordo di composizione della crisi, perché tutte queste procedure, per quanto dotate di caratteristiche che le distinguono molto l'una dall'altra (al punto che, quanto al piano del consumatore, la sua natura concordataria può essere affermata solo per approssimazione), hanno comunque in comune l'effetto naturale che provocano, costituito dalla liberazione del debitore dai debiti eccedenti la percentuale soddisfatta. E non è altro che in questo che consiste l'esdebitazione, aldilà di essere o non essere definita esplicitamente come tale.

Se dunque l'esdebitazione in senso stretto rappresenta una novità recente nel nostro ordinamento, l'esdebitazione concordataria vi esiste invece da sempre, proprio in quanto effetto naturale scaturente da altri istituti, tipici nella nostra tradizione. Ma il dato storico non è l'unica differenza fra l'una e l'altra esdebitazione, né lo è quello puramente nominale: come se tutto si risolvesse in una questione di definizioni esplicite o conseguenze implicite e di novità o tradizione. Le differenze, al contrario, sono anche contenutistiche. Anzi: potremmo dire che una forma di esdebitazione integra l'altra, nel senso che chi non può aspirare all'esdebitazione in senso stretto potrebbe tuttavia legittimamente aspirare all'esdebitazione concordataria, così come chi non avesse ottenuto l'esdebitazione concordataria potrebbe tuttavia ancora ottenerla in senso stretto. Pensiamo ad esempio all'imprenditore commerciale individuale non piccolo che abbia cercato di accedere al concordato preventivo, senza riuscirvi: l'esdebitazione concordataria gli sarà preclusa, ma non gli sarà preclusa quella fallimentare, nel caso di fallimento successivo al concordato. Non solo: paradossalmente l'esdebitazione conseguente al fallimento potrebbe risultargli più vantaggiosa, alla fine, perché la percentuale dei debiti soddisfatti nel fallimento, oltre la quale l'esdebitazione opera, potrebbe risultare inferiore rispetto a quella che sarebbe derivata dall'esecuzione del concordato (il che significa che sarebbe più alta la percentuale di debiti liberati). Oppure pensiamo al caso dell'imprenditore commerciale in forma societaria, come tale escluso dall'esdebitazione fallimentare ma non da quella concordataria: vuoi ai sensi della legge fallimentare, nell'ipotesi in cui l'imprenditore non sia piccolo, vuoi ai sensi della legge n. 3 del 2012, nell'ipotesi in cui invece lo sia.

Ciò detto, lo scenario è destinato a mutare ancora nel prossimo futuro, se e quando entrerà in vigore il nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza.

E questo in una direzione fortemente espansiva, considerato che il Codice non solo prevede l'estensione del beneficio dell'esdebitazione anche agli imprenditori collettivi (tanto nell'ambito del fallimento, quanto nell'ambito del sovraindebitamento), ma introduce addirittura una forma ulteriore di esdebitazione riservata al sovraindebitato persona fisica: un'esdebitazione cosiddetta “senza utilità”, della quale il sovraindebitato persona fisica potrà godere, al di fuori di qualunque procedura, anche quando “non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”. È vero che, per un altro verso, la nuova disciplina del sovraindebitamento sottrarrà al consumatore la possibilità di accedere all'accordo di composizione della crisi (che cambierà anche nome, per assumere quello di “concordato minore”), nel senso che il consumatore, almeno secondo l'opinione già prevalente, potrà accedere solo al piano del consumatore (che a sua volta cambierà nome in “ristrutturazione dei debiti del consumatore”) o alla liquidazione, e giocoforza potrà quindi aspirare a godere solo dell'esdebitazione derivante dall'una o dall'altra di queste due procedure. Ma è una restrizione quasi irrilevante, a maggior ragione se messa a confronto con la novità dell'esdebitazione senza utilità di cui abbiamo appena detto, che vedrà il consumatore quale destinatario privilegiato (seppure non esclusivo, perché il sovraindebitato persona fisica potrebbe essere anche un imprenditore o un professionista, ai quali la legge sul sovraindebitamento è ugualmente rivolta).

Le ragioni dell'esdebitazione del consumatore

Innanzitutto occorre vedere chi sia il consumatore: e da questo punto di vista le norme della legge attuale e del Codice sono molto simili fra loro. La legge attuale definisce il consumatore come “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”; il Codice come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati III, IV e VI del titolo V del libro V del codice civile”, vale a dire anche se socia illimitatamente responsabile di una società di persone, “per i debiti estranei a quelli sociali”.

Come si vede, le norme sono diverse dove il Codice allarga la nozione di “consumatore” al socio di società di persone (dirimendo una questione controversa); e dove viene precisato che non possono essere inclusi fra i consumatori né gli artigiani né i professionisti (questa invece era una questione fuori discussione). Ma sono identiche nel non fissare una nozione di “consumatore” valida una volta per tutte, in relazione all'attività svolta, ancorandola piuttosto alla natura delle obbligazioni contratte.

