Le timide manovre “chirurgiche” del d.l. Ristori in materia penitenziaria

Veronica Manca
06 Novembre 2020

Con il d.l. n. 137/2020, il legislatore torna a occuparsi dell'epidemia sanitaria e della sua incidenza nelle carceri. Nonostante i dati siano allarmanti e in continua progressione, il Governo ha licenziato un pacchetto minimo di modifiche, in gran parte riprese dal primo decreto legge in materia di carcere (c.d. Cura Italia, n. 18 del 2020), incidendo di fatto solo in materia di licenze per i semiliberi, permessi premio e detenzione domiciliare.
Abstract

Con il d.l. n. 137/2020, il legislatore torna a occuparsi dell'epidemia sanitaria e della sua incidenza nelle carceri. Nonostante i dati siano allarmanti e in continua progressione, il Governo ha licenziato un pacchetto minimo di modifiche, in gran parte riprese dal primo decreto legge in materia di carcere (c.d. Cura Italia, n. 18 del 2020), incidendo di fatto solo in materia di licenze per i semiliberi, permessi premio e detenzione domiciliare. Si propone, quindi, una prima valutazione “a caldo” delle modifiche apportate con il decreto legge in esame, con l'analisi delle disposizioni e il tentativo di fornire delle prime interpretazioni e soluzioni applicative.

Il Covid-19 si diffonde velocemente e pericolosamente dentro le carceri

Poco tempo fa, in un contributo pubblicato in questa Rivista, si sottolineava come i numeri dei contagiati all'interno delle carceri italiane, allora sotto controllo, erano inevitabilmente destinati a salire pericolosamente tenendo del rischio contagio legato al doppio flusso. Si invitava soprattutto a non sottovalutare il rischio di contagio “dall'esterno verso l'interno” delle case di reclusione: «quella che si vive adesso è fase di incertezza legata alla pericolosa convivenza col virus senza lockdown dove, pur con tutte le misure per contenere al massimo il rischio epidemiologico, con la ripristinata libertà di movimento, è inevitabile che la curva dei contagi risalisse. Quindi è più ampio il pericolo che il virus venga portato dentro le carceri dall'esterno» (Minnella, Coronavirus e carcere: ripercussioni in materia di accesso alle misure alternative, Focus pubblicato il 25 settembre 2020).

Così, purtroppo, è stato. Il crescente e preoccupante numero dei contagiati tra i detenuti e il personale penitenziario, ha di nuovo fatto salire il già alto livello di attenzione. Il legislatore d'urgenza ha cercato di correre subito ai ripari: all'interno del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (c.d. “decreto ristori”) sono state introdotte delle misure per contenere il rischio di diffusione della pandemia nel contesto penitenziario, ossia in luoghi in cui è pressoché impossibile rispettare le norme di distanziamento sociale. A ciò si aggiunga che, salvo qualche caso, le strutture non possono fare tamponi autonomamente. E molti istituti non riescono nemmeno a isolare i nuovi arrestati che entrano. Pertanto, è serio e drammaticamente concreto che le carceri diventano delle bombe sanitarie pronte ad esplodere.

A Terni il focolaio più preoccupante, in alta sicurezza. Gli addetti ai lavori evocano il cosiddetto “effetto RSA”, quello di un contagio che potrebbe diffondersi senza controllo tra le mura della prigione.

Immaginabile come vive questa situazione pandemica in atto il detenuto: con l'ansia di essere contagiato dal virus, con la paura di non essere adeguatamente curato in ambito intramurario in caso di positività al Covid-19, e con l'opportunità di rinunciare all'affettività e ai colloqui con i familiari che saranno nuovamente sospesi, alla luce dell'art. 221, comma 10,d.l. n. 34/2020 per il quale, fino al 31 dicembre 2020, negli istituti penitenziari, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto condannati, internati, imputati (e indagati) possono essere svolti “a distanza” mediante le apparecchiature e i collegamenti di cui dispone l'amministrazione penitenziaria o mediante corrispondenza telefonica, su richiesta dell'interessato o «quando la misura è indispensabile per salvaguardare la salute delle persone detenute o internate».

