Mancato pagamento dell'assegno di mantenimento per i figli e sanzione pecuniaria del pagamento alla Cassa delle Ammende: la risposta della Consulta
28 Ottobre 2020
Massima
L'art. 709-ter, comma 2, c.p.c., deve essere interpretato nel senso che il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento della prole, nella misura in cui è già sanzionato penalmente, non è compreso nel novero delle condotte inadempienti per le quali può essere irrogata dall'autorità giudiziaria adita la sanzione pecuniaria del pagamento alla Cassa delle Ammende. Le condotte suscettibili di tale sanzione sono infatti “altre”, ossia le tante condotte, prevalentemente di fare infungibile, che possono costituire oggetto degli obblighi relativi alla responsabilità genitoriale e all'affidamento di minori. Il caso
La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 709-ter, comma 2, n. 4, c.p.c., sollevata dal Tribunale di Treviso, per contrasto con gli artt. 3, 25 e 117 Corte cost., nell'ipotesi di condanna alla sanzione del pagamento alla Cassa delle Ammende comminata a un padre, il quale, in pendenza di giudizio, era già stato riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 570-bis c.p. dal giudice penale, per aver omesso di versare il contributo al mantenimento dei figli. Ha rilevato il giudice rimettente che la detta sanzione amministrativa, se applicata dopo la condanna in sede penale, avrebbe comportato una violazione della Carta costituzionale anche in relazione al parametro interposto di cui all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, poi ratificato e reso esecutivo con legge dello Stato, a tenore del quale: «Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato». L'ordinanza di rimessione aveva a individuare altresì una violazione della giurisprudenza CEDU (a partire dalla sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi), ritenuto che la sanzione amministrativa di cui sopra, avuto riguardo ai criteri esposti da Strasburgo, possedesse carattere sostanzialmente penale in ragione della gravità, della finalità e della natura (pubblicistica e deterrente) della stessa. A giudizio del rimettente, l'applicazione della sanzione per il medesimo fatto avrebbe altresì violato gli artt. 3 e 25 della Costituzione, posto che, in relazione al primo di questi articoli, la sanzione pecuniaria era stata determinata nella misura massima di Euro 5.000,00 e, dunque, in misura nettamente superiore al limite edittale indicato dalla norma penale (multa fino a Euro 1.032,00), con ciò denunciando, dunque, l'irragionevolezza della previsione. Con riferimento all'art. 25 Cost., invece, il Tribunale di Treviso aveva ravvisato un vizio di indeterminatezza della norma (art. 709-ter c.p.c., secondo comma, n. 4) giudicata di carattere sostanzialmente penale e, dunque, vincolata al rispetto del principio di tassatività, in quanto attributiva della facoltà, per il Giudice, di applicare una o più fra le sanzioni disciplinate anche nell'ipotesi di «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore». Con la sentenza in commento la Corte Costituzionale ha, invece, dichiarato l'infondatezza della questione di legittimità in relazione a tutti i vizi censurati. La questione
La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sul carattere doppiamente sanzionatorio, afflittivo e sostanzialmente penale dell'art. 709-ter, c. 2, n. 4), c.p.c., in ipotesi di condanna, da parte del giudice del divorzio, del genitore che si sia reso inadempiente all'obbligo di versare l'assegno di mantenimento per i figli, disposto nel verbale di separazione consensuale e omologato dal Tribunale, quando il genitore stesso sia già stato condannato in sede penale per il medesimo fatto. Le soluzioni giuridiche