Una nozione come questa sembrerebbe comunque neutrale, a prima vista, e non lo è invece del tutto, a ben guardare, perché lascia aperte alcune questioni, che la giurisprudenza conosce bene e che il Codice risolve solo in parte. Ad esempio: come trattare le obbligazioni miste, da intendere quali indebitamenti solo parzialmente imputabili a bisogni personali (perché imputabili anche ad attività imprenditoriali)? Oppure: come trattare la posizione del fideiussore? Attraendola a quella del debitore principale (con la conseguenza che, se è consumatore quest'ultimo, lo sarà di necessità anche il fideiussore) o considerandola autonoma? Quanto alle obbligazioni miste, la giurisprudenza sembra aver ormai accettato la tesi della scorporabilità dei debiti, consentendo il ricorso al sovraindebitamento in relazione ai debiti personali e quello al fallimento in relazione ai debiti imprenditoriali (sussistendone le condizioni); e questa tesi sembra a sua volta essere stata recepita dal Codice quantomeno in riferimento al socio illimitatamente responsabile di società di persone, perché l'equiparazione del socio al consumatore consentirà al socio stesso di gestire la propria crisi derivante da debiti diversi da quelli sociali indipendentemente dall'assoggettamento a procedura concorsuale anche della società. Quanto alla posizione del fideiussore, l'orientamento è invece meno univoco, per quanto sembri prevalere ormai il principio che debba essere compiuta una valutazione caso per caso, al netto di qualunque automatismo: con la conseguenza che spetterebbe al giudice di verificare, di volta in volta, se il fideiussore abbia agito per interessi derivanti dalla propria attività imprenditoriale (nel qual caso l'accesso al sovraindebitamento gli sarà naturalmente precluso) o per scopi di natura privata e personale (nel qual caso il sovraindebitamento sarebbe accessibile per definizione). In ogni caso, la circostanza che nel Codice alcune questioni rimangano immutate consentirà, se non altro, di continuare a fare ricorso agli orientamenti formatisi sotto il vigore della legge attuale: inalterati i problemi, potranno infatti rimanere inalterate anche le possibili soluzioni.

Quanto all'esdebitazione, la sua natura comunque non muta in funzione del soggetto che ne beneficia: ed è quindi sempre la stessa, vuoi che ne benefici il consumatore, quale appena definito, ai sensi della legge sul sovraindebitamento, vuoi che ne benefici, ai sensi della medesima legge sul sovraindebitamento o della legge fallimentare, qualunque altro soggetto. Identica, in tutti i casi, non potrà che essere allora anche la sua ratio, sulla quale è necessario interrogarci (perché la ratio delle norme serve sempre a comprenderle meglio): quale ragione giustifica l'istituto? Quale pulsione lo anima? Quale fine vi è preordinato?

Diciamo che, dal punto di vista economico, l'esdebitazione viene configurata normalmente come misura in primo luogo premiale, ispirata a logiche di tutela del debitore; e la stessa cosa può essere affermata anche dal punto di vista storico. In altre parole: da sempre, l'esdebitazione viene intesa innanzitutto come strumento attraverso il quale il debitore, dopo essere fallito o comunque dopo aver attraversato una crisi, possa aspirare a risorgere a nuova vita, liberato da tutti i debiti.

E che questa sia la principale configurazione dell'istituto anche nel nostro ordinamento lo confermano sia le norme nella loro formulazione letterale, sia le relazioni ministeriali dalle quali le norme vengono accompagnate e spiegate. Quanto alle norme, sia l'art. 142 l. fall. sia l'art. 14 terdecies l. 3/2012 definiscono l'esdebitazione come “beneficio”; quanto alle relazioni, quella che accompagna il decreto introduttivo dell'esdebitazione del fallito (d.lgs. 5/2006) dà atto che l'intenzione del legislatore è esattamente di “recuperare l'attività economica del fallito per permettergli un nuovo inizio, una volta azzerate tutte le posizioni debitorie”, e quella che accompagna la legge del 2012 dà atto a sua volta dell'intenzione di “offrire una seconda chance a coloro che non avrebbero alcuna prospettiva di superare lo stato di sovraindebitamento, per fronteggiare un problema sociale e reimmettere nel mercato soggetti potenzialmente produttivi”.

Come si vede, le due relazioni sono pressoché identiche nella descrizione della ratio dell'esdebitazione, ma la relazione che accompagna la legge del 2012 è esplicita nel lasciar trapelare almeno una seconda possibile ratio, che vede il fondamento dell'esdebitazione anche nell'esigenza di incentivare i consumi come volano di sviluppo economico. In questo senso, l'esdebitazione rappresenterebbe un presidio a tutela del mercato, più che uno strumento a tutela del debitore, nel senso che la consapevolezza da parte di quest'ultimo di poter fare ricorso, in prospettiva, a procedure di regolazione dell'insolvenza che prevedano come esito la liberazione dai debiti dovrebbe indurlo a trasformare i redditi futuri in consumi attuali.

