Mantenimento del figlio maggiorenne: dal "diritto ad ogni possibile diritto" al principio di autoresponsabilità

10 Novembre 2020

L'ordinanza in commento si occupa della problematica relativa alla definizione dei confini del diritto al mantenimento della prole maggiorenne e dello speculare obbligo a carico del genitore...
Massima

L'obbligo di mantenimento legale della prole cessa con la maggiore età del figlio in concomitanza all'acquisto della capacità di agire e della libertà di autodeterminazione; in seguito ad essa, l'obbligo sussiste laddove stabilito dal giudice, ed è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro.

Raggiunta la maggiore età, infatti, si presume l'idoneità al reddito, che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore.

Il caso

Una madre ricorreva in Cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Firenze, in riforma della decisione del Tribunale di Grosseto, aveva revocato l'assegno di mantenimento per il figlio trentenne, insegnante precario con redditi modesti, sebbene significativi secondo i giudici d'appello, nonché l'assegnazione della casa familiare, essendosi oramai diradata la coabitazione del figlio con la madre a seguito del suo trasferimento in un'altra provincia per insegnare.

Secondo la corte territoriale l'obbligo di mantenimento cessa al raggiungimento della capacità di mantenersi, da ritenersi presunta oltre i trenta anni, età in cui una persona normale si presume sia autosufficiente anche sotto il profilo economico, salvo comprovati deficit. Per i giudici d'appello, inoltre, non vi è equivalenza tra la mancanza congiunturale del lavoro e l'incapacità di mantenersi, potendo la prima riferirsi anche a persone di età più elevata (come, nel caso di specie, il padre sessantenne che, dopo la chiusura del negozio di ferramenta, era stato costretto a tornare dall'anziana madre) senza che ciò determini la sopravvivenza dell'obbligo parentale di mantenimento.

Pertanto, secondo la sentenza impugnata, il figlio maggiorenne che da tempo ha concluso gli studi e lavora come insegnante precario è tenuto a trovare il modo di auto-mantenersi; ciò dipenderà dal suo impegno per incrementare le supplenze o integrare le proprie entrate con qualsivoglia opportunità di lavoro.

Innanzi ai giudici della Corte di Cassazione, la ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato che il figlio abbia conseguito redditi significativi, sebbene modesti, giacché il reddito annuo lordo di euro 20.973,22, menzionato nel provvedimento del giudice di prime cure, attiene alla media annua, non a quanto effettivamente percepito; sosteneva inoltre la ricorrente che il figlio, quale insegnante non abilitato e supplente occasionale, inserito nelle graduatorie di fascia III, per essere inserito nella graduatoria ai fini del conseguimento di una cattedra di insegnante, avrebbe dovuto frequentare un tirocinio formativo sostenendo un costo per la relativa tassa fino ad euro 3.600,00.

La stessa lamentava, infine, la violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 148, 315-bis, 337-sexies e 337- septies c.c., per non aver considerato la corte territoriale la condizione di precarietà lavorativa del figlio maggiorenne che aveva scelto la carriera dell'insegnamento. Non sarebbe stato provato, pertanto, secondo la ricorrente, il raggiungimento di una effettiva e stabile indipendenza economica, posto che l'impiego del figlio dovrebbe essere adeguato alla sua professionalità ed alle sue aspirazioni.

La questione

L'ordinanza in commento si occupa della problematica relativa alla definizione dei confini del diritto al mantenimento della prole maggiorenne e dello speculare obbligo a carico del genitore alla luce del principio di autoresponsabilità, e ne esamina le conseguenze in tema di onere probatorio.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione affronta la questione posta alla sua attenzione muovendo dall'analisi delle norme di diritto positivo, e, nella sua funzione di nomofilachia, detta alcuni parametri interpretativi di riferimento per il giudice del merito chiamato ad effettuare una valutazione fattuale in applicazione dell'art. 337-septiescomma 1 c.c.. Invero, secondo la Suprema Corte, il giudice dovrà valutare caso per caso le «circostanze» di cui all'art. 337-septies comma 1 c.c., che giustificano il permanere dell'obbligo genitoriale di mantenimento dei figli maggiorenni, conviventi o no con i genitori o con uno di essi (sul punto l'ordinanza in esame richiama: Cass. civ, 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. civ., 6 aprile 1993, n. 4108, in tema di assegnazione della casa coniugale per convivenza con i figli maggiorenni; nonché Cass. civ., 12 marzo 2018, n. 5883).

