Tre decisioni “monito” in tema di inammissibilità delle impugnazioni

19 Ottobre 2020

A prescindere da ogni considerazione e riferimento a un suo possibile uso strumentale, indubbiamente la presenza d'una causa di inammissibilità rappresenta un formidabile argine all'espletamento dei diversi poteri e facoltà attribuiti alle parti. Va, altresì, evidenziato come nel tempo le situazioni suscettibili di condurre a questa dichiarazione si siano incrementate e come i suoi effetti siano stati progressivamente estesi. Il profilo maggiormente problematico in materia è quello che riguarda – sotto vari profili – i motivi di impugnazione. Il dato si ricollega alla visione e al ruolo che si intende attribuire alle impugnazioni.
Impugnazioni e inammissibilità

A prescindere da ogni considerazione e riferimento a un suo possibile uso strumentale, indubbiamente la presenza d'una causa di inammissibilità rappresenta un formidabile argine all'espletamento dei diversi poteri e facoltà attribuiti alle parti.

Va, altresì, evidenziato come nel tempo le situazioni suscettibili di condurre a questa dichiarazione si siano incrementate e come i suoi effetti siano stati progressivamente estesi.

Il profilo maggiormente problematico in materia è quello che riguarda – sotto vari profili – i motivi di impugnazione.

Il dato si ricollega alla visione e al ruolo che si intende attribuire alle impugnazioni.

Il punto di partenza del sistema è costituito dalla considerazione che la decisione assunta dal giudice sia giusta e legale. L'ordinamento non può ritenere che vengano pronunciate decisioni errate o illegali. Tuttavia, non può escluderlo. A tal fine rimette alle parti la possibilità di sottoporre il controllo di quella decisione a un altro giudice. Questa scelta, considerata la premessa e i contrapposti diritti che la sentenza pronunciata ha determinato (i cui effetti restano sospesi per l'iniziativa delle parti) impone condizioni formali, temporali e contenutistiche.

L'assunto è confermato dal fatto che ove nessuno si attivi quella sentenza diventa definitiva, proprio perché ritenuta in premessa giusta e legale.

A tale fine è previsto un sistema progressivo di strumenti di controllo, diversificati tra loro, e calibrati sui possibili vizi della decisione. Un percorso a cerchi concentrici ovvero di segmenti progressivamente integrati ispirati da una logica selettiva di controlli.

In questo quadro trova collocazione sia l'effetto devolutivo (seppur temperato da poteri d'ufficio), sia il divieto della reformatio in peius, dovendo prevalere il diritto di difesa, rispetto al pregiudizio possibile per la libertà (dell'imputato).

Resta evidente che a seconda del modello processuale, modello inquisitorio ovvero accusatorio (con tutti i limiti di queste etichette e delle loro numerose variabili) assunto a parametro e in relazione alla sua evoluzione, questi dati subiscono gli opportuni adeguamenti.

Muovendo invece dall'idea che la sentenza sia errata, si configurano le impugnazioni, per questa ragione, secondo la logica tesa alla sollecitazione di un nuovo giudizio, in relazione al quale i vincoli di ammissione debbono essere molto limitati, favorendo una sorta di “favor impugnationis”.

In tal modo, a parte il rischio connesso a un ampio effetto devolutivo, non può escludersi un rimbalzo in punto di esclusione del divieto della reformatio in peius. Non casualmente, nel codice Rocco i contrasti riguardarono proprio questi profili (v. ancora l'art. 597 c.p.p., in relazione all'appello del P.M.; e l'appello incidentale dell'accusa).

Se una visione di questo tipo, apparentemente legata a un approccio garantista, risulta invece piuttosto ancorata a modelli inquisitori, in quanto connessa ad ampi poteri dell'accusa e a quelli altrettanto ampi del giudice, la visione accusatoria porta in una diversa direzione, nella quale non sono estranei in fase di impugnazione un'esigenza di specificità, pertinenza, concretezza dell'attività delle parti.

Il problema, infatti, non è tanto quello di inserire elementi di un giusto processo nel sistema dei gravami, peraltro a struttura risalente, quanto piuttosto quello di avere un sistema di gravami adeguato a una visione garantita, con i limiti rappresentati nel nostro sistema da una fase delle indagini e del giudizio di primo grado connotata dalle stigmate del modello inquisitorio.

Sotto questo profilo non può non segnalarsi, a seguito del d.lgs. n. 11 del 2018 attuativo della delega di cui alla l. n. 103 del 2017 una visione più mirata del ruolo del pubblico ministero [come emerge dalle modifiche introdotte in punto di legittimazione ad appellare, di esclusione dell'appello incidentale, di limiti alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (frutto europeo), di limiti alla ricorribilità in caso di doppio conforme, di reintroduzione del concordato (solo per citare gli aspetti più rilevanti].

Inammissibilità e specificità dei motivi

Proprio con riferimento alla specificità dei motivi e conseguentemente all'inammissibilità dell'impugnazione (con specifico riferimento all'appello) sono intervenute le Sezioni Unite penali e le Sezioni Unite civili e alcune significative modifiche normative.