La Corte Costituzionale ha respinto la questione di costituzionalità dell'art. 709-ter, c. 2, n. 4) c.p.c. per asserita violazione dei parametri costituzionali di cui all'art. 3, 25 e 117, quest'ultimo letto in combinato disposto con i criteri identificati dalla giurisprudenza della CEDU, a partire dalla celebre sentenza Engels c. Paesi Bassi. La Consulta ha rilevato che, per ciò che riguarda l'asserito contrasto fra la disposizione di cui all'art. 709-ter,comma 2, c.p.c. con il principio del ne bis in idem e con la giurisprudenza consolidata europea, il giudice rimettente avrebbe assunto erroneamente come complementare alla sanzione penale quella diversa, di natura amministrativa, della sanzione pecuniaria alla Cassa delle Ammende. Quest'ultima, infatti, a giudizio della Consulta, fonda la sua ratio nella diversa esigenza di assicurare il corretto esercizio della responsabilità genitoriale, a fronte dell'inadempimento, da parte di uno dei due genitori, di obblighi di fare infungibili, imposti da un provvedimento dell'Autorità Giudiziaria. La sanzione penale di cui all'art. 570-bis c.p., comminata a fronte della violazione dell'obbligazione di pagare mensilmente l'assegno per i figli disposta in sede di separazione personale, sarebbe invece volta al contrasto di una condotta diversa da quelle elencate dall'art. 709-ter c.p.c. e cioè l'inottemperanza agli obblighi economici derivanti dalla separazione. La disposizione censurata non contrasterebbe, per l'effetto, nemmeno con gli artt. 3 e 25 della Costituzione, giacché, con riguardo al primo, la sanzione amministrativa pecuniaria assume carattere meno afflittivo e stigmatizzante rispetto alla sanzione penale di cui all'art. 570 c.p. e il nuovo art. 570-bis c.p., che punisce il genitore alternativamente con la reclusione, ovvero con la multa, mentre, nella norma censurata al genitore inadempiente è comminata “solamente” una sanzione di carattere pecuniario. Sotto questo profilo, infatti, la reclusione assume carattere particolarmente deterrente per la privazione della libertà personale che consegue a una condanna, in via definitiva. Con riguardo al parametro di costituzionalità di cui all'art. 25 Cost., la Consulta, richiamati alcuni propri precedenti, ha ritenuto che il ricorso a un'enunciazione sintetica della norma incriminatrice, piuttosto che a un'analitica enumerazione dei comportamenti sanzionati, non comporta, di per sé un vizio di indeterminatezza, laddove, attraverso l'opera interpretativa della giurisprudenza comunque possa attribuirsi un significato chiaro e intellegibile alla previsione normativa, anche nei casi in cui il legislatore utilizzi concetti extragiuridici diffusi o, ancora, dati di esperienza comune e tecnica come modalità di enunciazione. Proprio in riferimento a quest'ultimo punto la Consulta ha richiamato la sentenza n. 139 del 2019 della Corte di Cassazione che aveva espressamente individuato le fattispecie riconducibili all'art. 709-ter, comma 2. La Consulta, esprimendosi altresì sull'asserito contrasto fra la predetta disposizione con il principio del ne bis in idem, così come consolidato nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (a partire dalla sentenza Engel C. Paesi Bassi), ha ritenuto che, in seno alla Corte di Strasburgo, si fosse invero sviluppata un'evoluzione interpretativa. Con la sentenza A. e B. c. Norvegia del novembre 2016, la Corte aveva infatti affermato che sottoporre a processo penale una persona già destinataria di sanzione amministrativa, non contrasti di per sé con il divieto di ne bis in idem, quando tra i due procedimenti (penale e amministrativo) operi connessione sufficientemente stretta dal punto di vista sostanziale e temporale e quando il cumulo fra le dette sanzioni non comporti un eccessivo sacrificio per l'interessato. La Corte EDU ha ritenuto che l'irrogazione di una duplice e distinta sanzione sia ammissibile quando a) le sanzioni siano tese a perseguire finalità differenti, nonché abbiano concretamente ad oggetto profili diversi della medesima condotta;b)la duplicità dei procedimenti costituisca una conseguenza prevedibile della condotta antisociale;c)nei due procedimenti, anche non paralleli, si realizzi una collaborazione tra le autorità preposte alla definizione degli stessi; d) ricorra una stretta connessione temporale tra i due procedimenti che impedisca di sottoporre l'incolpato ad un “eterno giudizio” per il medesimo fatto;e)in uno dei due giudizi venga tenuto debito conto della sanzione comminata nel primo procedimento, in modo che sia rispettata una proporzionalità complessiva della pena. Sennonché