In presenza della disciplina generale oggetto dell'art. 83, d.l. n. 18/2020, il bilanciamento tra l'esigenza di garantire il diritto alla celebrazione dei procedimenti nei confronti di soggetti la cui situazione sia già pesantemente segnata dalla pendenza del procedimento e quella di assicurare il distanziamento sociale viene rimesso alla scelta espressa della persona soggetta a procedimento.
Così la Suprema Corte con la sentenza n. 27213/20, depositata il 30 settembre.
Il Tribunale di L'Aquila respingeva l'appello proposto dall'odierno ricorrente contro l'ordinanza con cui il GIP aveva rigettato la sua richiesta di revoca della pronuncia con cui gli era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere per la sopravvenuta mancanza delle esigenze cautelari.
Egli propone ricorso per cassazione, denunciando vizi di motivazione e vizio di violazione di legge relativamente alla ritenuta esistenza delle esigenze cautelari.
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile poiché proposto oltre il termine di impugnazione di 10 giorni previsto dall'art. 311 c.p.p., quale termine entro cui proporre i ricorsi per cassazione contro le ordinanze con cui il Tribunale del riesame abbia deciso sulle istanze cautelari.
Nonostante ciò, i Giudici di legittimità ritengono di dover affrontare un aspetto problematico insito nel ricorso in esame, consistente nella possibile operatività della sospensione dei termini processuali ex art. 1, d.l. n. 11/2020 e art. 83, comma 2, d.l. n. 18/2020, chiedendosi, nello specifico, se tale sospensione ex lege si applichi o meno anche all'impugnazione delle ordinanze cautelari emesse all'esito di udienza camerale che si è tenuta su richiesta della parte (imputato, indagato o difensore che sia).
A tal proposito, la Corte rileva che la lett. b) del comma 3 del suddetto art. 83 considera una serie di procedimenti la cui trattazione è rimessa alla richiesta esplicita della parte, la quale non è sindacabile dal giudice, tra cui rientra il procedimento a carico di soggetti a cui sia stata applicata una misura cautelare, come il caso concreto. Dunque, l'interrogativo è se in tale contesto debba applicarsi la disciplina propria del segmento processuale di interesse (che l'interessato ha sollecitato di propria iniziativa) ovvero se alla fase di impugnazione del provvedimento emesso all'esito dell'udienza si debba applicare la sospensione ex lege dei termini processuali.
Gli Ermellini rispondono a tale interrogativo evidenziando che in presenza della richiesta della parte della trattazione del procedimento non opera la sospensione ex lege alla quale la parte ha rinunciato per sua espressa iniziativa.
La Corte di Cassazione approfondisce l'argomento affermando la sussistenza di una deroga al regime di sospensione ex lege dei termini del processo funzionale all'individuazione di un equilibrio tra le due esigenze di garantire, da una parte, il diritto alla celebrazione del processo nei confronti di soggetti la cui posizione è pesantemente segnata dalla pendenza del procedimento e, dall'altra, l'esigenza di assicurare il distanziamento sociale, concludendo per la rimessione della scelta alla persona soggetta a procedimento.
Alla luce di quanto esposto, la Suprema Corte afferma che, in base alla disciplina oggetto del citato art. 83, «nei procedimenti in cui sono state applicate misure cautelari in assenza di una chiara e manifesta intenzione di procedere da parte dei detenuti o imputati o loro difensori, se l'attività da compiere consiste nella fissazione di un'udienza, questa deve essere posticipata al periodo successivo alla sospensione ex lege e che, viceversa, per la celebrazione dell'udienza è necessaria la formulazione di un'espressa richiesta di procedere», aggiungendo che «la richiesta della parte, che ha per chiara scelta attivato il meccanismo di decisione della sua istanza, produce l'effetto della cessazione della causa di sospensione del procedimento ed impone di ritenere che tale effetto non possa, nel segmento processuale di interesse, operare in modo selettivo».
Consegue, comunque, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, perché tardivo.
Fonte: Diritto e Giustizia