Ma non solo: la dottrina, sia italiana che straniera, da sempre adduce anche argomenti ulteriori a sostegno dell'esdebitazione, fornendone spiegazioni e giustificazioni della natura più varia. E così alcuni ne individuano il fondamento nella volontà di recuperare il debitore al ciclo produttivo (sempre nell'ottica di supporto all'economia di mercato), altri in una pulsione di perdono sociale (motivato da urgenze morali), altri ancora in una doverosa accettazione dei limiti dell'agire umano (per cui, da questo punto di vista, l'esdebitazione sarebbe da intendere come correttivo alla tendenza impulsiva dell'essere umano a sottovalutare sistematicamente i rischi del ricorso al credito). Oppure si afferma che l'esdebitazione sarebbe finalizzata a sollecitare il debitore a partecipare al processo di liquidazione dei propri beni e di distribuzione del ricavato ai creditori: e quindi la liberazione dai debiti non sarebbe nient'altro che il corrispettivo (o il premio, se si preferisce) riconosciuto dai creditori a quel debitore che abbia contribuito alla massimizzazione dei dividendi a loro vantaggio.

La verità è che niente esclude che la ragion d'essere dell'esdebitazione possa essere rintracciata nell'integrazione di tutte queste motivazioni, e non soltanto in una o nell'altra. Una cosa sembra certa: l'esdebitazione non costituisce una misura ispirata solo a logiche di tutela del debitore. E lo confermano, a ben vedere, quelle stesse tesi che vorrebbero partire dall'assunto contrario. Ad esempio, configurare l'esdebitazione come contropartita della collaborazione del debitore al processo di liquidazione dei propri beni in vista della massimizzazione del dividendo a favore dei creditori significa essere disposti a considerare l'esdebitazione come misura ispirata a logiche di tutela anche di questi ultimi, e non esclusivamente del debitore; e non è casuale che questo punto di vista sia sostenuto soprattutto da autori anglosassoni, nei cui ordinamenti la tutela dei creditori era originariamente l'unica giustificazione dell'istituto, tanto che il debitore che non collaborava veniva addirittura condannato a morte.

Insomma, dobbiamo resistere alla tentazione della logica univoca.

La spiegazione di un fenomeno quale l'esdebitazione è necessariamente complessa e multiforme, perché complesse e multiformi sono le sue implicazioni: e questo vale sia in relazione all'esdebitazione dell'imprenditore, sia in relazione a quella del consumatore. In un caso e nell'altro, l'orizzonte non è più semplicemente quello del rapporto bilaterale fra debitore e creditore, bensì (e prendiamo qui a prestito alcune parole usate da Lara Modica in riferimento al sovraindebitamento in generale, ma applicabili anche all'esdebitazione) è quello del “mondo delle regole mercantili” e degli “obiettivi di politica economica che lo giustificano”: e quindi occorre “esorbitare” dal primo (per citare ancora Lara Modica) ed entrare nel secondo, abbandonare logiche singolari per abbracciarne di più ampie.

Qual è dunque l'orizzonte nel quale dobbiamo inscrivere l'esdebitazione del consumatore?

È diverso, questo orizzonte, da quello nel quale debba essere inscritta l'esdebitazione dell'imprenditore commerciale non piccolo (al di là delle ragioni dell'istituto, che come abbiamo visto sono invece identiche in un caso e nell'altro)? Oppure i due orizzonti coincidono? No, possiamo rispondere, i due orizzonti sono diversi, esattamente come lo sono i contesti all'interno dei quali le due esdebitazioni sono collocate: l'una, l'esdebitazione del consumatore, all'interno della legge sul sovraindebitamento; l'altra, l'esdebitazione dell'imprenditore, all'interno della legge fallimentare. Ed è una differenza tutt'altro che astratta, cioè solo formalistica o solo filosofica. Pensiamo ad esempio all'esdebitazione derivante dall'esecuzione del piano del consumatore: attraverso il piano, il consumatore può aspirare alla liberazione dai propri debiti non solo contro la volontà dei propri creditori, ma addirittura a prescindere da tale volontà (essendo il piano sottratto al voto). Vi torneremo, ma intanto notiamo almeno questo: che il piano introduce nel sistema una forma di esdebitazione specialissima riservata al solo consumatore, la cui giustificazione evidentemente può essere trovata solo nella specialità del debitore. Si tratta della medesima specialità che ha indotto il legislatore del Codice della crisi a prevedere per il futuro l'esdebitazione senza utilità, che rappresenta una forma ancora più speciale di esdebitazione; e che a sua volta rimarrebbe inspiegabile, appunto, al di fuori di un orizzonte anche sociale e politico.