la Consulta ha ritenuto, come si diceva, del tutto sovrapponibili e non complementari fra di loro le due sanzioni, in ragione di una sostanziale diversità delle due fattispecie; la prima, riferibile al mancato pagamento dell'assegno e la seconda, riferibile invece a un ampio ventaglio di condotte posto in essere del genitore inadempiente, che peraltro, in questi casi, come prevede il comma secondo dell'art. 709-ter c.p.c., può essere sanzionato alternativamente con l'ammonimento ovvero con il risarcimento del danno. Il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento disposto in sede di separazione (che va ricondotto nell'ipotesi sanzionatoria di cui all'art. 570-bis c.p, cfr. Cass. pen., sez. VI, n. 7277/2020) è peraltro un reato perseguibile d'ufficio e punibile con la reclusione, mentre l'applicazione della sanzione amministrativa presuppone il ricorso del genitore nell'ambito di una controversia pendente e relativa all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento della prole. Osservazioni
Come è noto, l'articolo 709-ter c.p.c. è stato introdotto dalla l. n. 54/2006, che pure ha disciplinato l'affidamento condiviso, come regola intesa a disciplinare le modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, allorché il legislatore aveva ritenuto necessario istituire un nuovo strumento di soluzione dei conflitti più frequenti fra i due genitori affidatari riguardo ai figli. La competenza ad assumere i provvedimenti ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. è attribuita al giudice del procedimento in corso, indipendentemente che si tratti di giudizio di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio, modifica delle condizioni ovvero ancora di procedimento sull'affidamento di figli di genitori non coniugati. Nell'ipotesi in cui il giudizio non sia pendente, è competente ad assumere i provvedimenti di cui all'art. 709-ter c.p.c., il Giudice che aveva, all'epoca, assunto i provvedimenti relativi all'esercizio della responsabilità genitoriale. In caso di gravi inadempienze da parte di uno dei genitori possono essere assunti i provvedimenti di cui al secondo comma, ricorribili in Cassazione, fatta eccezione per la sanzione dell'ammonimento (cfr. Cass. 21 febbraio 2014, n. 4176). Nel giudizio di costituzionalità in esame la Consulta ha osservato che «Nella fattispecie in esame può ben ritenersi che la sanzione pecuniaria “amministrativa” introdotta dall'art. 2 l. n. 54/2006 (con la previsione dell'art. 709-terc.p.c. sia simmetrica e parallela a quella prevista dal successivo art. 3 e non già complementare a quest'ultima. Come già sopra anticipato, tale legge ha previsto, all'art. 1, la regola generale dell'affidamento condiviso dei minori e dell'esercizio tendenzialmente congiunto della potestà genitoriale rimettendo al giudice ogni decisione in caso di disaccordo. La stessa disposizione ha novellato l'art. 155 c.c. sui provvedimenti riguardo ai figli e ha introdotto, in particolare, l'art. 155-bis c.c., che regola l'affidamento a un solo genitore e l'opposizione all'affidamento condiviso, e l'art. 155-terc.c. sulla revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli. A fronte di nuovi diritti e nuovi obblighi, spesso di fare infungibile, e in assenza (all'epoca) di misure indirette per favorirne l'esecuzione (le misure di coercizione indiretta di cui all'art. 614-bisc.p.c. sarebbero state introdotte solo alcuni anni dopo), lo stesso legislatore ha approntato, all'art. 2, uno specifico e mirato strumento processuale di tutela, costituito appunto dall'art. 709-terc.p.c.» La questione di costituzionalità dell'art. 709-ter c.p.c., II comma, per asserito contrasto con il divieto di ne bis in idem, è stata dichiarata infondata, attesa la diversità sostanziale con le misure sanzionatorie di cui agli artt. 570 e 570-bis c.p. Con ciò rilevato la Consulta ha evidenziato come la violazione degli obblighi di mantenimento preveda specifici rimedi, anche civilistici, che, all'opposto, nell'ipotesi di altre “condotte gravemente pregiudizievoli nei confronti della prole”, così come contemplate dal secondo comma della disposizione in commento, non erano state ancora