Più in particolare, con Cass. pen., Sez. unite Galtelli (27 ottobre 2016, RV 268822), il Supremo Collegio riunito ha affermato che distinta la “genericità estrinseca”, che si risolve nella mancanza di correlazione dei motivi con le ragioni di fatto o di diritto su cui si fonda la sentenza impugnata, dalla “genericità intrinseca”, per cui risultano sempre inammissibili gli appelli fondati su considerazioni generiche o astratte o, comunque, non pertinenti al caso concreto ovvero su doglianze generiche, l'autorevole Collegio – dopo aver sostenuto la sostanziale omogeneità, quanto alla valutazione della “specificità estrinseca” fra i motivi di appello e di ricorso per cassazione – ha affermato come il criterio si sostanzi nell'esplicita e argomentata enunciazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.

La specificità dei motivi, in altri termini, “importa un onere a carico dell'impugnante che si traduce in un “processo critico” del provvedimento atto a “dissezionarlo” nelle sue componenti logiche: essa si risolve nel nesso che deve necessariamente intercorrere tra la doglianza di cui si reclama il controllo e la sentenza pregressa la cui assenza rende l'impugnazione un simulacro di gravame, capace di rimuovere il reclamo dalla realtà giuridica, fin dal momento della sua origine, impedendo di rilevare o al giudice di dichiarare, ad esempio, l'estinzione del reato per prescrizione o, più in generale, le eventuali cause di non punibilità. Né, peraltro, essa potrà essere sanata dalla produzione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, c.p.p., che richiedono l'ammissibilità di quelli originariamente presentati”.

Una posizione, in qualche modo critica, rispetto ad alcune possibili prospettazioni del tema, è stata sviluppata da Cass. civ., Sez. un. Miccoli (16 novembre 2017), che rispetto all'omologo art. 342 c.p.c. hanno affermato che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta, tuttavia, escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio d'appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto di decisione alternativo, da contrapporre a quella di primo grado. È questo un limite che merita piena applicazione anche in sede penale.

La riforma degli artt. 546 e 581 c.p.p.

Questi profili hanno trovato una “traduzione” normativa nella riforma degli artt. 546 e 581 c.p.p. che vanno letti nella loro reciproca integrazione. Con la prima previsione, infatti, si è provveduto a regolamentare la struttura della sentenza facendo carico al giudice di evidenziare tutti gli elementi che costituiscono il fondamento dei vari profili della sua decisione (fatto, responsabilità, pena, interessi civili), dando giustificazioni delle ragioni, delle prove, delle scelte effettuate così da costituire il supporto della pronuncia.

Strettamente correlata alla struttura e ai contenuti della decisione deve articolarsi la domanda di impugnazione, essa pure strutturata in critiche e richieste.

I due atti si saldano essendo strettamente connessi, assicurando lo sviluppo processuale teso a perseguire ordinatamente la finalità di accertamento. La complessità, l'articolazione, la solidità della decisione imporrà la complessità, l'articolazione, la solidità dell'atto di impugnazione.

All'apposto, le carenze, la laconicità, la superficialità della decisione si rifletteranno sull'atto di gravame che non troverà solidi presupposti sui quali innestarsi.

Va, qui, sottolineato che la specificità è una nozione che può essere riempita di vari contenuti e che è stata definita dalla giurisprudenza con valutazioni che coprono una certa discrezionale latitudine, la cui soglia non è preventivabile.

In ogni caso, si censura fortemente la costante indeterminatezza di un concetto che, di per sé, non può che essere vago e rimesso alla libera discrezionalità del giudice, con grave pregiudizio del canone di legalità, anche in considerazione degli effetti preclusivi che la declaratoria della patologia comporta, quasi sempre a svantaggio dell'imputato e, ad ogni modo, foriera di risoluzioni diversificate rimesse alla sensibilità per i concetti nutriti dal singolo giudicante deputato al vaglio per l'accesso al controllo.

La Cassazione e la Corte europea

Per le ragioni appena indicate assumono un certo significato alcune decisioni che hanno evidenziato precisi dissensi nei confronti di alcune declaratorie di inammissibilità, in un quadro nel quale, tuttavia, non possono non essere comunque segnalate anche quelle legate alle aspecificità per “incomprensibilità” degli elementi addotti, in ragione della loro farraginosità, ed al mancato rispetto del format del modulo frutto dell'accordo tra il CNF e la Presidenza del Supremo Collegio.

Con la sentenza Cass. pen., Sez. I, 16 giugno 2020, n.20272- B.G., la Cassazione affronta la questione dei motivi del tutto sovrapponibili ai contenuti della domanda iniziale, formulata ex artt. 35 bis ord. penit. e 69, comma 6, ord. penit. Disattendendo le conclusioni in punto di inammissibilità, in ragione della mancata esplicitazione delle ragioni di dissenso o di critica dell'atto impugnato, il Supremo Collegio, ricollegandosi ad un proprio precedente (Cass. pen., Sez. I, 13 giugno 2018, n. 29068) Falsone, evidenzia come sia necessario differenziare i motivi di merito da quelli di legittimità e in questo ultimo caso anche in relazione al loro oggetto, sicché in quest'ultima eventualità ove attenga all'interpretazione della quaestio iuris, il gravame non può non essere riproposto nei termini prospettati e non accolti.

