Processo penale: l'avvocato può usare la PEC per notificare un atto ad un collega?
Luigi Giordano
19 Ottobre 2020
Nel processo penale l'avvocato può utilizzare la posta elettronica certificata per notificare un atto ad un collega?
La risposta a questa domanda pare agevole perché dovrebbe derivare dalla mera lettura della disposizione che ha introdotto l'uso della PEC nel processo penale. L'impiego nel processo penale della PEC, ai sensi dell'art. 16, comma 4, del d. l. n. 179 del 2012, è esplicitamente previsto solo per la notificazione da parte degli uffici di atti indirizzati a “persona diversa dall'imputato”.
Non è stato disciplinato, invece, il ricorso alla PEC per la notificazione di atti richiesta dalle parti private.
Nella giurisprudenza di legittimità, tuttavia, si sta formando un indirizzo incline ad estendere l'area operativa della PEC.
Si afferma infatti che il difensore può effettuare comunicazioni e notificazioni alle altre parti mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata (Cass. pen., Sez. V, 3 luglio 2020, n. 23127, dep. 31 luglio 2020; Cass. pen., sez. 2, n. 26506 del 22/07/2020, dep. il 22/09/2020).
La fattispecie è relativa all'adempimento previsto dall'art. 299, comma 3, cod. proc. pen.: l'istanza volta alla revoca o alla modifica di una misura cautelare personale applicata in un procedimento avente ad oggetto un delitto commesso con violenza contro la persona, a pena di inammissibilità ed a cura della parte richiedente, deve essere notificata al difensore della persona offesa (ovvero, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest'ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio).
Il fondamento normativo di tale indirizzo è stato ravvisato nel combinato disposto di due norme:
l'art. 152 cod. proc. pen. secondo, cui “salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni richieste dalle parti private possono essere sostituite dall'invio di copia dell'atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”;
l'art. 48, comma 2, d.lgs. n. 82 del 2005 e successive mod. C.A.D., il quale prevede che "la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta".
A sostegno dell'indirizzo illustrato si osserva:
che non sussiste nel sistema normativo una disposizione che, in attuazione della clausola di salvezza contenuta nell'art. 48 CAD, escluda l'equiparazione alla comunicazione a mezzo raccomandata di quella tramite posta elettronica certificata. Tale espressa esclusione non può essere ravvisata nello stesso art. 152 cod. proc. pen. che prevede che le notifiche richieste dalle parti possano essere sostituite dall'invio con lettera raccomandata da parte del difensore, senza impedire l'uso della PEC, né nell'art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, che si limita a disciplinare l'uso della posta elettronica da parte della cancelleria, per le notifiche a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, cod. proc. pen., ma non preclude un utilizzo diverso della PEC;
che non esistonocontroindicazioni di natura sistematica all'uso della PEC per le comunicazioni tra parti private, come quelle che, al contrario, emergono con riferimento alla problematica della proposizione delle impugnazioni per la quale opera il principio di tassatività dei modi di presentazione (cfr. tra le altre, Cass. pen., Sez. 4, n. 10682 del 19/12/2019, dep. 2020; Cass. pen., Sez. 4, n. 52092 del 27/11/2019).
che la mancata attuazione del processo penale telematico – in particolare del fascicolo “virtuale” luogo di custodia degli atti inviate in via informatica - non rappresenta un limite all'impiego della PEC per le comunicazioni in esame, che vanno inviate alla altra parte e non all'ufficio;
che l'utilizzo della posta elettronica certificata consente la semplificazione e lo snellimento burocratico delle procedure giurisdizionali per mezzo di uno strumento idoneo a portare un atto a conoscenza del destinatario e ad avere certezza sulla sua ricezione, senza sacrifici per altri significativi interessi contrastanti.
Deve rilevarsi, peraltro, che l'estensione dell'art. 48 CAD al processo penale è criticata da altro indirizzo giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. I, 17/07/2020, n. 21981) l'art. 4 del d.l. n. 193 del 2009, recante “Misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia” prevede che, nel processo penale, il CAD si applica nei limiti stabiliti da un regolamento ministeriale attuativo che non prevede tale ipotesi.
L'uso dello strumento telematico da parte dei difensori nel processo penale, più precisamente, può avvenire solo nei limiti di quanto previsto dal decreto del Ministro della giustizia del 21 febbraio 2011, n. 44, recante il "Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, commi 1 e 2, convertito nella L. 22 febbraio 2010, n. 24" e, in particolare, soltanto a seguito del decreto dirigenziale previsto dall'art. 35 di tale regolamento. Non è prevista, pertanto, nel processo penale una generale equiparazione, in forza dell'art. 48 CAD, tra la notificazione a mezzo lettera raccomandata e la PEC.
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