Le circostanze note e non dedotte non possono ritenersi sopravvenute ai fini della revisione delle condizioni di divorzio
29 Ottobre 2020
Massima
La particolare natura delle sentenze di divorzio e delle successive modifiche, ne comporta il passaggio in giudicato rebus sic stantibus, cosicché le stesse sono suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, resta esclusa la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte in giudizio. Il caso
Con ricorso depositato nell'aprile 2016, Tizio chiedeva la revisione delle condizioni di cui alla sentenza di divorzio (2002) e del successivo accordo modificativo, deducendo il venir meno della convivenza del figlio – divenuto economicamente autosufficiente – con la madre e la datata convivenza di quest'ultima con il compagno. Il Tribunale – dichiarata la contumacia di Caia, ex moglie convenuta – revocava l'assegnazione della casa coniugale, nonché l'assegno di mantenimento per il figlio, mentre respingeva la richiesta di eliminazione dell'assegno divorzile, non ravvisando al riguardo circostanze sopravvenute. Tizio proponeva reclamo, anch'esso rigettato, posto che l'addotta convivenza risultava allo stesso nota sin dal 1984. Contro il decreto della Corte d'Appello, Tizio depositava ricorso per cassazione, affidato a tre motivi e Caia resisteva con controricorso. La questione
I fatti noti, ma non evidenziati nei giudizi di separazione, divorzio e modifica delle relative clausole, legittimano la successiva richiesta di revisione della pronuncia che non ne ha potuto tener conto? Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, articolato in tre motivi (di cui due esaminati congiuntamente perché connessi) con i quali il ricorrente delineava la differenza tra una semplice frequentazione della ex moglie, lamentando che tale ultima circostanza non fosse stata considerata ai fini della modifica delle condizioni economiche, con conseguente violazione dell'art. 9, l. n. 898/1970. Detta norma prevede, infatti, che «Qualora sopravvengano giustificati motivi” dopo la sentenza di divorzio, “il Tribunale (…) può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6». Le sentenze di divorzio sono, dunque, emanate rebus sic stantibus e sono suscettibili di modificazioni quanto ai rapporti economici e/o relativi all'affidamento dei figli minori, allorché sopravvengano fatti nuovi. Occorre precisare che il giudicato si forma comunque per le statuizioni della sentenza riguardanti i rapporti economici tra le parti, ma ciò «non esclude ulteriori provvedimenti del giudice, valevoli per il futuro» basati esclusivamente su fatti successivi al formarsi del giudicato stesso (v. Cass. civ. n. 4202/2001). Nel caso in questione, Tizio specificava come Caia già intrattenesse “una stabile convivenza (…) da molti anni”, cosicché i Giudici di prima e seconda istanza avevano ritenuto la circostanza addotta “non nuova”, ma anzi nota e, come tale, inidonea a determinare la modifica delle condizioni di divorzio. La rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche dedotte a fondamento delle istanze oggetto di valutazione e pronuncia è, infatti, esclusa dalla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Ne deriva che «l'attribuzione in favore di un ex coniuge dell'assegno divorzile non può essere rimessa in discussione in altro processo sulla base di fatti anteriori all'emissione della sentenza, ancorché ignorati da una parte, se non attraverso il rimedio della revocazione, nei casi eccezionali e tassativi di cui all'art. 395 c.p.c.» (v. Cass. civ. n. 17320/2005; Cass. civ. n. 21049/2004). In conclusione, e per le esposte ragioni, i primi due motivi sono stati ritenuti infondati, così come il terzo, riguardante l'omessa pronuncia sulle richieste istruttorie, perché conseguentemente ininfluenti ai fini del decidere. Osservazioni
In materia di separazione e divorzio trova applicazione il principio generale per cui i provvedimenti vengono emessi dall'autorità giudiziaria “rebus sic stantibus”, ovvero sulla base della situazione di fatto così come prospettata in un determinato momento, allo stato attuale, ferma restando la modificabilità della stessa in presenza di elementi sopravvenuti che mutino il quadro della valutazione precedente. La tendenza dell'ordinamento, dunque, è quella di apportare rimedi per attenuare l'incidenza negativa di circostanze sopravvenute, che in senso lato possono essere ricondotti al principio della rilevanza della sopravvenienza, enunciato sinteticamente nella clausola rebus sic stantibus (v. T. Galletto, La clausola «rebus sic stantibus», 1991). Ciò premesso, il caso di specie investe l'interpretazione e la corretta applicazione dell'art. 9 l., n. 898/1970, che delinea un procedimento da intendersi ricalcato sul modello previsto dall'art. 710 c.p.c., caratterizzato dal rito camerale, da un impulso di parte, dalla competenza del tribunale ordinario, da individuarsi ex artt. 18 e 20 c.p.c., dovendosi negare una competenza funzionale del giudice del divorzio. Occorre soffermarsi, inoltre, sulla necessità del passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio: si ritiene che affinché possa instaurarsi il procedimento di modifica, la sentenza che pronuncia il divorzio (o la separazione) non deve essere più suscettibile d'impugnazione e, quindi, passata in giudicato, con la conseguenza che solo da tale momento può essere considerata e valutata la sopravvenienza di nuove circostanze. Si è espresso in merito anche il Supremo Collegio a Sezioni Unite, che ha qualificato il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o divorzio come un “presupposto processuale e non una condizione dell'azione” (v. Cass. sez. un., n. 8389/1993), per cui il procedimento di revisione della misura dell'assegno divorzile, ai sensi dell'art. 9, richiede “l'esistenza di una pronuncia passata in giudicato in tale punto, sebbene rebus sic stantibus” (v. A. Greco, in Fam. e dir., 2007). Pare opportuno puntualizzare, infine, che, nonostante il consolidato orientamento giurisprudenziale, l'art. 9, l. n. 898/1970 fa riferimento, quanto ai presupposti per proporre una domanda di revisione, alla mera pronuncia della sentenza di divorzio, senza specificare la necessità che la stessa sia passata in giudicato (v. A. Nascosi, I procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, in A. Graziosi [a cura di], I processi di separazione e di divorzio, Torino, 2008, 337). |