regolamentate dal legislatore, fino all'introduzione della riforma del 2006. In effetti, quando il genitore non adempie all'obbligo di mantenimento può essere destinatario della sanzione penale prevista all'art. 570-bis c.p., così come, sul piano civilistico, subire l'esecuzione forzata nelle forme di legge. In una fase storica in cui ancora non si era giunti all'introduzione dell'art. 614-bisc.p.c., volto al contrasto delle condotte del debitore inadempiente agli obblighi di fare infungibili, si poneva, allora, il problema di fornire una tutela al genitore danneggiato dalla condotta inadempiente dell'altro, nell'ambito di un regime di affidamento congiunto della prole (si pensi al genitore che, pur se obbligato da un provvedimento giudiziale, ovvero vincolato in forza di un accordo di separazione o divorzio a un determinato regime di visita e di accompagnamento del minore, di fatto, non lo rispetti, adducendo pretestuose ragioni di lavoro). L'introduzione dell'art. 709-ter c.p.c. è volto propriamente a sanzionare con severità simili comportamenti, riequilibrando l'assetto dei rapporti intercorrenti fra genitori e figli, sempre improntati a una sostanziale parità in ottemperanza al dettato costituzionale e alla riforma del 2006. Va da sé che le condotte particolarmente pregiudizievoli nei confronti della prole da parte di uno dei genitori affidatari di per sé giustificano l'assunzione di provvedimenti ben più gravi, potendosi addivenire all'affidamento esclusivo, ovvero alla sospensione (o rimozione) della responsabilità genitoriale, ovvero ancora al risarcimento del danno endofamiliare in favore dell'altro genitore (si vedano Bussole di riferimento: Buffone G., Risarcimento del danno endofamiliare, in IlFamiliarista; Fasano A., Responsabilità genitoriale: risoluzione delle controversie, in IlFamiliarista); Ad ogni modo l'art. 709-ter c.p.c. risponde a un'esigenza più generale di garantire il diritto del minore alla bigenitorialità e all'assistenza morale da parte di entrambi i genitori. Si pone allora il problema di coordinare l'art. 709-ter c.p.c. con l'art. 614-bis c.p.c., rubricato “misure di coercizione indiretta”, giacché, in astratto, quando un genitore si sottrae all'obbligo di assistenza morale potrebbe configurarsi un cumulo di sanzioni di natura civilistico-amministrativa. Sul punto la Corte di Cassazione si è recentemente espressa negativamente con la criticata ordinanza Cass. n. 6471/2020, nella quale La Suprema Corte ha ritenuto che, pur avendo entrambi introdotto rimedi all'inottemperanza di obblighi di natura infungibile, gli artt. 614-bis e 709-ter abbiano ambiti applicativi differenti. Secondo l'interpretazione della Corte, l'art. 709-ter c.p.c. consiste in una misura coercitiva a carattere repressivo, inflitta a posteriori, quando cioè l'inadempimento del genitore si sia già verificato. Per converso, l'art. 614-bis costituirebbe un rimedio di natura preventiva cui segue una sanzione che normalmente viene irrogata ex ante, con finalità dissuasive. Non è questa la sede per una disamina più scrupolosa della predetta ordinanza (si fa rimando sul punto al commento di Colombo in Ilfamiliarista), ma certamente, anche alla luce di questa recente interpretazione, può cogliersi l'importanza, evidenziata dalla Consulta, di diversificare il rimedio della sanzione penale, volta al contrasto delle condotte antisociali del genitore inadempiente agli obblighi di natura economica, con quelle diverse di violazione degli obblighi di assistenza morale. Ne deriva che l'art. 709-ter c.p.c. costituisce il rimedio principe per il genitore contro l'inadempimento agli obblighi di fare infungibili, espressione del più generale dovere di assistenza morale nei confronti dei figli. Buffone G., Risarcimento del danno endofamiliare, in IlFamiliarista; Colombo P.S., Il diritto- dovere di visita del genitore non collocatario non è coercibile e pertanto non è sanzionabile, in IlFamiliarista; Fasano A., Responsabilità genitoriale: risoluzione delle controversie, in IlFamiliarista; Odino-Baccino, Violazione degli obblighi di assistenza familiare, in IlFamiliarista.
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