Procedimento unitario per l'accesso alle procedure (CCII)

Marco Terenghi
Francesca Varesano
30 Settembre 2020

Una delle principali novità sistematiche introdotte dal nuovo Codice della Crisi d'impresa e dell'Insolvenza è rappresentata dal c.d. “procedimento unitario” di accesso alle varie procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza previste dall'ordinamento concorsuale. Il presente approfondimento si pone l'obiettivo di ricostruire il quadro normativo del nuovo procedimento e di delinearne i tratti più rilevanti, facendone emergere gli aspetti innovativi ma anche problematici.

Inquadramento

Il procedimento uniforme di accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza trova la propria disciplina all'interno del Titolo III – Capo IV – sezione II, artt. 40-53 del nuovo codice (“CCII”) e regolamenta, in modo tendenzialmente unitario, le modalità di accesso alle varie procedure ivi previste.

Prima del CCII, il sistema delle procedure concorsuali e delle soluzioni negoziali della crisi d'impresa si connotava per la diversità (disorganicità) degli schemi processuali che governa(va)no ciascuna fase di apertura, omologazione, chiusura ed impugnazione di ogni procedura o delle sue singole fasi procedimentali.

Uno dei principali obiettivi della riforma elaborata dalla “commissione Rordorf”, quindi, era quello di razionalizzare le modalità di attivazione delle varie procedure concorsuali, istituendo un unico “contenitore processuale uniforme” (cfr. Relazione della “commissione Rordorf”) per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza, valido per ogni categoria di debitore, caratterizzato da particolare celerità ed armonizzazione anche in sede di impugnazione, e contrassegnato dalla priorità di trattazione riservata alle proposte che prevedono il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale.

A fronte, poi, di una fase introduttiva di stampo unitario, il procedimento avrebbe dovuto prestarsi a diversi possibili esiti, a seconda del tipo di provvedimento richiesto al giudice ed alla sussistenza o meno dei requisiti di accesso previsti dalla legge.

L'originario imprinting della riforma è stato mantenuto, quantomeno a livello enunciativo, nel comma 1 dell'articolo 7 del CCII, il quale stabilisce il principio per cui “le domande dirette alla regolazione della crisi o dell'insolvenza sono trattate in via d'urgenza e in un unico procedimento; a tal fine ogni domanda sopravvenuta va riunita a quella già pendente”. Ciò conferma che la ratio sottesa a tale previsione è quella di semplificare l'accesso alle singole procedure e di agevolarne il coordinamento, evitando sovrapposizioni e duplicazioni procedimentali.

La filosofia iniziale della riforma, in sostanza, mirava alla intercambiabilità – o, comunque, alla duttilità - degli esiti del procedimento in una prospettiva quasi “modulare” di quest'ultimo, tanto da affermare (cfr. Relazione della Commissione Rordorf - pag. 10): «il procedimento sarà suscettibile di diversi possibili esiti, a seconda del tipo di provvedimento richiesto al giudice e dell'accertamento positivo o negativo della sussistenza delle relative condizioni. Appare coerente con questa logica il prevedere che un iniziale percorso concordatario, ove rivelatosi impraticabile, possa convertirsi automaticamente in un esito liquidatorio (corrispondente all'attuale fallimento), senza necessità di una nuova domanda – e dunque con risparmio di tempi e di costi – poiché l'iniziale domanda di regolazione della crisi sussume in sé tutti i prevedibili esiti del percorso giudiziale. Ovviamente ciò non comporta la reintroduzione in diversa forma della fallibilità d'ufficio, già da tempo espunta dall'ordinamento, che anzi dev'essere espressamente ribadita mediante l'eliminazione dell'unica ipotesi in cui essa è tuttora contemplata dall'art. 3, primo comma, del d. lgs. n. 270 del 1999».

In realtà, i numerosi timori manifestati dagli interpreti circa il rischio di una automaticità di attivazione dell'opzione liquidatoria finale rispetto a quella regolatoria iniziale (in sostanza, la possibilità di un nuovo “fallimento d'ufficio” sotto mentite spoglie) hanno indotto il Governo ad una revisione de facto dell'originaria impostazione, attraverso la predisposizione di un modello che di “unitario” ha molto meno rispetto alla sua impostazione iniziale.

