Così con sentenza 25310/20, depositata l'11 novembre.
La Corte d'Appello confermava l'ordinanza con cui il Tribunale aveva annullato il diniego del visto dell'ambasciata italiana a Islamabad per il ricongiungimento familiare dello straniero, già titolare di permesso per asilo politico, con il fratello minore, affidatogli tramite procura notarile della madre.
Nell'interesse di entrambi i Ministeri, dell'Interno e degli Esteri, che avevano proposto il gravame, l'Avvocatura dello Stato propone ricorso in Cassazione, denunciando la violazione degli artt. 9 l. n. 184/1983 e 29 del testo unico sull'immigrazione. Quest'ultimo, infatti, oltre a non ammettere i fratelli tra i familiari a cui è permesso il ricongiungimento, secondo l'Avvocatura non è neppure suscettibile di interpretazione estensiva.
Ritenuto il ricorso fondato, la Cassazione rileva il disposto dell'art. 29 del t.u. imm. secondo cui lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:
a) coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni;
b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;
c) figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale;
d) genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute.
La norma, al secondo comma, chiarisce anche che «i minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli».
Tanto premesso, la Suprema Corte ritiene che è proprio sul significato da attribuire all'espressione “affidati” che occorre porre l'attenzione.
Ebbene, con particolare riguardo alla "kafalah", la Cassazione ricorda che le Sezioni unite hanno affermato il principio per cui «non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario, affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di "kafalah" pronunciato dal giudice straniero, nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano, ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito».
Occorre, però, secondo la Corte «stabilire se il confine dell'interpretazione estensiva debba porsi in rapporto ai soli istituti pubblicistici (come la "kafalah" tradizionale), ovvero possa determinarsi anche oltre tali istituti, col fine di dare tutela a situazioni nelle quali l'interesse del minore al ricongiungimento sia stato tradotto in atti di affidamento puro e semplice a uno dei familiari maggiorenni».
Aspetto che, nonostante la sua rilevanza nel caso in esame, è stato tuttavia completamente trascurato dalla Corte territoriale, affermando erroneamente la non pertinenza dei riferimenti alla "kafalah"; «mentre invece essi ben afferivano, sebbene nell'ottica dell'interpretazione estensiva (in base ai principi giurisprudenziali appena richiamati) e del suo eventuale limite».
La Corte chiarisce poi che la valutazione circa la possibilità di consentire al minore l'ingresso in Italia e il ricongiungimento con l'affidatario non può essere esclusa in considerazione della natura e della finalità dell'istituto della "kafalah" negoziale, ma pur sempre deve essere effettuata caso per caso in considerazione del superiore interesse del minore. Criteri di giudizio quest'ultimi, di cui l'impugnata sentenza risulta deficitaria.
Fonte: dirittoegiustizia.it