Le notificazioni in proprio a mezzo PEC: lo stato dell'arte della normativa e giurisprudenza di legittimità

07 Ottobre 2020

La materia delle notificazioni per via telematica è spesso al centro dell'attenzione sia da parte del legislatore sia da parte della giurisprudenza di legittimità.Il primo è recentemente intervenuto modificando radicalmente la disciplina della notificazione verso le pubbliche amministrazioni, la seconda ha avuto da ultimo molte occasioni di occuparsi di notificazioni a mezzo PEC effettuate da parte degli avvocati, emettendo pronunce che spesso hanno dato luogo a dibattiti anche accesi e legati a prese di posizione a volte non particolarmente ortodosse.
Il quadro normativo

Il quadro normativo interessato dalle pronunce che verranno prese in analisi nel presente focus è invero piuttosto ampio e concerne innanzitutto l'art. 16 ter d.l. 179 del 2012, ove si prevede che ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi registri quali l'INI-PEC, il ReGIndE, il Registro delle Imprese e il Registro delle Pubbliche Amministrazioni. L'applicazione di tale norma ha creato difficoltà in tema di individuazione dei registri dai quali estrarre gli indirizzi di posta elettronica certificata utilizzabili per la notifica sia per quanto concerne le notificazioni verso le parti private sia per quanto concerne le notificazioni verso le pubbliche amministrazioni.

La Suprema Corte ha poi avuto modo di occuparsi della problematica relativa alla notifica effettuata nei confronti di un soggetto possessore di casella PEC satura ed in tal caso si ritenuto di richiamare un quadro normativo che ha preso in considerazione l'art. 149 bis, terzo comma, c.p.c., l'art. 3-bis della legge n. 53 del 1994 e l'art. 16, comma sesto, del d.l. 179 del 2012 (dettato però in materia di comunicazioni di cancelleria).

Altra tematica di notevole interesse, interessata da recentissima pronuncia, è relativa ad un ulteriore aspetto patologico del procedimento notificatorio e cioè l'allegazione di un atto dal contenuto illeggibile. In tale ultimo caso, la norma di riferimento, è stata individuata nell'art. 1335 c.c. ma, come si avrà modo di approfondire, sono stati anche richiamati principi extracodicistici legati alla collaborazione tra le parti processuali.

Dal punto di vista normativo occorre invece considerare il recente intervento operato dal decreto legge n. 76 del 2020 attraverso il quale si sono profondamente innovate le procedure di notificazione nei confronti della pubblica amministrazione.

L'obiettivo del legislatore è stato quello di superare le difficoltà poste dalla scelta di rendere utilizzabile per la notifica telematica il solo registro delle pubbliche amministrazioni, istituito ai sensi dell'art. 16, comma 12, d.l. 179 del 2012 e purtroppo, ad oggi scarsamente popolato.

Per rispondere a tale difficoltà di utilizzo, l'art. 28 del d.l. 76/2020 è intervenuto su due versanti:

  • si è innanzitutto prevista la possibilità, per le amministrazioni pubbliche, di comunicare gli indirizzi di posta elettronica certificata di propri organi o articolazioni, anche territoriali, presso cui eseguire le comunicazioni o notificazioni per via telematica nel caso in cui sia stabilito presso questi l'obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale. Inoltre si è data facoltà, per il caso di possibile costituzione in giudizio tramite propri dipendenti, di comunicare ulteriori indirizzi di posta elettronica certificata, riportati in una speciale sezione dello stesso elenco. Tutto questo, evidentemente, per superare le resistenze di quelle amministrazioni che non comunicavano i propri indirizzi PEC proprio asserendo che non avrebbero potuto gestire il flusso di contenzioso mediante l'indicazione di un solo domicilio digitale;
  • d'altro canto, ove una determinata pubblica amministrazione non effettui alcuna comunicazione per l'inserimento dell'indirizzo PEC all'interno dell'elenco di cui all'articolo 16, comma 12, si prevede un meccanismo per sopperire all'inadempimento: la notificazione alle pubbliche amministrazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale può essere validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell'elenco previsto dall'art. 6-ter d. lgs. 82 del 2005 (ovvero l'Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi); nel caso, invero frequente, in cui nel predetto elenco risultino indicati, per la stessa amministrazione pubblica, più domicili digitali, la notificazione dovrà effettuata presso l'indirizzo di posta elettronica certificata primario indicato. Nel caso in cui sussista l'obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie presso organi o articolazioni, anche territoriali, delle pubbliche amministrazioni, la notificazione potrà essere eseguita all'indirizzo di posta elettronica certificata espressamente indicato nell'elenco di cui all'art. 6-ter d. lgs. n. 82 del 2005 per detti organi o articolazioni.

Con tale intervento il legislatore mira a rendere effettiva la possibilità di notificare atti giudiziari verso tutte le pubbliche amministrazioni.