La situazione è per il circuito penitenziario sotto certi versi più grave di quella degli inizi di marzo: lì si era riusciti a bloccare, dopo i primi casi, la diffusione del contagio con il lockdown. Adesso il Covid-19 si sta diffondendo velocemente e a macchia d'olio, con il rischio serio e concreto che i luoghi di detenzione diventino delle bombe sanitarie.

Insomma, se per il mondo esterno alle carceri si parla di “seconda ondata”, per le carceri questa è una “prima vera ondata” che abbisogna di misure immediate e concrete per evitare che la situazione esploda.

Il d.l. Ristori e le riproposte misure “svuota carceri” del decreto Cura Italia

Si aspettava quindi una risposta normativa ‘forte' per fronteggiare questa pericolosa ondata di contagi, dopo le timide risposte legislative del decreto legge Cura Italia n. 18 del 17 marzo 2020 (poi convertito con legge 24 aprile 2020 n. 27) che aveva previsto alcuni interventi volti a deflazionare i numeri dei detenuti negli istituti penitenziari, anche se sin da subito si era percepito come si trattasse di soluzioni non destinate a incidere con numeri particolarmente importanti sull'endemico sovraffollamento.

Tali lacune hanno costretto una coraggiosa giurisprudenza di sorveglianza a un delicatissimo ruolo di supplenza, soprattutto per la fuoriuscita soggetti con pluripatologie, attraverso il ricorso alla detenzione domiciliare umanitaria.

Ancora una volta, le aspettative sono rimaste deluse. Il legislatore d'urgenza, agli articoli 28, 29 e 30 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, c.d. decreto Ristori, riprende, con un formidabile “copia e incolla”, le stesse misure del Cura Italia, con la sola aggiunta dei permessi premio.

Permane il silenzio per i detenuti in custodia cautelare. All'uopo, la Procura Generale della Corte di Cassazione, rimanda, a firma del Procuratore Generale Salvi, la nota del 1° aprile 2020 (e della successiva integrazione del 27 aprile), in cui sono contenute delle indicazioni che fungono da “orientamento” per gestire questo nuova ondata della fase emergenziale sanitaria. Proprio con riferimento alla revoca o attenuazione delle misure cautelari custodiali, in ragione del sovraffollamento che connota numerosi istituti di detenzione, si consiglia alle Procure un monitoraggio attento delle “detenzioni preventive”, si da valutare se l'affievolimento delle esigenze cautelari e/o lo stato di salute del detenuto (con patologie già acclarate che, se sinora non hanno comportato incompatibilità con la detenzione inframuraria, potrebbero oggi determinare complicanze letali o comunque grandemente pregiudizievoli per la salute) possano consigliare la sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari, in tutti i casi in cui la disponibilità di un alloggio lo consenta, con l'applicazione del braccialetto elettronico se disponibile.

Già dalla stessa tecnica di formulazione delle norme del d.l. Ristori si comprende come la vera preoccupazione governativa sia quella di tutelare esigenze di sicurezza pubblica, chiedendo subito ogni porta all'accesso di tali timide misure ai detenuti ritenuti pericolosi, ossia quelli condannati per reati exart. 4-bis ord. pen. (oltre che di maltrattamenti e stalking), anche se abbiamo finito di scontare la parte relativa ai delitti ostativi (escludendo espressamente lo scioglimento del cumulo giuridico).

Art. 28: le c.d. licenze premio straordinarie

Al carcere il d.l. n. 137/2020 dedica solamente tre stringate disposizioni. La prima, l'art. 28, si incentra sulla concessione straordinaria di licenze premio per detenuti già ammessi al regime alternativo della semilibertà. La disposizione, in sostanza, recupera quanto previsto dall'art. 124 del d.l. n. 18/2020: in deroga a quanto stabilito, in via generale, dall'art. 52 della legge sull'ordinamento penitenziario, in materia di applicazione di licenze per i semiliberi, si prevede che, a partire dall'entrata in vigore del d.l. n. 137/2020, i condannati possano essere ammessi a fruire di licenze con durata superiore a 45 giorni (ovverosia il termine massimo di cui all'art. 52 dell'ordinamento penitenziario).

