Abbandono del tetto coniugale e addebito della separazione

Sabina Anna Rita Galluzzo
21 Ottobre 2020

L'abbandono della casa familiare costituisce di per sé violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale...
Massima

L'abbandono della casa familiare costituisce di per sé violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi – e l'onere incombe a chi ha posto in essere l'abbandono – che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto.

Il caso

La vicenda concerne una separazione tra due coniugi dalla cui unione non erano nati figli. In primo grado il Tribunale, respinta la richiesta avanzata dal marito di addebito alla donna, lo condannava a versarle un assegno di mantenimento di 1.500 euro.

La Corte d'appello riformava parzialmente la decisione riducendo l'assegno a 800 euro mensili in considerazione della situazione economica dell'uomo, imprenditore nel settore immobiliare e titolare di quote sociali, nonché di quella della moglie che, pur non avendo adeguati redditi propri che le consentissero di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio poteva comunque disporre di “consistenti risorse finanziarie”.

Entrambi i coniugi proponevano ricorso in cassazione avverso la suddetta sentenza. La Corte con l'ordinanza in esame respinge le istanze.

La questione

Ai sensi dell'art. 143 c.c. tra gli obblighi che sorgono per i coniugi in conseguenza del matrimonio vi è quello di coabitazione, definito come convivenza durevole presso la stessa residenza. La coabitazione in particolare è espressione della comunione di vita materiale, spirituale e sessuale requisito indispensabile per un rapporto matrimoniale.

Tale obbligo è considerato particolarmente rilevante, al punto che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la situazione giuridica di convivenza tra marito e moglie costituisce elemento essenziale del matrimonio-rapporto, caratterizzandolo in maniera determinante (Cass. 18695/2015).

In questo contesto il comportamento di un coniuge che abbandona il tetto coniugale, ossia vi si allontana senza il consenso dell'altro costituisce violazione dei doveri coniugali e può portare a una dichiarazione di addebito della separazione, con tutte le conseguenze patrimoniali che questa comporta (Cass. 25663/2014). L'allontanamento peraltro può essere considerato legittimo in presenza di una “giusta causa”, vale a dire di una situazione di fatto di per sé incompatibile con la protrazione di quella convivenza, oppure quando si è già verificata l'intollerabilità della vita matrimoniale. Nella prassi tuttavia il confine tra le due situazioni è spesso labile e compete all'interprete valutare quando l'allontanamento sia giustificato e quando invece causi la frattura dell'unione coniugale e quindi la separazione.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione nel provvedimento in esame specifica innanzitutto che non è ammissibile, in sede di legittimità un nuovo riesame dei fatti, come richiesto dal ricorrente, dal momento che nell'ambito del giudizio di legittimità, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito (Cass. 29404/2017). Nella specie, si specifica inoltre, non vi è stata alcuna omissione da parte della Corte d'appello che ha valutato tutte le risultanze istruttorie, relative agli aspetti patrimoniali e personali della coppia.

Passando al merito della questione gli Ermellini, richiamando il consolidato indirizzo della giurisprudenza in materia evidenziano come l'addebito della separazione presupponga l'accertamento della riconducibilità della crisi coniugale alla condotta di uno o di entrambi i coniugi, consapevolmente e volontariamente contraria ai doveri coniugali. Si è a tal proposito sottolineato in dottrina che ciò che rileva, perché possa affermarsi che la separazione è addebitabile a uno dei coniugi, che ha tenuto un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio, non è, tanto, la violazione, da parte di questi dei doveri in questione, quanto la dimostrazione che la convivenza, tra le parti, è divenuta intollerabile a causa della condotta dell'altro”. (Finocchiaro M., Auspicabile la riforma della disciplina legislativa per eliminare un istituto non al passo con i tempi, in Guida al Diritto, 1 del 2004).

Non è pertanto sufficiente, ha affermato più volte la giurisprudenza, la sola violazione dei doveri che l'art. 143 c.c., pone a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale (Cass. 7469/ 2017; Cass. 11488/2017). Il volontario abbandono del tetto familiare da parte di uno dei coniugi, infatti costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l'addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto (Cass. 15 gennaio 2020 n. 648).

Non si concreta, dunque violazione dei doveri coniugali quando l'allontanamento risulti legittimato da una “giusta causa”, vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare (Cass. 12 aprile 2016, n. 7163).