Unica accortezza che l'avvocato dovrà avere è quella di verificare in primo luogo se l'indirizzo dell'amministrazione destinataria della notifica sia presente sul registro di cui all'art. 16, comma 12, d.l. 179 del 2012; fatta tale verifica con esito infruttuoso, si potrà effettuare la ricerca sull'indice di cui all'art. 6-ter d. lgs. n. 82 del 2005. Rispettato però tale passaggio procedimentale vi sarà la pressoché totale certezza di riuscire ad effettuare la notificazione per via telematica.

Le pronunce di legittimità relative ai registri utilizzabili per la notificazione

In tema di pubblici registri utilizzabili per la notificazione a mezzo PEC, l'anno 2019 è stato interessato da pronunce che hanno destato non poche preoccupazioni nel mondo degli operatori del diritto.
Da ultimo con l'ordinanza n. 24160, resa dalla sezione sesta della Corte di Cassazione il 27 settembre 2019, si è infatti affermato che per una valida notifica tramite PEC si dovrebbe estrarre l'indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INI-PEC.

Lo smarrimento di fronte ad una pronuncia del genere è stato grande, soprattutto perché tale linea interpretativa, chiaramente contrasto con il dettato normativo che, lo si ricorda, all'art. 16 ter del d.l. 179 del 2012 qualifica come pubblici registri utilizzabili per la notifica telematica sia il ReGIndE che l'INI-PEC, ribadiva un principio già espresso con la sentenza n. 3709 del 2019 (resa dalla sezione terza) e che era stata aspramente criticata proprio per il contrasto con la normativa citata.

La Corte di Cassazione ha comunque saputo cogliere la pericolosità di tali precedenti giurisprudenziali e ha prontamente emesso ordinanza di correzione di errore materiale (n. 29749/2019) con la quale si è sancito che “l'affermazione generica della inattendibilità del registro INI-PEC, quale obiter dictum apparentemente appoggiato al precedente, isolato, n. 3709 del 2019, non è suscettibile di mettere in discussione il principio enunciato dalle S.U. n. 23620/2018 (ma, nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui “in materia di notificazioni al difensore, in seguito all'introduzione del “domicilio digitale”, previsto dall'art. 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l'indirizzo PEC risultante dall'albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all'art. 6-bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest'ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest'ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC sia nel ReGindE, di cui al d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia”.

Tale intervento, effettuato d'ufficio, è stato particolarmente opportuno anche e soprattutto per lo strumento giuridico utilizzato, e cioè la correzione di errore materiale. Si è così reso evidente che le affermazioni tese ad escludere l'INI-PEC dal novero dei pubblici registri utilizzabili per la notifica telematica sono, appunto, errate e anche in contrasto con la giurisprudenza delle Sezioni Unite.

L'auspicio è che la tematica abbia ora raggiunto una stabilità giurisprudenziale, oltreché normativa, e non venga più rimessa in discussione.

La notificazione a casella PEC satura

Un altro fronte di dibattito nella materia in analisi è stato però aperto dall'ordinanza n. 3164 del 10 ottobre 2019 – 11 febbraio 2020 della Suprema Corte con la quale si è affermato il principio che, nell'ambito delle notificazioni telematiche in proprio dell'avvocato, ai sensi dell'art. 3-bis,legge 53/1994, l'avviso di mancata consegna della PEC inviata dal notificante al soggetto notificato implica il perfezionamento della notificazione stessa (e per tale via, si noti, è stato ritenuto ritualmente notificato il controricorso, successivamente depositato, munito della copia dell'avviso di mancata consegna per “casella piena“).

Per corroborare tale ragionamento la Corte di Cassazione ha richiamato:

  • l'art. 16, comma sesto, del d.l. 179 del 2012, dettato in materia di comunicazioni di cancelleria, ai sensi del “le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario”. Leggendo la norma è però agevole notare come si codifichi espressamente una conseguenza legata ad un comportamento contra legem del possessore di una casella PEC (ovvero il deposito in cancelleria di una comunicazione) e come si possa agevolmente giungere alla conclusione che la casella satura rientri nell'ambito di applicazione della norma, essendo in effetti una fattispecie di impossibilità di recapito imputabile al destinatario;
  • l'art. 149 bis, terzo comma, c.p.c. ai sensi del quale “la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”;
  • l'art. 20, comma quinto del d.m. 44 del 2011 (recante le regole tecniche sul processo telematico) ai sensi del quale “il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione”.

La ricostruzione normativa offerta dalla Suprema Corte non pare però idonea a sorreggere l'assunto di cui in motivazione, posto che:

  • a prescindere dal fatto che l'art. 149-bis, terzo comma, c.p.c. non ha tutt'ora neppure trovato applicazione pratica nel nostro ordinamento, non si può equiparare la messa a disposizione di un documento informatico in una casella PEC con l'evento che si genera in caso di casella PEC satura e cioè un avviso di mancata consegna del messaggio (e degli eventuali allegati) che viene recapitato al mittente.