In effetti, il format del CCII, dichiaratamente concepito per l'accesso a tutte le procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza, é in realtà divenuto un modulo:

  1. preordinato in modo “tipico” all'avvio della sola liquidazione giudiziale;
  2. suscettibile di utilizzo anche per l'accesso ad una procedura di regolazione concordata esclusivamente, di fatto, nell'eventualità di concorso dell'istanza del debitore a ciò diretta con una domanda di liquidazione giudiziale proposta da taluno dei soggetti legittimati, secondo una logica non molto dissimile da quella riscontrabile anche nell'ordinamento ante-riforma.

Non a caso, in definitiva, i punti più qualificanti del procedimento continuano ad essere i seguenti: a) la domanda di concordato (o di altra soluzione negoziale-conservativa della crisi) è destinata a prevalere su quella di liquidazione; b) tale preminenza non si traduce nell'improcedibilità della domanda di liquidazione né nella sua sospensione a norma dell'art. 295 c.p.c., poiché l'unico modo per assicurarla è quello di promuovere la trattazione congiunta delle domande, garantendo il coordinamento delle relative decisioni in modo che quella sull'istanza di liquidazione possa avere luogo solamente una volta esclusa la praticabilità della soluzione negoziale.

Una maggiore incisività dell'originale modello unitario è invece rimasta, nella versione definitiva del CCII, in relazione al regime delle impugnazioni e delle misure protettive e cautelari, rispetto al quale il progresso rispetto all'assetto della Legge Fallimentare risulta evidente.

Procedimento unitario e riunione di procedimenti

Come si è anticipato, l'art. 7, comma 1, del CCII impone la trattazione unitaria di tutte le domande dirette alla regolazione della crisi o dell'insolvenza proposte dai soggetti legittimati. La legittimazione attiva per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza appartiene unicamente al debitore (art. 40, comma 3), mentre quella diretta all'apertura della liquidazione giudiziale compete altresì ai creditori, al P.M. ed agli organi o alle autorità amministrative che svolgono funzioni di controllo sull'impresa (art. 40, comma 5: quest'ultima innovazione si pone quale momento terminale del procedimento di allerta di cui agli artt. 14-18, dove l'organo di controllo interno riveste un ruolo propulsivo che rappresenta uno degli elementi qualificanti del nuovo Codice).

Ciò è consentito dalla previsione di trattazione delle singole domande in via d'urgenza ed in un unico procedimento, anche ricorrendo allo strumento tecnico della riunione.

Il modello del procedimento unitario è ispirato al rito dell'attuale procedura pre-fallimentare, così come regolato dall'art.15 l.fall., e rappresenta il contesto dove hanno origine tutte le iniziative di carattere giudiziale, anche tra loro contrapposte, volte a far accertare la crisi o l'insolvenza dell'impresa.

Nel caso di proposizione contestuale di più domande tra loro contrastanti (ad esempio un'istanza di liquidazione giudiziale ed una richiesta di concordato preventivo), dunque, spetta all'organo giurisdizionale competente individuare la procedura più appropriata alla soluzione della difficoltà dell'impresa.

L'unificazione processuale delle domande permette altresì di risolvere i possibili problemi di coordinamento tra le molteplici procedure esistenti ad oggi nel sistema.

Al comma 2 dell'art. 7 del Codice viene infatti affermato il principio di prevalenza, rispetto alla liquidazione giudiziale, degli strumenti di soluzione della crisi e dell'insolvenza diversi da quest'ultima, purché di non manifesta infondatezza o inammissibilità e di maggior convenienza per i creditori rispetto alla soluzione liquidatoria.

Il comma 3 dell'art. 7 del Codice, poi, attribuisce al giudice competente il potere di convertire in liquidazione giudiziale, dietro apposita domanda di parte e persistendo l'insolvenza, l'eventuale procedimento apertosi a seguito di domanda alternativa di regolazione non accolta.

Una diretta applicazione di tale principio si rinviene nell'art. 49, comma 1, il quale prevede l'apertura della liquidazione giudiziale una volta “definite le domande di accesso ad una procedura di regolazione concordata eventualmente proposte”.

Le dinamiche di attivazione degli strumenti, poc'anzi richiamate, delineano un sistema in cui la concorsualità assume connotati tendenzialmente anticipati, “a tutela crescente e a protezione progressiva della proposta procedura” (cfr. Relazione Illustrativa al CCII, pag. 118), e ciò anche alla luce della possibilità di adottare le misure cautelari e protettive previste dagli artt. 54-55.

Principio della domanda e accesso al procedimento unitario

Il procedimento unitario, come anticipato, continua ad essere imperniato sul principio della domanda; in particolare, il suo esito è condizionato dalla causa petendi della domanda giudiziale e dal petitum formulato nell'atto introduttivo dai vari soggetti dotati di legittimazione ad agire. In difetto di simili elementi costitutivi, l'atto introduttivo del procedimento va dichiarato nullo ex art. 164, comma 3, c.p.c.

Il richiamo al principio della domanda permette di risolvere quei dubbi che si erano affacciati tra i primi commentatori in ordine ai possibili profili di incostituzionalità del meccanismo di “conversione automatica” del percorso concordatario in liquidatorio, inizialmente prospettato dalla Relazione Rordorf. Alcuni interpreti, infatti, avevano notato come l'automatismo correlato al meccanismo di conversione aprisse una breccia di officiosità all'interno del procedimento, in deroga al principio della domanda ex art. 112 c.p.c. (F. De Santis, Il processo uniforme per l'accesso alle procedure concorsuali, in Il Fallimento, 2016, 1051; F. Lamanna, Osservazioni sul DDL delega della Commissione Rordorf, IlFallimentarista.it, 22.9.2016).

La prima disposizione regolatrice dell'oggetto del procedimento unitario è l'art. 40, rubricato appunto “Domanda di accesso alla procedura”, che in apertura, al primo comma, estende la disciplina del procedimento per l'accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza all'intera seconda sezione del capo IV del titolo III del Codice.

Il comma 2 dell'art. 40 del Codice specifica, poi, che la domanda di accesso ad una delle procedure si presenta al Tribunale in composizione collegiale del luogo in cui il debitore ha il proprio centro degli interessi principali (art. 27 CCII), mediante ricorso che deve indicare:

  • l'ufficio giudiziario al quale è rivolta;
  • l'oggetto della domanda (petitum);
  • le ragioni poste a fondamento della domanda (causa petendi);
  • le conclusioni;
  • la sottoscrizione del difensore munito di procura, eccettuato il caso del procedimento di liquidazione giudiziale dove il debitore può stare in giudizio personalmente, e ciò per evitare che i costi derivanti dal patrocinio incidano ulteriormente sulla sua situazione di insolvenza.

L'art. 40 prosegue poi con altre indicazioni dedicate all'articolazione della procedura nella sua fase introduttiva, in particolare per quanto attiene alla disciplina della notificazione e del regime di pubblicità previsto per la domanda proposta dal debitore.

Il procedimento, a seconda dei casi, si differenzia per i seguenti aspetti:

  1. iniziativa promossa dal debitore: entro il giorno successivo al deposito, la domanda deve essere comunicata dal cancelliere al registro delle imprese, dove viene iscritta entro il giorno seguente. La domanda, con la documentazione allegata, è poi trasmessa al pubblico ministero;
  2. iniziativa promossa dal creditore, da coloro che svolgono funzioni di vigilanza endosocietaria o dal P.M.: il ricorso e il decreto di convocazione vengono notificati, a cura dell'ufficio, all'indirizzo del servizio elettronico di recapito certificato qualificato o di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti. L'esito della comunicazione è trasmesso con modalità telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente.

Se la notifica a mezzo PEC non va a buon fine per:

  • causa IMPUTABILE al DESTINATARIO: si provvede alla notifica a cura della cancelleria mediante inserimento nell'area web dedicata presso il Tribunale (art. 359), e la notifica si ha per eseguita il terzo giorno dopo l'inserimento;
  • causa NON IMPUTABILE al DESTINATARIO: si provvede alla notifica di persona presso la sede risultante dal registro delle imprese o, per i soggetti non iscritti nel registro delle imprese, presso la residenza. In estremo subordine, mediante deposito dell'atto nella casa comunale della sede o della residenza. Per le persone fisiche non obbligate a munirsi di una PEC si procede, inoltre, dando notizia del deposito mediante affissione di un avviso presso l'abitazione o l'ufficio, e la spedizione di una raccomandata a/r.