Certo, fino ad oggi l'esdebitazione è un beneficio di cui i consumatori hanno poco usufruito, per il semplice motivo che è la disciplina del sovraindebitamento, più in generale, ad aver ricevuto scarsissima applicazione in questi anni. Nei fatti, la legge del 2012 che l'aveva introdotta è rimasta sconosciuta, e quindi inapplicata. Forse non del tutto inapplicata, perché negli ultimi anni una seppur esigua giurisprudenza stava e sta cominciando a prendere corpo e perché esiste una differenza fra le grandi e le piccole città (la giurisprudenza riguarda perlopiù le piccole), ma comunque estranea al nostro comune sentire, ai nostri orizzonti quotidiani. E del resto sarebbe stato strano il contrario: quello della regolamentazione collettiva dell'insolvenza del debitore civile è un caso nel quale, come abbiamo visto, la legge non ha preso atto di un agire sociale già radicato, per istituzionalizzarlo o al limite per regolarlo meglio, bensì si augurava e si augura di poter inaugurare un nuovo costume, nuove abitudini. E qualunque nuova pratica richiede sempre tempi di assimilazione e di elaborazione, e pazienza. Proprio il fatto che nel nostro ordinamento fosse così radicalizzata una tradizione che non ha mai concepito la regolamentazione collettiva dell'insolvenza al di fuori del paradigma dell'imprenditore commerciale (non piccolo) ha impedito che all'introduzione formale di norme speciali sull'insolvenza del soggetto non fallibile corrispondesse anche una loro immediata applicazione nella realtà pratica. Ma ora da tempo è diffusa l'idea che le cose siano destinate a cambiare: un pò perché stava e sta giungendo a maturazione, per conto suo, quel processo di assimilazione culturale di cui la legge del 2012 aveva bisogno, un pò perché, pur nel relativo benessere di questa nostra parte di mondo, sono tuttora numerosissime le situazioni di crisi, non solo imprenditoriali ma anche personali.

E tutto questo è ancora più vero dopo il Coronavirus: la pandemia ha già spalancato davanti ai nostri occhi un'era inedita di povertà, che forse la disciplina sul sovraindebitamento potrà almeno aiutare a contenere, ad attutire.

In realtà, in un saggio di recente pubblicazione (La ragione e il buonsenso) Ferruccio de Bortoli e Salvatore Rossi negano che l'Italia sia un Paese povero.

Afferma ad esempio de Bortoli: “è vero, siamo un paese ricco che forse non sa di esserlo. O forse lo sa benissimo. Ostenta la propria agiatezza (tutte le auto da 50 mila euro in su sono di possessori che denunciano un reddito adeguato? Mah). Dissimula il proprio patrimonio”. E da un punto di vista diverso il sociologo Luca Ricolfi sostiene sostanzialmente la stesse cose, in un saggio altrettanto recente (La società signorile di massa): “in generale, si è innescata una gigantesca macchina retorica intorno a tutto ciò che ha più possibilità di suscitare sentimenti di pietà e indignazione, dipingendo un quadro quasi apocalittico dove imperano povertà, disoccupazione, sottoccupazione, omettendo però di specificare che si sta parlando di una minoranza della popolazione. Mentre l'esperienza diretta finisce inevitabilmente per mostrare quel che succede alla maggioranza, e che è tutt'altro che drammatico”. Ricolfi definisce la società italiana come una “società signorile di massa”, intendendo per tale “una società opulenta in cui l'economia non cresce più e i cittadini che accedono al surplus senza lavorare sono più numerosi dei cittadini che lavorano”. Da dove trae le proprie risorse questa maggioranza di cittadini che non lavora? Fondamentalmente dal risparmio delle generazioni precedenti, spiega Ricolfi, dalla ricchezza accumulata nel passato da altri, trasmessa per via ereditaria. Ma può bastare tutto questo a scongiurare le crisi? No, né de Bortoli e Rossi né Ricolfi sembrano arrivare a pensarlo (al di là del fatto che i loro saggi sono comunque antecedenti all'esplosione del Coronavirus). Il problema, come sottolinea lo stesso Ricolfi, deriva dal fatto che negli ultimi anni quel patrimonio ereditario è stato via via sempre più eroso: vuoi per effetto di un processo di riduzione del risparmio iniziato a sua volta dopo la crisi del 2008, vuoi per una sempre più spiccata inclinazione a ricorrere alla ricchezza accumulata, vuoi per una progressiva tendenza all'indebitamento, attraverso l'accesso al credito al consumo. Che tutto questo derivi, ancora più in generale, da una filosofia di vita improntata alla “cultura dell'uso” anziché alla “cultura del possesso”, come aggiunge Ricolfi, è irrilevante ai nostri fini. Ai fini di un discorso sull'esdebitazione, a contare sono solo le conseguenze: poter fare affidamento su vaste ricchezze accumulate nel passato non protegge da rischi sul futuro, a maggior ragione alla luce di stili di vita votati al consumo attraverso l'indebitamento. In più, rimane il fatto che una larghissima fetta della popolazione italiana non può neppure contare su ricchezze provenienti dal passato o su risparmi accantonati, vivendo al contrario solo di ciò che guadagna grazie al proprio lavoro (a patto di averne uno). In un caso e nell'altro, come è facile capire il problema riguarda i cittadini e le famiglie, prima ancora che le imprese: ed è qui, esattamemente qui, che risiede l'attualità, oltre che l'importanza, di un discorso sull'esdebitazione del consumatore. Tanto è vero che anche lo stesso de Bortoli, in un suo intervento più recente (sul Corriere della Sera del 28 giugno 2020), ha dato atto di un grande problema di impoverimento delle famiglie: un grande problema civile, e non solo economico, se solo pensiamo ad esempio alle conseguenze che ne derivano sull'accesso a diritti fondamentali come quello allo studio o alla salute.