In tal caso infatti non si verifica la messa a disposizione del documento e neppure si genera la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall'art. 3-bis,legge 53/1994, bensì il suo esatto contrario, e cioè, come detto, l'avviso di mancata consegna;

  • l'art. 20 del d.m. 44/2011 detta una norma di natura comportamentale priva di sanzione;
  • non è neppure possibile equiparare la situazione descritta al rifiuto di ricevere la copia notificata previsto dall'art. 138 c.p.c., posto che tale norma presuppone un comportamento volontario che nel caso di specie potrebbe mancare (il soggetto destinatario potrebbe infatti ricevere allegati di grandi dimensioni senza avere il tempo materiale di svuotare la propria casella PEC).

Pare così evidente che il tentativo ermeneutico non si sorretto da idonea base normativa e soprattutto non si possa fare applicazione dell'art. 16, comma sesto, d.l. 179 del 2012 che deve essere considerato norma speciale non suscettibile di applicazione al di fuori dei casi espressamente previsti.

La notificazione di allegato illeggibile

Ulteriore intervento della Corte di Cassazione in tema di notificazioni a mezzo PEC riguarda il caso in cui una parte abbia provveduto alla notificazione di un allegato che non risulti leggibile.

A fronte delle contestazioni della controparte, che riteneva la notifica (nel caso di specie, della sentenza resa dalla Corte d'Appello) non effettuata validamente e dunque non in grado di far decorrere il termine breve per l'impugnazione, la Suprema Corte ha ribadito che “nel momento in cui il sistema di recapito elettronico genera la ricevuta di accettazione della PEC e di consegna della stessa nella casella del destinatario, si determina una presunzione di conoscenza della comunicazione da parte del destinatario analoga a quella prevista, in tema di dichiarazioni negoziali, dall'articolo 1335 c.c.” (Cass. n. 4624/20)

Sulla base di tale premessa si è quindi affermato essere onere del “destinatario, in un'ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all'utilizzo dello strumento telematico.

Sarebbe stato dunque dovere del difensore del ricorrente informare il mittente della difficoltà nella presa visione degli allegati trasmessi via PEC, onde fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente.

Va detto che tale pronuncia non è affatto isolata, visto che è stata recentissimamente condivisa in fattispecie riguardante la notificazione di un ricorso per Cassazione (sent. n. 20884 del 30 settembre 2020)

La Corte di Cassazione va dunque in maniera convinta oltre il mero dato della leggibilità/illeggibilità di un allegato ad un messaggio PEC e, muovendo dalla presunzione posta dall'art. 1335 c.c., giunge a codificare, come peraltro fatto in altri ambiti del diritto processuale, un onere di collaborazione attiva a carico di una parte processuale. In sostanza, colui che si accorge dell'errore effettuato dalla controparte, è tenuto ad avvertirla affinché questa possa porre rimedio in modo da far sì che il processo possa proseguire senza intoppi.

Si può così immaginare che la sanzione della nullità (o peggio, dell'inesistenza) della notificazione contenente un allegato illeggibile sarebbe scattata solo nel caso in cui la parte, messa al corrente dell'errore effettuato, non si fosse attivata per porre rimedio allo stesso.

La mancata attivazione di tale comportamento, secondo la Suprema Corte, va dunque a detrimento della parte onerata, che non può pertanto giovarsi degli eventuali errori compiuti dalla controparte.

In conclusione

Il panorama giurisprudenziale in materia di notificazioni a mezzo PEC si presenta ormai ricchissimo, soprattutto in sede di legittimità, e in continua evoluzione.

In alcuni casi, come evidenziato nel presente focus, l'intervento della Corte di Cassazione è stato peraltro fonte di smarrimento per gli operatori del diritto, essendosi giunti purtroppo all'affermazione di principi (o di obiter dicta comunque in grado di condizionare il mondo giuridico) in radicale contrasto con la normativa; è il caso delle pronunce riguardanti i pubblici registri utilizzabili per la notifica telematica. La speranza è peraltro che gli ultimi interventi della giurisprudenza di legittimità (anche con lo strumento eccezionale della correzione di errore materiale) abbiano sopito i dubbi in materia e si sia dunque raggiunta una stabilità applicativa che non conduca più a dispute sul punto.

Permangono peraltro alcuni casi in cui si notano delle fughe interpretative che non appaiono sorrette da un idoneo costrutto normativo; è il caso, esaminato, delle pronunce che addossano responsabilità non previste dalla legge ai soggetti con casella PEC piena; sul punto la dottrina appare invero unanime nel giudicare non corretta la posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità.

Emerge dunque un panorama che evidenzia forti incertezze interpretative, spesso in contrasto con la normativa primaria.

Guida all'approfondimento

Per un approfondimento sullo stato complessivo della giurisprudenza in tema di notificazioni telematiche (e non solo) è possibile consultare GARGANO – SILENI, Il Codice del PCT Commentato, Giuffrè Francis Lefebvre Editore, oppure, sempre della stessa casa editrice, RUFFINI (a cura di), Il Processo telematico nel sistema del diritto processuale civile.

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