In evidenza
In tema di pubblicazione della domanda di apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza, occorre segnalare quanto chiarito dalla Relazione Illustrativa al CCII, ovvero che “solo la domanda proposta dal debitore (è) soggetta a pubblicità , al fine di evitare che iniziative destinate a rivelarsi infondate vengano divulgate causando danni anche irreversibili alla reputazione dell'impresa” (cfr. Relazione Illustrativa al CCII, pag. 117).

Le diverse articolazioni del procedimento di apertura

La nuova procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza, pur presentandosi come una costruzione unitaria e generale, si caratterizza per gli esiti differenziati che discendono dal tipo di provvedimento richiesto al giudice, e dalla conseguente peculiare articolazione del procedimento di apertura.

In particolare, sono disciplinati in modo diverso l'accesso al concordato preventivo ed al giudizio di omologazione degli accordi di ristrutturazione, l'apertura del concordato preventivo e la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.

Il procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale

In caso di presentazione del ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale, ai sensi dell'art. 41 il Tribunale convoca le parti con decreto non oltre quarantacinque giorni dall'avvenuto deposito, con la specifica previsione che tra la data della notifica e la data dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni (comma 2), salva abbreviazione ad opera del Presidente del Tribunale o del Giudice delegato con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza (comma 3); nel qual caso, peraltro, può essere disposta la pubblicità del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza “con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità”.

Con il medesimo decreto il tribunale assegna un termine sino a sette giorni prima dell'udienza di comparizione delle parti per la presentazione di memorie, o un termine inferiore in caso dell'abbreviazione di cui al comma 3.

Il debitore, nel costituirsi, deve depositare i documenti di cui all'articolo 39, fermo restando che il giudice relatore può disporre la raccolta di informazioni da banche dati pubbliche e da pubblici registri (comma 6).

Infine, si dispone che i terzi dotati di legittimazione a proporre la domanda ed il pubblico ministero abbiano la possibilità di svolgere intervento sino a che la causa non viene rimessa al collegio per la decisione (comma 5).

Secondo la “Relazione Rordorf”, la possibilità di intervento dei terzi e del P.M. rappresenta una delle innovazioni procedimentali più significative del CCII rispetto alla Legge Fallimentare. Per la prima volta, infatti, viene introdotto nel panorama concorsuale un intervento in senso tecnico la cui ratio poggia proprio sulla volontà di concentrare in una trattazione unitaria le molteplici domande eventualmente proposte contro il medesimo debitore; per questa ragione l'intervento è possibile sino alla rimessione della domanda in decisione al collegio.

L'apertura della liquidazione giudiziale

Ai sensi dell'art. 49 del Codice, il Tribunale, definita la domanda di accesso, accertati i presupposti dell'articolo 121 del Codice (ovvero la qualifica di imprenditore commerciale, il difetto di almeno uno dei requisiti di cui all'art. 2 comma 1, lett. d) e lo stato di insolvenza) dichiara con sentenza l'apertura della liquidazione giudiziale.

All'apertura di quest'ultima è possibile pervenire anche per le seguenti ragioni, sempre su istanza di parte o del P.M.:

  • mancato rispetto del termine per il deposito della proposta di concordato preventivo;
  • mancato deposito delle spese di procedura per l'apertura del concordato preventivo;
  • mancata approvazione del concordato preventivo;
  • accertamento degli atti di frode del debitore previsti dall'art. 106 del Codice;
  • mancata omologa del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione.

Una delle più evidenti peculiarità della riforma, quindi, consiste nel fatto per cui la liquidazione giudiziale non consegue necessariamente alla sola domanda di apertura di quest'ultima, poiché vi è la possibilità che un'iniziale domanda di accesso al concordato o ad un accordo di ristrutturazione sfoci in una procedura liquidatoria.

Con la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale il Tribunale provvede altresì, tra l'altro, a:

  • nominare il Giudice Delegato
  • nominare il Curatore
  • ordinare il deposito degli atti e documenti previsti dall'art. 39, laddove non ancora eseguito
  • fissare giorno e ora dell'udienza di esame di stato passivo (entro 120 giorni dalla sentenza)
  • assegnare ai creditori ed ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del debitore, il termine perentorio di 30 giorni prima dell'udienza di stato passivo per la presentazione delle domande di insinuazione
  • autorizzare il Curatore ad accedere alle banche dati pubbliche.