Precisano i giudici di legittimità che tale valutazione deve essere ancorata al percorso scolastico, universitario e post-universitario del soggetto, e alla situazione del mercato del lavoro nel settore prescelto (Cass. 26 gennaio 2011, n. 1830); deve essere condotta con rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all'età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo si protragga oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura (Cass. 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. 7 luglio 2004, n. 12477) risolvendosi in forme di parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani (Cass. 6 aprile 1993, n. 4108, Cass. 22 giugno 2016, n. 12952).

La Corte di Cassazione richiama altresì il nesso tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione. Più precisamente, secondo un orientamento giurisprudenziale, «il diritto del figlio si giustifica all'interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, tenendo conto (e, a norma dei novellati artt. 147 e 315 - bis comma 1 c.c., “nel rispetto…”) delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni». In conseguenza di ciò, «la funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a circoscrivere la portata dell'obbligo di mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società» (Cass. civ., 20 agosto 2014, n. 18076; Cass. civ. 22 giugno 2016, n. 12952).

I giudici di legittimità aggiungono inoltre che il matrimonio o la convivenza, essendo espressione di una raggiunta maturità affettiva e personale, escludono la sopravvivenza dell'obbligo di mantenimento (Cass. 26 gennaio 2011, n. 1830; Cass. 17 novembre 2006, n. 24498), e che nessun rilievo ha la situazione economico-patrimoniale del genitore, posto che il diritto ed il corrispondente obbligo si basano sulla situazione del figlio e non sulle capacità economiche dell'obbligato (Cass. 25 settembre 2017, n. 22314).

Tuttavia tale obbligo a carico del genitore, secondo la Suprema Corte, non può protrarsi sine die, giacché esso «non può essere correlato esclusivamente al mancato rinvenimento di un'occupazione del tutto coerente con il percorso di studi o di conseguimento di competenze professionali o tecniche prescelto» (Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12952).

Il provvedimento in esame, in proposito, sottolinea che integra un dovere del figlio la ricerca comunque dell'autosufficienza economica. Pertanto, in attesa di realizzare le sue aspirazioni, secondo i giudici di legittimità, il figlio ha il dovere di impegnarsi comunque nella ricerca di un lavoro, affinché possa assicurarsi un sostentamento autonomo.

La Corte di Cassazione individua inoltre l'età al raggiungimento della quale cessa l'obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, precisando che tale obbligo si estingue con l'acquisto della capacità di agire e della libertà di autodeterminazione, le quali, così come la capacità lavorativa, si conseguono al raggiungimento della maggiore età, quando si presume appunto raggiunta l'autonomia, salva la prova a carico del richiedente delle condizioni che giustificano, al contrario, il permanere di tale obbligo.

L'ordinanza pone in rilievo, dunque, i concetti del dovere e dell'autoresponsabilità e non solo quelli del «diritto ad ogni possibile diritto» e dell'assistenzialismo. Si tratta di concetti che, secondo i giudici di legittimità, si evincono anche dal recente orientamento giurisprudenziale in tema di diritto all'assegnazione della casa familiare (Cass. civ, 17 giugno 2019, n. 16134), questione, anche questa, posta all'attenzione della Suprema Corte. Tale orientamento, rispetto al passato, afferma con maggior rigore le condizioni in base alle quali sussiste il predetto diritto, ossia la regolarità e la frequenza del ritorno in una data frazione temporale; sicché, laddove il figlio, in una data unità temporale particolarmente estesa, risulti obiettivamente assente da casa, sebbene vi ritorni regolarmente non appena possibile, non può affermarsi la sua convivenza, poiché in tal caso il collegamento con l'abitazione sconfinerebbe nel mero rapporto di ospitalità.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Cassazione, ritenendo che il giudice d'appello non abbia violato i principi da essa dettati, rigetta il ricorso dichiarando l'infondatezza dei motivi proposti.

Osservazioni

Con l'ordinanza in commento la Suprema Corte torna ad occuparsi dei presupposti e dei limiti del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni: un tema vivacemente evolutosi in giurisprudenza, che dal provvedimento in esame viene trattato giungendo a conclusioni innovative rispetto ai precedenti indirizzi interpretativi, lasciando emergere un nuovo modo di intendere il rapporto tra genitori e figli in termini di diritti e di obblighi, il cui filo conduttore, in linea con il mutamento dei tempi, è il richiamo del figlio al dovere di autoresponsabilità che si contrappone ad un assistenzialismo incondizionato.