Le norme, nel dettaglio

L'esdebitazione del consumatore in senso stretto è quella che trova la propria disciplina, come già detto, nell'art. 14-terdecies della legge sul sovraindebitamento.

La norma è molto dettagliata nel descrivere le condizioni in presenza delle quali il beneficio può essere concesso: ma tutte queste condizioni sono riassumibili nella necessità che il debitore l'abbia meritato (ad esempio, per aver cooperato al regolare ed efficace svolgimento della procedura, fornendo tutti i documenti e le informazioni utili, per non averne ritardato o non aver contribuito a ritardarne lo svolgimento, per non aver beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti, per non essersi indebitato facendo un ricorso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle sue capacità patrimoniali) e che abbia soddisfatto almeno in parte i creditori (ma anche questa è una condizione che attiene alla meritevolezza). O meglio: prima ancora, come abbiamo già visto, la norma prevede l'applicabilità dell'esdebitazione ai soli sovraindebitati persone fisiche che abbiano fatto ricorso alla procedura di liquidazione, e dunque sarebbero questi in realtà i primi presupposti di applicabilità della norma stessa – appunto che il sovraindebitato abbia usufruito della liquidazione e sia una persona fisica, quali sono per definizione i consumatori. Ma sono quasi due pre-condizioni.

In ogni caso, niente o quasi di tutto questo sarà più vero nel Codice, il quale da un lato estende il beneficio a tutti i sovraindebitati, dall'altro ne prevede l'applicabilità “di diritto”.

E dunque: sotto il primo profilo, potranno goderne anche gli imprenditori collettivi; sotto il secondo, sarà sufficiente aver fatto ricorso alla liquidazione.

Il sovraindebitato, che sia una persona fisica o una società, avrà diritto all'applicazione automatica dell'esdebitazione, a seguito della chiusura della procedura o addirittura anche prima, una volta decorsi tre anni dalla sua apertura. Rimarrà necessario farne domanda al giudice, se non altro nell'ipotesi in cui si aspiri al beneficio prima della chiusura della procedura, ma il provvedimento dovrà essere concesso automaticamente, senza necessità della dimostrazione di altri requisiti: neppure, sembra, che siano stati soddisfatti almeno in parte i creditori. Le nuove norme prevedono solo due limiti negativi rispetto a questo automatismo: il primo, di carattere generale, consiste nel fatto che il debitore non sia stato condannato, per effetto di sentenza passato in giudicato, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta o ad altri reati connessi all'attività d'impresa; il secondo, riguardante solo il consumatore, consiste nel fatto che quest'ultimo non dovrà essere stato già esdebitato nei cinque anni precedenti o aver comunque beneficiato dell'esdebitazione per due volte, né aver determinato la propria situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode.

Quanto all'oggetto dell'esdebitazione, sia l'art. 14-terdecies della legge del 2012 sia le nuove norme del Codice vi includono tutti i debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali rimasti insoddisfatti; e rientrano fra i creditori concorsuali, innanzitutto, i creditori anteriori alla procedura. Ma non solo: nella categoria vanno fatti rientrare, in secondo luogo, anche i creditori successivi che nondimeno abbiano partecipato al concorso: quali i creditori divenuti tali per effetto della restituzione di beni oggetto di atti revocati, perché è vero che non esiste nel sovraindebitamento una norma analoga all'art. 70 l. fall., che consente ai creditori che abbiano subìto la revocatoria di partecipare al concorso alla stessa stregua dei creditori anteriori, equiparandoli a questi ultimi anche sotto il profilo degli effetti della chiusura della procedura (quale l'esdebitazione), ma non esistono neppure norme contrarie, che ostacolino l'applicazione di tale principio quale principio generale.