Vi sono però degli importanti limiti applicativi: (i) il primo è dettato dalla durata temporale, dato che il regime di favore è previsto solo fino al 31 dicembre 2020; (ii) il secondo riguarda invece la discrezionalità attribuita al magistrato di sorveglianza circa l'eventuale concessione. Si chiarisce, infatti, che tali licenze straordinarie potrebbero non essere comunque valutate positivamente, laddove il magistrato di sorveglianza ravvisi “gravi motivi ostativi”. Una locuzione molto ampia ed eccessivamente generica, in cui si ricomprendono sicuramente le ragioni legate al pericolo di fuga, alla prognosi di recidiva, ma anche tutti gli altri elementi di segno contrario – inerenti, ad es., alla pericolosità sociale intramuraria o esterna, ricavabile dalle informative o dalle relazioni di sintesi di équipe – che non consentono un esame positivo della posizione del condannato.

La disposizione quindi appare di applicazione fortemente limitata: tuttavia, si sottolinea la differente formulazione letterale dell'art. 28, rispetto al seguente art. 29, per cui si potrebbe ipotizzare un'applicazione più ampia anche per tutti i condannati in semilibertà che non hanno mai fruito di licenze premio. A una valutazione sempre “a caldo”, in ragione dei primi commenti sul testo legislativo, si potrebbe azzardare, inoltre, un'estensione del beneficio a tutti i condannati – pur sempre in semilibertà – a prescindere dal titolo di reato (ostativo o meno, e, questo perché sull'art. 29, il legislatore dell'emergenza è stato fin troppo chiaro nell'escludere gli autori di delitti ostativi, anche tramite il meccanismo dello scioglimento del cumulo, dalla fruizioni dei permessi premio c.d. “straordinari”).

Ancora. Si ravvisa qualche difficoltà applicativa in termini di conteggio dei 45 giorni, da qui al 31 dicembre 2020: nel caso, infatti, in cui il soggetto in semilibertà stia già fruendo della licenza e sia prossimo all'esaurimento dei 45 giorni, lo stesso potrà essere ammesso nuovamente al beneficio fino alla fine dell'anno, per il 31 dicembre 2020; laddove poi il soggetto non abbia ancora fruito della licenza straordinaria, si pensa che con la concessione del beneficio, lo stesso possa permanere in licenza fino alla scadenza del d.l. n. 137/2020, dato che, in via generale, la decorrenza dei giorni per le licenze straordinarie non dovrebbero sommarsi a quelle ordinarie, potendo quindi il condannato usufruire dei giorni rimanenti nel corso dell'anno avvenire.

Art. 29: permessi premi, preclusioni e scioglimento del cumulo per delitti ostativi

Oltre alle licenze straordinarie per i semiliberi, il d.l. n. 137/2020 si occupa anche della materia permessi premio: tale disciplina di favore trova applicazione solo per un tempo limitato, fino al 31 dicembre 2020, con decorrenza dall'entrata in vigore del decreto legge, quindi, dal 29 ottobre 2020.

A differenza delle licenze – come detto sopra – il legislatore è chiaro nel precisare che questa disciplina di favore si applica solamente a chi ha già usufruito di permessi premio ex art. 30-ter ord. penit., oppure a chi è stato assegnato al lavoro all'esterno, art. 21 ord. penit., o ammesso all'istruzione o alla formazione professionale all'esterno ai sensi dell'art. 18 del d.lgs. n. 121/2018. La portata della disposizione si restringe, da un lato, e si estende dall'altro: si restringe, perché è evidente che si applica solo a chi è già stato valutato positivamente e ammesso dal magistrato di sorveglianza alla fruizione di benefici esterni (anche per tutti coloro autorizzati ma che di fatto non hanno potuto concretamente usufruire del beneficio o per questioni burocratiche o per le tempistiche della giustizia, anche in ragione della sospensione di tutti i benefici esterni, durante la prima fase dell'emergenza sanitaria). Da un lato. Dall'altro, invece, si valuta con favore l'allargamento degli utenti ammessi al beneficio, dato che, a differenza del decreto legge n. 18/2020, si comprendono gli art. 21 ord. penit. e i condannati ammessi all'esterno per motivi di studio o di formazione professionale ai sensi dell'art. 18 ord. penit. (ipotesi di obiettivo quello di svuotare il più possibile le sezioni distaccate dei soggetti semiliberi e ammessi al lavoro esterno, che dimorano in una sezione-struttura distaccata apposita del carcere, che comporta ovviamente più contatti con l'esterno).