Un'analisi completa non può però prescindere dall'inquadramento normativo dell'istituto, il quale ha trovato una regolamentazione specifica nell'art. 155-quinquies c.c., disposizione dettata dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54. Tale norma, abrogata dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n, 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), è stata trasposta integralmente nell'art. 337-septiescomma 1 c.c., introdotto dal citato decreto, di cui la Corte di Cassazione offre un'attenta lettura nella pronuncia che si annota.

Il comma 1 dell'art. 337-septies c.c. testualmente recita: «il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto».

I giudici di legittimità si soffermano sugli elementi della norma suindicata. Uno è quello indeterminato, e rappresenta la precondizione del diritto all'assegno di mantenimento per il figlio e del corrispondente obbligo in capo al genitore, ossia la qualità dell'essere il figlio «non indipendente economicamente». Ora, mentre l'obbligo di mantenimento in capo al genitore sussiste indubbiamente nei confronti dei figli minori - insieme agli altri diritti-doveri verso la prole, cioè quelli di istruzione, educazione e assistenza morale, ai sensi degli artt. 147 e 315-bis c.c. - quanto ai figli maggiorenni, tale obbligo non è automatico, non dipende solo e semplicemente dalla mancanza di indipendenza economica. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il vero elemento discretivo dell'art. 337-septiescomma 1 c.c. si riferisce all'uso del verbo servile «può», che, escludendo appunto ogni automatismo, rimette al prudente apprezzamento del giudice, alla sua discrezionalità, la valutazione fattuale per riconoscere o meno l'assegno di mantenimento.

La norma in realtà non offre alcun riferimento temporale predeterminato al quale ancorare l'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne. Fino alla pronuncia in commento, invero, la giurisprudenza di legittimità era consolidata nel ritenere che l'obbligo del genitore al mantenimento della prole dovesse perdurare oltre la maggiore età, fino a quando il genitore non avesse provato il raggiungimento della indipendenza economica ovvero l'inerzia e la negligenza del figlio o il suo rifiuto ingiustificato di svolgimento di un'attività lavorativa (cfr. ex multis: Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2011, n.19589; Cass. civ.,sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1773; Cass. civ., sez. VI, 29 ottobre 2013, n. 24424; Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2013, n. 11020; Cass. civ.,sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858; Cass. civ., sez. VI, 15 luglio 2020, n. 21752).

La giurisprudenza di merito ha tentato di individuare un'età presuntiva della capacità di mantenersi (per la sentenza impugnata tale capacità si presume raggiunta oltre i trenta anni; cfr., inoltre, Trib. Milano, sez. IX civ., 29 marzo 2016, secondo cui, conformemente alle statistiche ufficiali, nazionali ed europee, superata la soglia dei 34 anni, lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non può più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento).

Orbene, l'ordinanza de qua ha una portata dirompente nel panorama giurisprudenziale. La Corte di Cassazione individua infatti nell'acquisto della capacità di agire e della capacità lavorativa, che si conseguono al raggiungimento della maggiore età, il momento in cui cessa l'obbligo genitoriale di mantenimento della prole.

La pronuncia riassume però alcune situazioni di tutela che giustificano, al contrario, il permanere di un obbligo di mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne non autosufficiente: una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, la prosecuzione degli studi ultraliceali in modo proficuo, da cui si desuma un iter ancora in corso di svolgimento finalizzato alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini, dimostrando effettivo impegno ed adeguati risultati; l'essere trascorso un lasso di tempo breve dopo il conseguimento del titolo di studio durante il quale il figlio si sia adoperato nella ricerca di un lavoro; la mancanza di un qualsiasi lavoro dopo avere effettuato tutti i tentativi di ricerca.

Orbene, stante la correlazione, secondo la pronuncia in commento, tra funzione educativo-formativa ed obbligo di mantenimento, tale obbligo non può che essere connesso alla «concreta condotta di impegno nella personale formazione, o, dove terminata, nella ricerca di un impiego».

Ciò che si chiede dunque al figlio, dopo avere efficacemente concluso il percorso di studi, è di attivarsi per cercare un'occupazione e rendersi economicamente autosufficiente, secondo il principio di autoresponsabilità, contemperando le ambizioni personali con le condizioni concrete del mercato del lavoro.

Tutto questo determina delle rilevanti conseguenze sul piano dell'onere probatorio, ed è questo l'aspetto più innovativo della pronuncia, la quale evidenzia che, con il raggiungimento della maggiore età, si verifica una presunzione di idoneità al reddito e, dunque, di autonomia. Tale presunzione può essere vinta dal figlio maggiorenne non autosufficiente dimostrando la sussistenza delle circostanze sopra richiamate, che giustificano, al contrario, il permanere del diritto di essere mantenuto.