In terzo luogo, pur non essendo concorsuali devono essere inclusi nell'esdebitazione anche i debiti prededucibili, vale a dire: i debiti nei confronti dei creditori della massa, anche loro naturalmente nella misura in cui non siano stati soddisfatti. Anche i creditori della massa, infatti, partecipano alla distribuzione dell'attivo, seppure davanti a tutti gli altri, e dunque è ragionevole che anche loro subiscano gli effetti dell'esdebitazione, da intendere in quest'ottica come scambio fra debitore e creditori: il primo offre tutti i propri beni, i secondi accettano la possibilità che tali beni possano soddisfarli solo in parte e conseguentemente offrono la liberazione del debitore in relazione alla parte non soddisfatta.

In quarto luogo, devono essere inclusi nell'esdebitazione i creditori concorsuali che avrebbero potuto partecipare al concorso e che tuttavia non vi hanno partecipato, o per decisione propria o perché ne sono stati esclusi. E sembra corretto ritenere che l'eccedenza in relazione alla quale opera l'esdebitazione debba essere calcolata non rispetto a quanto i creditori concorrenti hanno effettivamente percepito, ma rispetto a quanto avrebbero percepito se anche i creditori non concorrenti avessero partecipato, perché questa interpretazione ha il vantaggio di scongiurare abusi strumentali delle norme. È evidente infatti che i creditori non concorrenti, mantenendo intatti i propri diritti nella misura delle percentuali soddisfatte nella procedura, avrebbero tutto l'interesse che tali percentuali fossero le più alte possibili. D'accordo fra loro, i creditori potrebbero quindi presentare poche domande di ammissione al passivo, così da ottenere alte percentuali di soddisfacimento, delle quali godrebbero indirettamente anche i creditori non concorrenti; ed è proprio questo il rischio di abuso da scongiurare.

Altri debiti, al contrario, sono esclusi dall'esdebitazione. Il terzo comma dell'art. 14 terdecies ne elenca tre categorie: la prima concerne “gli obblighi di mantenimento e alimentari”; la seconda, “i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché per le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti”; la terza (che il Codice non menziona più), i debiti fiscali che, pur avendo causa anteriore, siano stati accertati dopo, “in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”. Inoltre, una quarta categoria di debiti esclusi potrebbe derivare dalle norme (gli articoli 11 e 12 ter della legge sul sovraindebitamento e 278 del Codice) che fanno espressamente salvi i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati di regresso, perché, per effetto di queste norme, il debitore ammesso al beneficio dell'esdebitazione potrebbe non essere considerato protetto verso i terzi che, avendo soddisfatto i creditori nella veste di obbligati in solido, maturino a loro volta nei suoi confronti diritti di rivalsa totale o parziale.

Infine, una quinta categoria di debiti esclusi è ovvia, tanto alla luce delle norme attuali quanto alla luce delle norme nuove, ed è rappresentata da tutti i creditori che abbiano maturato i propri crediti dopo la procedura (eccettuati quelli divenuti tali per effetto di atti revocati, come detto). I creditori successivi alla procedura non possono partecipare al concorso: ed è questa la ragion d'essere della loro esclusione dall'esdebitazione.

Quanto al procedimento di esdebitazione, le norme sono molto laconiche: la norma attuale (sempre l'art. 14 terdecies) si limita a dire che la domanda va presentata entro un anno dalla chiusura della liquidazione e che i creditori non integralmente soddisfatti possono proporre reclamo; quelle nuove che l'esdebitazione opera di diritto a seguito della chiusura stessa o anche prima, una volta decorsi tre anni dall'apertura, e che il reclamo può essere proposto, oltre che dai creditori, anche dal pubblico ministero.

Avanzano di conseguenza almeno due dubbi, su tutti.

Il primo: può l'esdebitazione essere concessa anche in occasione, e non solo a seguito, della chiusura della procedura?

Il secondo: può il reclamo essere proposto anche dal debitore, oltre che dai creditori? Ed è lecito rispondere affermativamente a ciascuna di questa due domande: sembra lecito cioè, fosse anche solo per ragioni di economia processuale, che l'esdebitazione possa essere concessa anche in occasione della chiusura stessa della procedura, come del resto le norme fallimentari prevedono espressamente in riferimento all'esdebitazione del fallito; e sembra altrettanto lecito che contro il provvedimento anche il debitore sia legittimato a proporre reclamo, essendo l'esdebitazione destinata per propria natura a produrre effetti nei suoi confronti. In tutti i casi, quel che non sembra consentito è che l'esdebitazione possa essere concessa d'ufficio, quantomeno alla luce delle norme attuali (mentre il Codice sembra consentirlo, se non altro in riferimento all'esdebitazione conseguente alla chiusura della procedura).