In questo contesto la Cassazione ha individuato la giusta causa dell'allontanamento nella stessa proposizione della domanda di separazione, di per sé indicativa di pregresse tensioni tra i coniugi e, quindi, dell'intollerabilità della convivenza (Cass. 19328/2015), ma anche nella “mancanza di una appagante e serena intesa sessuale” (Cass. 8773/2012) nei soprusi, fisici e psicologici cui era sottoposta la moglie , e addirittura nei frequenti litigi domestici della donna con la suocera convivente (Cass. 4540/ 2011). Anche una semplice lettera di addio del coniuge all'altro è stata considerata sufficiente al fine di provare la giusta causa dell'allontanamento definitivo dalla casa coniugale (Cass. 34562/2012). Costituisce inoltre una valida deroga all'obbligo di coabitazione l'accordo tra coniugi di vivere, per ragioni di lavoro, in città diverse, incontrandosi durante i fine settimana (Cass. 4558/2000).

Nel caso in esame, sottolinea la Corte, l'allontanamento della moglie era avvenuto in un momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si era già verificata ed in conseguenza del comportamento di entrambi i coniugi, rivelatisi inidonei a costruire persino un progetto di vita matrimoniale. La stessa Corte d'Appello aveva infatti evidenziato che tra i due era da subito emerso, nella breve esperienza matrimoniale, una mancata costruzione, di un "rapporto fatto di affezione, progettualità di coppia e condivisione". La causa del fallimento della convivenza non era, nella specie, pertanto, conclude la Cassazione, imputabile solamente all'allontanamento della donna. Per tale motivo giustamente la Corte d'Appello aveva respinto la richiesta d'addebito.

In relazione all'onere probatorio, inoltre, precisa ancora l'ordinanza in esame, richiamando in proposito precedenti giurisprudenziali nel caso in cui sia dedotta la violazione dell'obbligo coniugale di convivenza, la prova dell'avvenuto allontanamento dal domicilio coniugale, a cura del coniuge che lo denuncia, è sufficiente ad integrare la violazione dei doveri matrimoniali a meno che il coniuge che si è allontanato non provi che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro, o che comunque già vi era, come nel caso in esame, una situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza (Cass. 18 settembre 2019, n. 23284).

Osservazioni

Con la riforma del diritto di famiglia l'istituto della separazione personale dei coniugi è passato dall'essere separazione per colpa all'essere un rimedio di fronte a una situazione familiare ormai pregiudicata, pur indipendentemente dalla volontà di marito e moglie. In questo contesto la violazione del regime primario matrimoniale e quindi dei doveri di solidarietà e di reciproca assistenza anche materiale ha comunque come conseguenza, la possibilità di addebito della separazione. L'istituto, che rappresenta un compromesso tra chi al momento della riforma voleva eliminare completamente la “colpa“ dalla separazione e chi invece, più conservatore, voleva mantenere la rilevanza della responsabilità del coniuge colpevole è tuttora al centro di opposte istanze. Da una parte si ha infatti un'evoluzione tendente all'eliminazione dell'addebito considerato un retaggio della separazione per colpa, che non fa altro che alimentare il conflitto coniugale, con conseguenze assai dannose ai fini della tutela della bigenitorialità, come testimoniato anche da recenti disegni di legge (art. 19 del disegno di legge Pillon). Già anni fa la dottrina in proposito sosteneva la maturità dei tempi “perché il Legislatore, rompendo con un ingombrante passato”, ponesse fine a un istituto “assolutamente arcaico e privo di qualsiasi rilevanza pratica” (Finocchiaro, cit.).

D'altra parte peraltro la giurisprudenza ritenendo non sufficiente l'addebito come conseguenza della violazione dei doveri nascenti dal rapporto matrimoniale, ha iniziato da tempo a considerare applicabili ai rapporti tra coniugi i principi della responsabilità civile. A partire da una ben nota sentenza del 2005 (Cass. 9801/2005) si sostiene infatti che la violazione di obblighi nascenti dal matrimonio che, da un lato è causa di intollerabilità della convivenza, giustificando la pronuncia di addebito, con gravi conseguenze, anche di natura patrimoniale, dall'altro, dà luogo ad un comportamento (doloso o colposo), che, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, integra gli estremi dell'illecito civile e da luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. (Cass. 8862/2012).