Se ricorrono, quindi, i requisiti di merito, che hanno giustificato la concessione del primo beneficio, i detenuti potranno usufruire di altri permessi premio, in deroga ai limiti temporali di cui ai co. 1 e 2 dell'art. 30-ter ord. penit., cioè di quei termini che riguardano sia il singolo permesso – non superiore a 15 giorni – sia la durata complessiva dei permessi in un anno, che non può essere superiore a 45 giorni.

Valgono le considerazioni sopra esposte per le licenze, in fatto di computo dei giorni calcolabili. Inoltre, si rileva, che per la materia dei permessi, per quanto il legislatore non abbia indicato il divieto di concessione per “gravi motivi”, valgono comunque i limiti di applicazione che hanno a che fare con la discrezionalità del magistrato di sorveglianza nella verifica della posizione dell'interessato (specie alla luce di informative o di relazione di sintesi intramurarie di aggiornamento, di segno negativo).

Il punto dolente, tuttavia, dell'intera disciplina – ancora una volta – la si riscontra nel divieto di concessione dei permessi premio più estesi agli autori di delitti c.d. ostativi, tra cui quelli identificati dal legislatore – in armonia con il d.l. n. 18/2020 – con gli artt. 572 e 612-bis c.p. e quelli poi inerenti all'art. 4-bis ord. penit. e, rispetto “ai delitti ai delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza e ai delitti di cui agli art.416-bis del codice penale, o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste”. La preclusione rispetto a tali delitti diventa assoluta “quando, in caso di cumulo, sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell'esecuzione la connessione ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. b) e c) c.p.p. tra i reati la cui pena è in esecuzione”.

Alla luce di tale inciso, ci si chiede quindi a chi possa applicarsi il regime di favore dei benefici penitenziari: i) sicuramente trova applicazione – tranne per valutazioni negative da parte del magistrato di sorveglianza sulla posizione singola – per tutti i detenuti c.d. comuni dal 29 ottobre fino al 31 dicembre 2020; ii) altrettanto sicuramente trova applicazione anche in caso di cumulo di pene concorrenti, tra delitti ostativi e non, con l'applicazione del criterio dello scioglimento del cumulo (di matrice giurisprudenziale, cristallizzato anche dalla Corte cost. n. 361/1994; 137/1999 e dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Ronga), con l'onere del magistrato di sorveglianza di verificare la parte di pena espiata e l'attribuibilità al delitto ostativo nel cumulo.

Non può trovare applicazione, stante la dicitura testuale, invece, per tutti quei condannati il cui cumulo delle pene abbia al suo interno anche dei delitti comuni, i quali siano stati qualificati e accertati – dal giudice della cognizione o in esecuzione dal magistrato di sorveglianza – come finalisticamente collegati ai delitti ostativi, ai sensi dell'art. 12, comma 1 lett. b) e c) del codice di procedura penale, ovverosia in tutti i casi di concorso formale o di continuazione, o di connessione teleologica tra reati. A ben vedere, come è già stato osservato dai primi commenti, propriamente l'unica ipotesi demandata anche all'accertamento del magistrato di sorveglianza – ai fini della concessione di benefici penitenziari, specie per autori di cui al comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit. – sarebbe quella del vincolo finalistico della continuazione, artt. 81, 671 c.p.p. (che può essere altresì accertata in sede di esecuzione). Vincolo finalistico che peraltro il magistrato di sorveglianza già di per sé esamina quando si trova ad operare lo scioglimento del cumulo per reati connessi al delitto ostativo per eccellenza del reato associativo (e dei reati commessi con il metodo mafioso). In questi casi, si impone, quindi, un esame dettagliato da parte del magistrato di sorveglianza della sentenza di condanna definitiva, nella ricerca degli elementi accertati già in sede di cognizione da cui desumere un vincolo finalistico tra i delitti commessi, tra quelli ostativi e non (in relazione quindi al vincolo finalistico dei reati connessi).