La sentenza è comunicata (l'art. 49 comma 4 non menziona la notifica di cui all'art. 17, primo comma, l. fall.) e pubblicata (art. 45), e produce i suoi effetti tra le parti dalla data di pubblicazione, mentre per i terzi vale la data di iscrizione nel registro delle imprese.

Confermando la previgente disposizione della legge fallimentare (art. 15, nono comma), l'ultimo comma dell'art. 49 dispone che non si faccia luogo all'apertura della liquidazione giudiziale se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria è complessivamente inferiore ad euro trentamila.

In tal modo permane evidente l'intento selettivo del legislatore di espungere dall'area della liquidazione giudiziale la crisi di imprese di modeste dimensioni.

In evidenza
Sulla natura giuridica della soglia posta dall'art. 15, nono comma, della Legge Fallimentare, confluita all'interno dell'art. 49 del nuovo Codice, si è da ultimo pronunciata la Corte di Cassazione, la quale ha chiarito trattarsi di una condizione oggettiva di fallibilità. Quanto all'onere della prova del superamento del suddetto limite oggettivo, la Corte ha altresì osservato che, trattandosi di una condizione per la dichiarazione di fallimento e non di un fatto impeditivo, il superamento del limite non è oggetto di onere probatorio a carico del fallendo, ai sensi dell'art. 2967, secondo comma c.c.; tale condizione, piuttosto, dev'essere riscontrata d'ufficio dal Tribunale, sulla base delle risultanze complessive dell'istruttoria prefallimentare (Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2017, n. 18997).

L'accesso al concordato preventivo ed al giudizio di omologazione degli accordi di ristrutturazione

Presentata invece, da parte del debitore, una domanda di concordato preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione, il tribunale provvede a:

  1. concedere, laddove richiesti, i termini di cui all'art. 44, comma 1., lett. a), entro i quali il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all'art. 39, comma 1., oppure l'accordo di ristrutturazione dei debiti;
  2. nominare un commissario giudiziale (nel caso di domanda di concordato preventivo e, nel caso di omologazione dell'accordo, in presenza di istanze di liquidazione giudiziale), disponendo che questi riferisca immediatamente al tribunale su ogni atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda ovvero su ogni circostanza o condotta tale da pregiudicare una soluzione efficace della crisi;
  3. autorizzare il commissario giudiziale ad accedere alle banche dati pubbliche e ad acquisire dall'agenzia delle entrate l'elenco dei clienti e dei fornitori, nonché dagli istituti di credito ed altri intermediari finanziari la documentazione contabile;
  4. ordinare il deposito delle spese per la procedura (soltanto nel caso di nomina del commissario giudiziale);
  5. disporre gli obblighi informativi periodici.

La presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo, in linea di continuità rispetto alla disciplina già presente nella legge fallimentare, fa sorgere in capo al debitore il dovere di richiedere l'autorizzazione per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione, a pena di inefficacia degli atti medesimi.

Analoga disposizione non è formulata con riferimento alla domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, perché questi non comportano alcun vincolo ai poteri gestori del debitore.

L'apertura del concordato preventivo

L'apertura della procedura di concordato preventivo trova la propria regolamentazione nell'art. 47 del Codice, a tenore del quale il Tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, verifica l'ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano, ed apre la procedura di concordato con decreto mediante il quale provvede a:

  • nominare il Giudice delegato;
  • stabilire la data iniziale e finale per l'espressione del voto da parte dei creditori
  • fissare il termine per la comunicazione ai creditori del provvedimento;
  • fissare il termine perentorio entro il quale il debitore deve depositare almeno il 50% delle spese che si presumono necessarie per l'intera procedura (o almeno la minor somma non inferiore al 20% di tali spese determinate dal tribunale).

In difetto delle condizioni di ammissibilità e fattibilità, invece, sentiti il debitore, i creditori che hanno proposto domanda di apertura della liquidazione giudiziale ed il P.M., con decreto motivato dichiara inammissibile la proposta e, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, dichiara con sentenza l'apertura della liquidazione giudiziale.