L'ordinanza in esame sposta, dunque, l'onere della prova sul richiedente. Un'impostazione, quest'ultima, che si differenzia dagli indirizzi giurisprudenziali precedentemente citati, che gravano invece il genitore obbligato del peso di tale onere (tra le tante, recentemente: Cass. civ., sez. VI, 15 luglio 2020, n. 21752) sebbene moderato dalla possibilità di ricorso alle presunzioni (in proposito: Cass. civ., sez. VI, 5 marzo 2018, n. 5088).

L'orientamento espresso dalla pronuncia in commento, coerentemente con il principio generale di prossimità o vicinanza della prova, sembra voler contribuire ad arginare la problematica relativa alle concrete difficoltà esistenti in taluni casi per il genitore obbligato di dimostrare il conseguimento dell'autosufficienza economica da parte figlio, di dar prova della sua inerzia e della sua svogliatezza, del rifiuto ingiustificato di un'offerta di lavoro. Problematica, questa, oggetto di riflessione anche in dottrina, che ritiene ragionevole disporre, in specifiche ipotesi - quali il superamento dell'età mediamente necessaria per conseguire il titolo di studio e per inserirsi nel contesto lavorativo prescelto, la costituzione di un nuovo nucleo familiare, la procreazione - «l'inversione dell'onere della prova a sfavore dei figli stessi», giacché nelle suddette ipotesi si può ragionevolmente presumere che il figlio abbia conseguito un'autonomia economica (cfr. sul punto C. Magli, Sulla persistenza del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, in Famiglia e diritto, 2014, 3, 245-246).

L'onere della prova a carico del figlio viene graduato in relazione all'età: invero, secondo l'ordinanza in commento, la prova sarà tanto più lieve quanto più prossima sia l'età del richiedente a quella di un recente maggiorenne, e più gravosa man mano che l'età aumenti, «sino a configurare il “figlio adulto”, in ragione del principio di autoresponsabilità, con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate ed all'impegno profuso, nella ricerca, prima, di una sufficiente qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa».

In mancanza di prova delle condizioni che giustificano il permanere di un obbligo di mantenimento, il figlio non ne ha diritto e, come viene sottolineato dall'ordinanza che si annota, può essere contestato a lui stesso l'inadempimento dell'obbligo ex art. 315-bis, comma 4 c.c., di contribuzione ai bisogni della famiglia finché convive con essa.

È evidente che l'attuale indirizzo della Suprema Corte rappresenta l'espressione di una tendenza in linea con l'evoluzione dei tempi e con la necessità di dare un nuovo assetto ai rapporti familiari, atteso che il principio di autoresponsabilità è stato valorizzato anche in altre decisioni, quali quelle relative al rapporto tra i coniugi nell'ipotesi di rottura del vincolo matrimoniale, con riferimento all'assegno divorzile (l'ordinanza de qua richiama in proposito: Cass. 29 agosto 2017, n. 20525; Cass. 9 agosto 2019, n. 21228; nonché Cass. 30 agosto 2019, n. 21926).

Con riferimento al rapporto genitori-figli, nel coniugare la tutela del diritto al mantenimento con il dovere di autoresponsabilità, si coglie nella pronuncia in esame una inflessibilità nei confronti della prole indolente, la cui posizione non trova tutela qualora si traduca in condotte velleitarie e di abuso del diritto, che si risolvono in quelle forme di parassitismo dei figli ai danni dei genitori sempre più anziani, a cui fa riferimento la giurisprudenza.

L'atteggiamento protezionistico lascia spazio ad una posizione più pragmatica, dove il figlio adulto, sul quale grava l'onere di dimostrare di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, dovrà attivarsi per trovare un'occupazione, in una prospettiva che sia realistica, ridimensionando, se necessario, le proprie legittime aspirazioni quando le opportunità offerte dal mercato del lavoro non siano pienamente corrispondenti ai propri sogni.

Guida all'approfondimento

A. Liuzzi, Mantenimento dei figli maggiorenni, onere probatorio e limiti temporali, in Famiglia e diritto, 2005, 2, 139;

F. Esposito, Il mantenimento del figlio maggiorenne e la sua cessazione, in Sentenze commentate, 2016, 12, 1637;

F. Ruscello, Diritto di famiglia, Pisa, 2017;

M. S. Esposito, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne tra aspirazioni personali e colpevole inerzia, in Famiglia e diritto, 2017, 2, 135;

B. Toti, Oltre una certa età un figlio è ormai un adulto (Recenti orientamenti sul mantenimento del figlio maggiorenne), in Le nuove leggi civili commentate, 2019, 2, 374.

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