Dubbia è la questione dell'applicazione dei permessi estesi a chi ha già avuto un accertamento della collaborazione (art. 58-ter ord. penit.) o della collaborazione c.d. fittizia (art. 4-bis, co. 1-bis ord. penit.): pare assolutamente irragionevole escludere da tale novero di beneficiari tutti quegli autori che in sede di sorveglianza hanno affrontato un accertamento della collaborazione impossibile (specie con integrale accertamento dei fatti) in cui si è operato lo scioglimento del cumulo e si sono già svolte delle valutazioni sulle sentenze di condanna definitive. Nuovamente un passo indietro rispetto alle potenzialità del sistema, che, in questo caso, vanno oltre la sentenza della Corte cost. n. 253 del 2019, rendendo di fatto inutilizzabili risultati acquisiti dalla sorveglianza sulla collaborazione e sulla pericolosità sociale del condannato, a cui non viene riconosciuto il diritto di progressione, per il mancato accesso al beneficio.

Art. 30: la detenzione domiciliare

Con l'art. 30 del decreto legge n. 137 del 2020 rispunta l'esecuzione della pena presso il domicilio per i residui di pena fino a diciotto mesi (già prevista nell'art. 123 del decreto legge n. 18 del 2020), con la specifica che per le pene superiori a sei mesi tale misura occorre il c.d. braccialetto elettronico (si reperiranno in tempo?).

Più precisamente, in deroga a quanto previsto dalla legge n. 199/2010, fino al 31 dicembre 2020 e per tutti coloro che matureranno i presupposti per l'applicazione della misura entro tale termine, la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, sia eseguita, su istanza dell'interessato, presso l'abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, previa applicazione del c.d. braccialetto elettronico (salvo si tratti di minorenni o di condannati a pena da espiare inferiore a sei mesi), sempreché tuttavia il magistrato di sorveglianza non «ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura».

Numerose, anche qui, le ipotesi di sbarramento alla misura, tutte mutuate dal Cura Italia o che si tratti di condannati per particolari reati o di detenuti particolari, ossia:

a) condannati per reati ostativi di cui all'art. 4-bis ord. penit. o di cui agli artt. 572 e 612-bis c.p. Inoltre, il d.l. Ristori aggiunge che per alcuni reati già compresi nell'ombrello del 4-bis – ovvero per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, nonché per delitti di cui all'art. 416-bis c.p. ovvero commessi avvalendosi del c.d. metodo mafioso o per finalità mafiosa – «anche nel caso in cui i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti quando, in caso di cumulo, sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell'esecuzione la connessione ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale tra i reati la cui pena è in esecuzione» (sul mancato scioglimento del cumulo, vedasi § precedente).

b) delinquenti abituali, professionali o per tendenza;

c) detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare di cui all'art. 14-bis ord. penit.;

d) detenuti sanzionati nell'ultimo anno per infrazioni disciplinari;

e) detenuti nei cui confronti, successivamente all'entrata in vigore del decreto legge, sia redatto rapporto disciplinare;

f) detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.

Alla fine abbiamo una misura dal perimetro più ristretto della esecuzione domiciliare “ordinaria” ex legge 199/2010. Circa i rapporti dei due misure, pare ovvio che la quella prevista dall'art. 30 del d.l. Ristori non sostituisca temporaneamente la legge n. 199/2010, ma si “aggiunga” a essa, snellendola nella procedura che dovrebbe portare, vista l'urgenza di ridurre la popolazione carceraria.

È infatti previsto che la direzione dell'istituto penitenziario possa omettere la relazione sulla condotta tenuta dal condannato durante la detenzione, e trasmettere il verbale di accertamento dell'idoneità del domicilio, redatto in via prioritaria dalla polizia penitenziaria o, se il condannato è sottoposto ad un programma di recupero o intende sottoporsi ad esso, la documentazione di cui all'art. 94 del D.P.R. n. 309/90.

Per quanto concerne il braccialetto elettronico, si incrementa esiguamente il ventaglio temporale di un mese di residuo di pena (da sei a sette mesi) senza che siano necessario istallare il dispositivo elettronico di controllo: «nel caso in cui la pena residua non superi di trenta giorni la pena per la quale è imposta l'applicazione delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, questi non sono attivati».

Il comma 9 prevede, sulla falsariga dell'art. 123 comma 8-bis, introdotto in sede di conversione del decreto legge n. 18 del 2020, che questa forma particolare di detenzione domiciliare possa applicarsi ai detenuti che ne maturino i presupposti entro il 31 dicembre 2020, e dunque non ne è esclusa la concedibilità anche con istanze pervenute, o soltanto con istruttorie conclusesi, in data successiva.

In conclusione

I tanti lacci confezionati dal legislatore d'urgenza alla concessione delle misure necessarie (ancora largamente insufficienti) per alleggerire il cronico sovraffollamento carcerario nascono dal pericolo, vissuto ansiosamente dalla componente governativa, che il permesso premio e l'esecuzione domiciliare possano essere concessi a soggetti che “in passato” si siano macchiati di gravi reati e che quindi possano ricadervi, destando allarme sociale.

Per il legislatore d'urgenza il detenuto condannato per un reato 4-bis indossa l'abito del detenuto pericoloso per sempre, trasferendo tale status anche alle altre eventuali condanne per delitti non ostativi, in aperto contrasto con le elementari regole di ragionevolezza (rilevanti sotto il parametro costituzionale dell'art. 3) e del principio di rieducazione della pena in quanto il trascinamento degli ostacoli all'accesso di misure alternative per il detenuto non più pericoloso, anche dopo aver finito di espiare la pena per il delitto ostativo, non consentono al condannato di valorizzare i progressi del percorso rieducativo, sboccandolo, in aperto contrasto con l'art. 27, comma 3, Cost.

La logica, sbagliata, è sempre quella di chiudere nella cella e buttare la chiave e di associare al concetto di certezza della pena quello della sua immutabilità.

Il volto della pena dipinto dalla Costituzione è, invece, quello di una pena necessariamente “flessibile”, di un'esecuzione penale che non si volta indietro ma che guarda “avanti”, tentando di rieducare il condannato (proprio per evitare la ricaduta nel reato) valorizzando i risultati dei progressi compiuti. Anche a voler accettare l'idea di un doppio binario trattamentale, è il titolo esecutivo in atto a dettare la scelta del sentiero rieducativo da seguire. Ragionare diversamente – il detenuto che in passato abbia commesso delitti ostativi resta sempre pericoloso e non può accedere ai benefici penitenziari o vi può accedere molto difficilmente – significa iniettare al detenuto una pena con sterili speranze.

In assenza di un quadro normativo che consenta la rapida fuoriuscita dalle carceri di un cospicuo numero di detenuti, sarà nuovamente la magistratura di sorveglianza a dover creativamente trovare spazi per concedere misure alternative alla detenzione e ridurre in tempi brevissimi la densità penitenziaria. Anche perché la rapida diffusione del contagio da Coronavirus e la limitata durata temporale delle nuove disposizioni (fino al 31 dicembre 2020) non consente nemmeno di attendere eventuali correzioni da apportare in sede di conversione.

Guida all'approfondimento

De vito, Il vecchio carcere ai tempi del nuovo colera, in www.questionegiustizia.it;

Fiorentin, Decreto legge “Cura Italia”: le misure adottate dal Governo per affrontare l'emergenza COVID-19 in materia penitenziaria, in questa Rivista;

Gianfilippi, Decreto legge Ristori, le disposizioni emergenziali per contenere il rischio di diffusione dell'epidemia nel contesto penitenziario, in www.giustiziainsieme.it;

Gianfilippi, Le disposizioni emergenziali del DL 17 marzo 2020 n. 18 per contenere il rischio di diffusione dell'epidemia di COVID19 nel contesto penitenziario, in www.giustiziainsieme.it;

Manca, Covid-19 e carceri: un'emergenza al quadrato, umana e sanitaria, in questa Rivista;

Manca, Regime ostativo ai benefici penitenziari. Evoluzione del “doppio binario” e prassi applicative, Giuffrè, 2020;

Minnella, Coronavirus e carcere: ripercussioni in materia di accesso alle misure alternative, in questa Rivista;

Passione, “Cura Italia” e carcere: prime osservazioni sulle (poche) risposte all'emergenza, in www.questionegiustizia.it

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