L'omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione

A tenore dell'art. 48 del Codice, se il concordato è stato approvato dai creditori, il Tribunale fissa l'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale e, verificata la regolarità della procedura, l'esito della votazione, l'ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano, tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale (espressi all'interno di un parere depositato almeno cinque giorni prima dell'udienza), assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio e provvede con sentenza sulla domanda di omologazione del concordato.

I creditori dissenzienti e gli interessati devono depositare la propria opposizione mediante memoria, almeno dieci giorni prima dell'udienza.

Quando viene depositata la domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, i creditori ed ogni altro interessato possono proporre opposizione entro trenta giorni dall'iscrizione dell'accordo nel registro delle imprese. Il giudice decide sulle opposizioni in camera di consiglio e provvede all'omologazione con sentenza.

Se il tribunale non omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione, dichiara con sentenza, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, l'apertura della liquidazione giudiziale.

Rinuncia alla domanda

Viene esplicitamente previsto all'art. 43 del Codice che la rinuncia alla domanda, di qualunque natura essa sia, comporta l'estinzione del procedimento senza necessità di accettazione, salva la legittimazione del P.M. intervenuto a chiedere la liquidazione giudiziale allo scopo di evitare un utilizzo strumentale del potere di rinuncia.

Il tribunale pronuncia l'estinzione con decreto e può condannare alla rifusione delle spese la parte che vi ha dato causa.

Il provvedimento viene comunicato al Pubblico Ministero, onde consentirgli l'esercizio del suo potere d'iniziativa, ed è soggetto all'iscrizione nel registro delle imprese ogniqualvolta lo era stata originariamente anche la domanda introduttiva.

In evidenza

La regolamentazione della rinuncia alla domanda di accesso e dei suoi effetti rappresenta una delle più rilevanti novità della riforma.

Il R.D.16 marzo 1942, n. 267 (c.d. “legge fallimentare”) non contiene infatti alcun riferimento normativo alla rinuncia all'istanza di fallimento. Ciò nonostante, nella prassi si è sempre ritenuto possibile il deposito, da parte del creditore, di un atto di c.d. “desistenza”, sul quale gli interpreti si sono a lungo interrogati: in particolare, ci si è domandati se la rinuncia alla domanda necessiti di accettazione del debitore, e se (ed in quale modo) il tribunale debba provvedere all'allocazione delle spese di giudizio (ex multis, ed in senso difforme tra loro, si confrontino Cass. civ.11.08.2010, n. 18620; Cass. civ. 14.10.2009, n. 21834; Cass. civ. 26.02.2009, n. 4632). Più di recente, la Suprema Corte si è pronunciata sulla natura e sugli effetti della desistenza dell'unico creditore istante, distinguendo per la prima volta tra rinuncia alla domanda “da estinzione del debito” e mera rinuncia “non titolata”, ed attribuendo solo alla prima l'idoneità, in sede di giudizio di reclamo,

Il reclamo ed il regime delle impugnazioni

Gli articoli 50 e 51 del Codice prevedono la possibilità di proporre reclamo avverso il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale, nonché contro la sentenza di apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

Quanto al primo tipo di procedimento, occorre segnalare chese la corte, pronunciandosi in camera di consiglio, decide di accogliere il reclamo, dichiara essa stessa aperta la liquidazione giudiziale (art. 50, comma 5.) e rimette gli atti al tribunale per l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 49, comma 3 (nomina degli organi, fissazione dell'udienza di verifica e così via). Si tratta di un profilo di evidente novità rispetto alla disciplina attuale, a tenore della quale la corte d'appello, in caso di accoglimento del reclamo, rimette le parti al tribunale per la dichiarazione di fallimento.

Contro la sentenza che pronuncia sull'omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, o che dichiara aperta la procedura di liquidazione giudiziale, qualunque interessato può altresì proporre reclamo presso la corte di appello nel termine di trenta giorni, senza che ciò sospenda l'efficacia esecutiva della sentenza (così riproducendo e confermando, in sostanza, l'art. 18 l.fall.).

Anche all'interno di tale previsione sono contenute disposizioni innovative:

  • l'art. 51, comma 1 riconosce a qualunque interessato la possibilità di proporre reclamo avverso la sentenza che dichiara aperta la procedura di liquidazione giudiziale;
  • l'art. 51, comma 15 prevede che il giudice possa dichiarare se la parte soccombente ha agito o resistito con mala fede o colpa grave, revocando in tal caso con efficacia retroattiva l'eventuale provvedimento di ammissione della stessa al patrocinio a spese dello Stato.