Oltre all'esdebitazione derivante dalla liquidazione, il Codice introduce un'ulteriore forma di esdebitazione a favore del sovraindebitato persona fisica, la cosiddetta esdebitazione “senza utilità”, di cui abbiamo già avuto modo di parlare: una forma di esdebitazione della quale il sovraindebitato persona fisica potrà godere addirittura al di fuori del ricorso a qualunque procedura, anche quando non sia nelle condizioni di offrire la benché minima contropartita o “utilità” ai creditori, né diretta né indiretta. La relazione illustrativa spiega bene la ratio della norma, individuandola non solo nella volontà di restituire il debitore alla piena vita, liberandolo dal peso dei debiti, ma anche nella volontà di “reimmettere nel mercato soggetti potenzialmente produttivi”. Ed è vero che questa è una delle possibili ragioni d'essere dell'esdebitazione in generale, ovunque l'esdebitazione sia prevista: ma qui questa ratio viene invocata fino a farne derivare conseguenze estreme.

L'esdebitazione “senza utilità” potrà essere concessa solo una volta; e viene comunque fatto salvo l'obbligo di pagare il debito entro i quattro anni successivi al provvedimento del giudice che la concede, qualora entro questo termine sopravvenissero utilità tali da consentire “il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento”, secondo una valutazione “su base annua, dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorre al mantenimento del debitore e della sua famiglia” (ma fra le “utilità” non sono compresi i finanziamenti, “in qualsiasi forma erogati”).

Il fatto che la concessione possa essere disposta a prescindere dal ricorso alla liquidazione o a qualunque altra procedura non significa che possa prescindere da un procedimento a sé stante. Sarà dunque necessario che il debitore presenti una domanda al giudice competente, che come sempre è quello del luogo in cui il debitore stesso ha la sua residenza; e che lo assista un OCC, al quale le norme chiedono di redigere una relazione particolareggiata, simile a quella che l'OCC è chiamato a depositare nell'ambito delle altre procedure di sovraindebitamento, che certifichi la completezza e l'attendibilità di tutti i documenti allegati alla domanda, indichi le cause dell'indebitamento e dell'incapacità del debitore di farvi fronte e valuti se il debitore sia stato diligente nell'assumere i debiti così come se i creditori lo siano stati nel concedere finanziamenti. L'esdebitazione potrà essere concessa dal giudice solo previo accertamento della meritevolezza del debitore (e più in particolare dell'assenza di atti in frode e della mancanza di dolo o colpa grave nell'assunzione dei debiti); e sarà necessario che il provvedimento indichi modalità e termini di presentazione, da parte del debitore, delle dichiarazioni annuali relative alle sopravvenienze che possano consentire il pagamento dei debiti nei successivi quattro anni.

Ma quali sono gli effetti dell'esdebitazione?

La liberazione del debitore da tutti i debiti che non siano stati soddisfatti nella procedura non è configurata dalla legge come estinzione di tali debiti, bensì come semplice inesigibilità dei relativi crediti, e questo vale sia rispetto all'esdebitazione del fallito, sia rispetto all'esdebitazione del sovraindebitato (in tutti i casi, tanto alla luce delle norme attuali quanto alla luce del Codice). Possiamo affermare che l'esdebitazione trasforma i debiti residui del debitore che ne beneficia da obbligazioni perfette in obbligazioni assimilabili a quelle naturali; e potremmo dire che questa trasformazione è coerente rispetto alla visione dell'esdebitazione come espressione di perdono sociale motivato da urgenze morali di cui parlavamo. Sono obbligazioni naturali, infatti, quelle obbligazioni che sorgano da doveri morali e sociali (ai sensi dell'art. 2034 c.c.): queste obbligazioni non possono essere pretese coattivamente dai creditori (e dunque sono inesigibili), ma i doveri morali e sociali sono giusta causa di pagamento se le obbligazioni vengano adempiute spontaneamente, e quanto pagato non può essere ripetuto. Ecco: allo stesso modo, è sostenibile che anche i debiti del soggetto cui sia stata concessa l'esdebitazione degradino a debiti di natura sociale e morale. Quale che sia la ratio della scelta del legislatore e la visione dell'esdebitazione cui la scelta è ispirata, rileva allora soltanto questo: l'esdebitazione libera il debitore (fallito o consumatore che sia) dai suoi debiti, ma al debitore, se i debiti vengano pagati spontaneamente, è preclusa la ripetizione del pagamento. Dal canto suo, il creditore non potrà più agire esecutivamente nei confronti del suo debitore in relazione ai debiti inclusi nell'esdebitazione; ma potrà trattenere quanto gli sia stato spontaneamente pagato.

L'esdebitazione concordataria

Infine, oltre alle due forme di esdebitazione in senso stretto (quella conseguente alla liquidazione e quella, prevista dalle norme nuove, “senza utilità”) il consumatore può godere anche di altri due generi di esdebitazione, che abbiamo definito entrambi di natura in senso lato concordataria, derivanti dall'esecuzione degli accordi di composizione della crisi e dal piano del consumatore, che a loro volta producono la liberazione dei debiti per la misura eccedente la percentuale offerta ai creditori.