Come, icasticamente, sottolinea la decisione qui considerata “nessuna disposizione processuale potrebbe attribuire al primo giudice il monopolio dell'attività interpretativa, né potrebbe costringere la parte soccombente a variare la prospettiva interpretativa là dove resti convinta della bontà dell'opzione iniziale”.

Resta, comunque, ferma “la pertinenza ai contenuti e alla ratio decidendi della sentenza impugnata”, mirando ad una rivalutazione della questione di diritto da parte del giudice di grado superiore.

Con una recente sentenza della Cassazione (Cass. pen., Sez. V, 22 settembre 2020, n. 27006) il tema è stato ulteriormente messo a fuoco con affermazioni lapidarie. Giudicando di un ricorso nei confronti di una dichiarazione di inammissibilità pronunciata dai giudici d'appello, la Suprema Corte, in relazione alla vicenda dedotta evidenziava come l'appello della difesa non avesse mancato di “dialogare” con la sentenza impugnata, in quanto il giudizio di specificità dei motivi non può prescindere dallo spessore motivazionale della sentenza appellata che richiede una critica tanto più puntuale, quanto specifiche sono le proposizioni giustificate della pronuncia che si intende avversare nel merito.

Del resto, come emerge proprio dalla sentenza Galtelli, il sindacato di ammissibilità dell'appello, condotto ai sensi degli artt. 581 e 591 c.p.p., non può ricomprendere – a differenza di quanto avviene per il ricorso per cassazione (art. 606, comma 3, c.p.p.) o per l'appello civile – la valutazione della manifesta infondatezza dei motivi di appello, non espressamente menzionata da tali disposizioni quale causa di inammissibilità dell'impugnazione.

La stessa tematica – ancorché sotto altro profilo – è stata l'oggetto della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, 6 febbraio 2020, Felloni contro Italia.

I giudici sovranazionali erano chiamati a valutare una decisione di inammissibilità in relazione all'art. 6, § 1 della Cedu ove si afferma che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata, espletata pubblicamente ed entro un termine ragionevole, da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti ...”.

Nel caso di specie la questione concerneva una pronuncia della Cassazione in relazione ad un ricorso con il quale il soggetto lamentava la mancata applicazione delle attenuanti generiche (ritenendo che i giudici avessero applicato retroattivamente la l. n. 125 del 2008: il reato è del 2007; la prima decisione del 2011: l'appello del 2012).

La ragione della declaratoria di inammissibilità conseguiva alla ritenuta natura di motivo di merito (anche in relazione agli altri elementi dedotti nel ricorso) e non di legittimità.

In via del tutto incidentale, si segnala che il soggetto era stato condannato in primo grado e la decisione era stata confermata in appello per guida in stato di ebbrezza alla pena di un mese di arresto con sospensione della pena ed una ammenda di 900 Euro, oltre alla sospensione della sua patente di guida per un anno. La Corte europea, pur escludendo ogni violazione dell'art. 7 Cedu, ha affermato che la declaratoria di inammissibilità da parte della Cassazione ha violato l'art. 6 Cedu, in quanto, avendo effettuato una valutazione complessiva dei motivi tesi a rimettere in discussione i fatti, aveva trascurato la questione che a giudizio dei giudici europei non si configurava come questione di merito, ma come questione di diritto, e come tale di competenza della Cassazione.

Più specificamente, si fa notare che “la decisione della Corte di Cassazione non contiene alcun riferimento alla pena inflitta al ricorrente e, in particolare, alla legge applicabile in materia di circostanze attenuanti, che avrebbe consentito di rispondere, anche se solo indirettamente, alle doglianze dell'interessato circa la gravità della sanzione”.

La Corte riconosce al ricorrente sia 2500 Euro quale danno morale, sia il diritto a presentare domanda di revisione ai sensi della sentenza C. cost. n. 113 del 2019.

Scenari

Le conclusioni sono agevoli. Ai giudici spetta l'onere di dare una robusta struttura e un solido supporto alle sentenze ed alle motivazioni; alle parti l'onere di proporre atti di impugnazione strutturalmente e contenutisticamente adeguati alla consistenza della decisione di cui si sollecita il controllo da parte di un altro giudice.

Tutto ciò non consente a questo giudice conclusioni semplificate in punto di ammissibilità del gravame: escludendo valutazioni complessive e finalistiche; anche un solo motivo ammissibile (fondato o non fondato) preclude conclusioni invalidanti.

Le citate decisioni, ma soprattutto quella della Cedu, con le sue conclusioni, sicuramente sono destinate a favorire ulteriori ricorsi a Strasburgo ed è verosimile che la Corte europea preciserà meglio le condizioni per l'accoglimento dei ricorsi.

Sarà, comunque, necessario – medio tempore – che le forti finalità e le aspettative deflattive assunte da questo tipo di invalidità processuale, siano accompagnate da una attenta valutazione dei suoi presupposti.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario