Per la revoca dell'assegno divorzile occorre verificare in concreto l'attitudine dell'ex coniuge al lavoro

09 Novembre 2020

In merito alla revoca dell'assegno divorzile, rileva l'attitudine dell'ex coniuge al lavoro solo nel caso in cui si riscontri un' effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale.
Massima

In tema di diritto all'assegno divorzile, l'attitudine dell'ex coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata una effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già sulla base di mere valutazioni astratte e ipotetiche.

Il caso

Con la sentenza che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio il Tribunale di Chieti aveva riconosciuto alla moglie un assegno divorzile dell'importo di € 400,00. Dopo alcuni anni, il marito aveva chiesto – con ricorso per la modifica delle condizioni di divorzio – la revoca dell'assegno; il Tribunale aveva accolto la domanda; la donna aveva proposto reclamo e la Corte d'appello dell'Aquila aveva riformato la decisione impugnata rigettando la domanda del marito. Avverso tale decreto veniva proposto ricorso per cassazione denunciando la mancata valutazione, da parte della corte territoriale, che la condizione dell'onerato sarebbe stata aggravata dalla nascita di altri figli, che la moglie avrebbe avuto la possibilità di ricercare un lavoro, e che la stessa non avesse dimostrato di trovarsi nella materiale impossibilità di reperire un'occupazione. A parere del ricorrente l'assegno divorzile, in difetto di tali valutazioni, sarebbe diventato in concreto un inammissibile e ingiustificato “beneficio a vita”.

La questione

Come deve essere valutata l'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge richiedente l'assegno e la sua impossibilità a procurarseli, e quando è possibile chiedere la modifica delle condizioni stabilite con la sentenza di divorzio.

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza in commento i giudici di legittimità hanno precisato, preliminarmente, che il diritto alimentare del coniuge beneficiario non è recessivo rispetto a quello di nuovi figli, talché la nascita di un figlio, sebbene costituisca indubbiamente un fatto nuovo che incide sull'assetto precedente, non determina automaticamente la revoca dell'assegno divorzile.

La circostanza della nascita di nuovi figli, quindi, deve sì essere valutata, in sede di modifica delle condizioni - trattandosi di fatto nuovo sopravvenuto -, ma unitamente agli altri elementi che caratterizzano la fattispecie sottoposta all'esame del giudice. Sul punto è chiarissima Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 2017, n. 789, che, pur riferendosi alla modifica delle condizioni di separazione, ha affermato: «La formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite, in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico (…) È da escludere, però - in quanto non vi è alcun indice normativo che possa fondare una tale conclusione - che il diritto alimentare del coniuge separato sia recessivo rispetto a quello del nuovo figlio, come invece ritenuto dalla Corte distrettuale. Sicché anche in tale ipotesi dovrà valutarsi l'incidenza della circostanza sopravvenuta per verificare se sia in concreto giustificata, la revoca o la modifica delle condizioni già fissate» (dello stesso tenore, ex multis, Cass. civ. 12 luglio 2016, n. 14175; Cass. civ., 28 settembre 2015, n. 19194; Cass. civ., 11 aprile 2011, n. 8227; Cass. civ., 24 gennaio 2008, n. 1595; Cass. civ., 30 novembre 2007, n. 25010).

Fatta tale premessa, con riferimento alla lamentata mancata valutazione della possibilità della donna di trovare un'occupazione la suprema corte ha ribadito che l'attitudine dell'altro coniuge al lavoro può avere rilievo, ai fini dell'accoglimento della domanda di revoca dell'assegno, solo se si accerti che il beneficiario ha effettivamente e concretamente avuto la possibilità – sopravvenuta rispetto al tempo in cui fu assunta la decisione che si intende modificare – di svolgere un'attività lavorativa retribuita, tenendo conto dei fattori ambientali e individuali e non in forza di mere valutazioni astratte.

Giova ricordare a tale proposito che sin dalla nota sentenza delle sezioni unite Cass. n. 11490/1990, l'art. 5, comma 6, l. 1 dicembre 1970, n. 898 (che disciplina l'assegno divorzile) è stato interpretato affermando il carattere esclusivamente assistenziale dell'assegno, il cui presupposto è stato individuato nell'inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, da determinare in concreto tenendo conto dei criteri enunciati dalla legge stessa (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della decisione. Come è noto, tale interpretazione è rimasta invariata sino al 2017 quando, con la sentenza Cass. n. 11504/2017, pur muovendo dalla distinzione tra criterio attributivo e criterio determinativo, la Cassazione ha affermato che il parametro dell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno, quale "persona singola", sempre all'esito dell'accertamento della condizione di non autosufficienza economica, da determinare in base ai criteri indicati nella prima parte della norma.

Successivamente, con la pronuncia delle sezioni Unite, Cass. civ., sez. un., n. 18287/2018, si è precisato che l'accertamento relativo all'inadeguatezza dei mezzi o all'incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente è da collegare alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli concordati in costanza di matrimonio, tenuto conto della durata del medesimo ed all'età dell'istante.

In estrema sintesi, le S.U. hanno affermato i seguenti principi di diritto:

1) l'assegno divorzile ha sia natura assistenziale, sia natura perequativo - compensativa, che deriva direttamente dal principio costituzionale di solidarietà coniugale, e comporta il riconoscimento di un contributo che permetta al coniuge richiedente di conseguire non tanto l'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo altresì conto delle aspettative professionali sacrificate;

2) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi dell'assegno divorzile non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale di entrambi;

3) il riconoscimento dell'assegno di divorzio richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicando i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, che sono il parametro di riferimento per decidere sia sull'attribuzione sia sulla quantificazione del contributo; la decisione dovrà essere assunta all'esito di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, tenendo conto, ancora una volta, del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare, alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.

La pronuncia in esame si attiene puntualmente ai principi enunciati dalle sezioni unite - e già ribaditi non solo dalle corti di merito, ma anche da quella di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. I, 23 gennaio 2019, n. 1882; Cass. civ., sez. I, 23 aprile 2019, n. 11177), evidenziando che le censure sollevate dal ricorrente si sono limitate a una serie di generiche considerazioni sul valore dell'assegno divorzile – definito quale “beneficio a vita” - senza alcun riferimento a quanto concretamente accertato dai giudici di appello, che invece nella motivazione del decreto impugnato avevano dato atto del fatto che la donna si era attivata nella ricerca di un lavoro stabile, accettando impieghi a tempo determinato e partecipando a concorsi, e che pertanto la stessa si trovava in una condizione di oggettiva impossibilità di procurarsi adeguati mezzi di sostentamento.

Si segnala al riguardo che Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2020, n. 3661 sembrerebbe aver deciso in senso contrario, affermando che ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge assumono rilievo la capacità di quest'ultimo di procurarsi i propri mezzi di sostentamento e le sue «potenzialità professionali e reddituali piuttosto che le occasioni concretamente avute» valorizzando con una condotta attiva le potenzialità professionali e reddituali personali, non essendo tollerabile un contegno, «deresponsabilizzante e attendista di chi si limiti ad aspettare opportunità di lavoro riversando sul coniuge più abbiente l'esito della fine della vita matrimoniale». A ben vedere, però, un atteggiamento di assoluta inerzia, nonostante la sussistenza di adeguate capacità professionali, è cosa diversa dalla concreta impossibilità di reperire, in concreto, un'occupazione idonea.

In via incidentale, infine, la Corte ha rilevato che il ricorrente ha riconosciuto che la sua condizione di coniugato con altra donna e con figli fosse preesistente, e che difetterebbe quindi il requisito della sussistenza di circostanze nuove costituente il presupposto per l'introduzione di un giudizio di modifica delle condizioni di divorzio (o di separazione). La mancata allegazione di fatti sopravvenuti rispetto al momento in cui è stata emanata la decisione che si intende modificare, infatti, esclude di per sé l'accoglimento della domanda (Cass. civ.,sez. VI, 12 giugno 2016, n. 14175; Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2020, n. 1119, Cass. civ., sez. VI, 7 settembre 2020, n. 18528)

Osservazioni

Con la pronuncia in commento si conferma che la libertà di formare una nuova famiglia, dopo la separazione o il divorzio, è un diritto della persona costituzionalmente garantito, ma che ciò non significa che la formazione di un nuovo nucleo familiare comporti automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati precedentemente o il venir meno dell'onere di contribuire al mantenimento del coniuge separato o divorziato. La nascita di figli dal nuovo partner, però, deve essere valutata come circostanza sopravvenuta, che può – ma non necessariamente deve – portare alla modifica delle condizioni stabilite nella separazione, nel divorzio, o nel provvedimento del giudice relativo al mantenimento dei figli nati da un'unione di fatto, e all'esito di una valutazione quanto mai attenta alle peculiarità del caso concreto, che comporti l'esame complessivo di tutte le circostanze previste dalla legge.

In merito alla valutazione della condizione economica dell'altro coniuge, è interessante che la corte, per confermare ribadire i principi espressi dalle sezioni unite nel 2018, abbia richiamato anche pronunce precedenti (in particolare la Cass. n. 789/2017), ricordando che già prima dei noti interventi che hanno portato una revisione della costante interpretazione dell'art. 5, l. legge 898/1970 la giurisprudenza, non solo di merito, aveva evidenziato che non era corretto valutare in termini astratti la capacità lavorativa del coniuge economicamente più debole, ma che era necessario verificare in concreto che l'ex coniuge avesse avuto l'effettiva possibilità di collocarsi nel modo del lavoro, tenuto conto di ogni concreto fattore individuale e ambientale (Cass. civ. 4 dicembre 2017 n. 28938).

Sia pure in via incidentale, infine, la Corte ha confermato che ai fini dell'ammissibilità della domanda di revisione dell'assegno divorzile, ai sensi dell'art. 9, l. 898/1970, è necessario che siano sopravvenuti fatti nuovi, e quindi l'insorgenza di situazioni nuove rispetto a quelle tenute presenti dalle parti al momento della conclusione dell'accordo o valutate dal giudice al momento della decisione, mentre non può rilevare il mutato orientamento di natura e funzione dell'assegno divorzile, affermato dalla medesima Corte nella sua massima espressione nomofilattica, che non può costituire ex se giustificato motivo valutabile (in tal senso anche Cass. civ., sez. I 20 gennaio 2020, n. 1119, mentre in senso contrario si era espressa Cass. civ.,sez. I, 22 giugno 2017, n. 15481).

Guida all'approfondimento

P. Di Marzio, La revisione dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi e al divorzio – in La crisi delle relazioni familiari, collana Famiglia diretta da Annamaria Fasano e Alberto Figone – Vol. IV

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