Quanto al contenuto, anche questi due generi di esdebitazione riguardano in linea di principio solo i creditori anteriori al concordato, ma includono debiti che viceversa l'esdebitazione derivante da liquidazione esclude: e pensiamo ai debiti verso i soggetti titolari di crediti impignorabili, dei quali il Codice ammette il pagamento in percentuale, oppure ai debiti derivanti da risarcimento dei danni o a quelli fiscali accertati successivamente (in relazione ai quali, quantomeno, non esistono esenzioni specifiche).

Non solo: una norma della legge attuale prevede che l'omologazione degli accordi e del piano non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso, e quindi, attualmente, neppure l'esdebitazione concordataria potrebbe liberare il debitore dai diritti di rivalsa di questi soggetti; ma in relazione al piano del consumatore una norma simile non esiste più, nel Codice, e quindi sarebbe legittimo ritenere che, quantomeno nei confronti del consumatore, il legislatore abbia voluto eliminare anche questi limiti (a meno di voler continuare a ricavarli, per via analogica, dalle norme sul concordato preventivo o sullo stesso concordato minore). Quanto agli effetti, è discusso se anche la liberazione concordataria debba essere intesa come semplice inesigibilità dei crediti o come loro estinzione: ma quel che è certo è che, quantomeno in relazione al piano, il fatto di ritenere eventualmente superato il limite della sopravvivenza dei diritti nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso potrebbe deporre a favore dell'estinzione tout court.

Inoltre, le esdebitazioni in senso stretto dipendono da provvedimenti ad hoc (più o meno automatici che siano); le altre, le esdebitazioni da accordi e da piano, sono implicite nella disciplina delle procedure, delle quali costituiscono un effetto naturale, che come tale non ha bisogno di un provvedimento autonomo che ne dia atto.

Ma queste differenze assomigliano, almeno in parte, alle differenze che più in generale, in ambito fallimentare, distinguono le esdebitazioni concordatarie dall'esdebitazione conseguente al fallimento. La differenza vera e più grande, qui, è semmai interna, ed è quella che corre fra esdebitazione derivante dagli accordi ed esdebitazione derivante dal piano. Accomunarle è possibile solo per approssimazione, per lo stesso motivo per cui il piano stesso è a sua volta assimilabile solo per approssimazione alle procedure concordatarie. Al riguardo la dottrina parla giustamente di un'esdebitazione “tipologica”, proprio perché si tratta di un'esdebitazione che trova ragione e causa, puramente e semplicemente, nella corretta esecuzione da parte del debitore di un piano di ristrutturazione che i creditori, non essendo chiamati a votarlo, possono solo subire: e solo il consumatore può godere di questa forma di esdebitazione, perché il piano è riservato solo a lui. Certo, ai creditori è consentito, nel giudizio di omologazione del piano, di contestarne la convenienza, e quindi il loro diritto di parola non è completamente soppresso. Ma altro è contestare la convenienza del piano, nella consapevolezza peraltro che il piano verrà ugualmente omologato se il giudice lo riterrà comunque conveniente almeno quanto l'alternativa liquidatoria; altro è poter determinarne le sorti esprimendo il proprio voto. Ed è questo che nel piano del consumatore non esiste (al fine di evitare che sul voto possano influire ragioni personali): il diritto dei creditori di votare.

La specialità della fattispecie è evidente, perché qui, ai fini del beneficio, basta ancora meno di quanto occorre all'esdebitazione derivante dagli accordi, che già sfugge alla necessità di un provvedimento giudiziale ad hoc. Siamo un passo più in là, perché qui, non essendo necessario neppure l'assenso dei creditori, potremmo quasi dire che il consumatore basta a sé stesso e che l'esdebitazione derivante dal piano non dipende da altri se non da lui. Basterà, al consumatore, dimostrare di essere sovraindebitato, e di esserlo senza colpa (questo sì): ma nient'altro. O meglio: gli rimarrà solo da adempiere il piano destinato a superare questa situazione, quale che sia il suo contenuto, quale che sia il soddisfacimento offerto ai creditori, quali che ne siano i tempi e le modalità.

Il fatto di trovarsi in uno stato di sovraindebitamento è dunque sufficiente al consumatore, nei casi dell'esdebitazione “senza utilità” e di quella conseguente al piano, ai fini della concessione del beneficio?

Sarebbe eccessivo spingerci ad affermarlo, perché in entrambi i casi è comunque necessario almeno un giudizio da parte del tribunale sulla meritevolezza del debitore; ma si tratta comunque, tutto sommato, poco meno che di remissioni incondizionate. Ciascuna a modo proprio, sia l'esdebitazione conseguente al piano del consumatore sia, ancora di più, l'esdebitazione “senza utilità” sembrano rappresentare davvero quasi un esaudimento.

Quasi come in una preghiera, o come in quei versi di Giovanni Giudici: “rimetti a noi i nostri debiti/come noi li rimettiamo”.

Bibliografia

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