In caso di società o enti, può altresì accertare se sussiste la mala fede del legale rappresentante che ha conferito la procura e, in caso positivo, condannarlo in solido con la società o l'ente al pagamento delle spese dell'intero giudizio nonché di una somma pari al doppio del contributo unificato ex art. 9, DPR 30.5.2002, n. 115.

Si tratta di una previsione finalizzata a scoraggiare impugnazioni pretestuose ed a responsabilizzare gli organi di gestione delle società di capitali insolventi che, in difetto di una simile previsione, non essendo parte processuale, non risponderebbero neppure indirettamente dei debiti sociali maturati in relazione all'attività giudiziale svolta.

Nel corso del giudizio di impugnazione le parti possono altresì chiedere di sospendere la liquidazione dell'attivo o la formazione dello stato passivo, nonché la sospensione dei pagamenti. Tali poteri rispondono all'esigenza di consentire alle parti del giudizio di reclamo l'esercizio di una tutela inibitoria sugli effetti della sentenza reclamata.

Le misure cautelari e protettive

La domanda per l'apertura della liquidazione giudiziale e del concordato preventivo, o per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione, può essere accompagnata dalla richiesta di misure cautelari, sempre su espressa richiesta della parte (art. 54 comma 1).

Le misure cautelari sono analoghe a quelle già previste dall'art. 15 l. fall., che, come noto, riconosce al tribunale il potere di adottare provvedimenti cautelari e conservativi, di durata limitata, da confermare e revocare con la sentenza dichiarativa di fallimento.

La formula utilizzata nel nuovo codice è “assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza”, ovvero scongiurare che, nelle more del procedimento, il debitore possa compiere atti di disposizione pregiudizievoli per i creditori, oppure tentare di occultare o diminuire il patrimonio.

Differenti dalle misure cautelari sono, invece, le misure protettive, indicate nell'art. 54, comma 2. Queste ultime presuppongono una specifica istanza del debitore e non vengono accordate dal tribunale (il quale si limita a fissarne la durata all'esito dell'udienza prevista dall'art. 54, comma 5.), bensì sono automaticamente connesse alla domanda di soluzione concordata presentata e decorrono dalla data di pubblicazione della stessa. Esse impediscono ai creditori per titolo o causa anteriore, a pena di nullità, di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore; al loro interno, peraltro, è possibile collocare anche lo scioglimento dei contratti pendenti o la sospensione della loro esecuzione.

In conclusione

Il modello processuale predisposto dal legislatore della riforma potrà essere valutato nei suoi risvolti pratici soltanto all'esito di un primo periodo di sua normale operatività. Solo attraverso la concreta applicazione del procedimento uniforme, infatti, sarà possibile valutare l'effettiva idoneità di tale strumento al raggiungimento degli obiettivi enunciati nella legge-delega e nella Relazione Illustrativa, e si potranno eventualmente scongiurare i dubbi ed i timori manifestati da alcuni interpreti in merito alle conseguenze pratiche derivanti dall'applicazione del procedimento uniforme. Tra questi, in particolare, il rischio che un modello processuale unitario per l'introduzione della domanda in tutte le procedure concorsuali sia potenzialmente suscettibile di dare vita “ad una formula complessa e poco chiara, determinando eccessivo contenzioso e maggiore durata dei processi rispetto a quella che potrebbe essere una regolamentazione processuale meno invasiva” (G. Lo Cascio, Legge fallimentare attuale, legge delega di riforma e decreti attuativi in fieri, cit.).

Riferimenti

Normativi

Relazione illustrativa al Codice della Crisi di Impresa e dell'Insolvenza, 10 gennaio 2019;

D. Lgs. 12 gennaio 2019 n.14Codice della Crisi di Impresa e dell'Insolvenza”;

R.D. 16 marzo 1942, n. 267;

Giurisprudenza

Cass. civ., sez. I, 11 agosto 2010, n. 18620 ;

Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 2009, n. 21834 ;

Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 2009, n. 4632 ;

Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2017, n. 18997 ;

Sommario