Anche i revisori fra i possibili responsabili della bancarotta societaria

14 Ottobre 2020

La condotta dolosa dei revisori consistita nel non avere espresso giudizio negativo, o comunque non avere esplicitamente rilevato gravi falsificazioni dei bilanci nelle loro relazioni, condotta che avrebbe quanto meno comportato la obbligatoria attivazione, da parte se del caso degli organi di vigilanza e comunque del collegio sindacale, dei poteri impeditivi di cui all'art. 2406, comma 2, c.c. (convocazione dell'assemblea qualora vengano ravvisati fatti censurabili e di cui all'art. 2409, comma 7, c.c..; denuncia al Tribunale), può integrare condotta omissiva penalmente rilevante ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p. e quindi di concorso del reato ai sensi dell'art. 110 c.p. dei revisori con gli amministratori, per il reato di bancarotta societaria.
Massima

La condotta dolosa dei revisori consistita nel non avere espresso giudizio negativo, o comunque non avere esplicitamente rilevato gravi falsificazioni dei bilanci nelle loro relazioni, condotta che avrebbe quanto meno comportato la obbligatoria attivazione, da parte se del caso degli organi di vigilanza e comunque del collegio sindacale, dei poteri impeditivi di cui all'art. 2406, comma 2 c.c. (convocazione dell'assemblea qualora vengano ravvisati fatti censurabili e di cui all'art. 2409 comma 7; denuncia al Tribunale), può integrare condotta omissiva penalmente rilevante ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p. e quindi di concorso del reato ai sensi dell'art. 110 c.p. dei revisori con gli amministratori, per il reato di bancarotta societaria.

Il caso

Il pubblico ministero, nell'ambito di una complessa indagine su fatti di bancarotta fallimentare particolarmente gravi, contestava a soggetti che svolgevano la funzione di revisione legali nell'ambito della società fallita il reato di bancarotta fraudolenta. In particolare, ai revisori, in concorso con gli amministratori e sindaci della società – giudicati in altra sede - era contestata la fattispecie di bancarotta societaria di cui agli artt. 223, comma 2 n. 1, e 2621 c.c., perché, con l'intenzione di ingannare il pubblico ed i creditori, al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé e per altri, esponendo nei bilanci ordinari (e nel consolidato) relativi a diverse annualità fatti non corrispondenti al vero in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari della comunicazione sociale sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società presso la quale operavano, alterando in modo sensibile la rappresentazione economico - patrimoniale e finanziaria, col superamento delle soglie di rilevanza previste dalla legge, non adottando i provvedimenti di cui all'art. 2446 c.c., concorrevano a cagionare il dissesto della società, la quale, avendo in realtà prima ridotto il capitale sociale di oltre un terzo e poi azzerato completamente lo stesso - circostanze tutte occultate dalle false comunicazioni sociali che si sono susseguite dal 2005 alla data del fallimento -, continuava l'attività di impresa senza mezzi propri aggravando il dissesto.

La responsabilità dei revisori per concorso nella bancarotta fraudolenta impropria da false comunicazioni sociali era contestata dal pubblico ministero con la generale clausola dell'art. 110 c.p. e, in fatto, con il richiamo alla "qualità di revisore contabile" e la locuzione "se i revisori avessero svolto la loro funzione legale, avrebbero dovuto evidenziare nel conto economico la perdita di esercizio ... e nello stato patrimoniale la variazione del patrimonio netto" nei termini indicati nei capi di imputazione, uno per ogni annualità di bilancio. Non è stata contestata, invece, in quanto tale, la falsità ideologica delle relazioni dei revisori.

La questione

Come è noto, dopo le modifiche apportate alla governance societaria con la riforma dettata dal D.lgs. n. 6 del 2003, all'interno delle società commerciali hanno assunto un ruolo di particolare rilievo le figure del revisore legale dei conti e, in alternativa, le società di revisione legale, a cui - ai sensi del nuovo art. 2409-bis c.c. - è attribuito il controllo sulla contabilità dell'impresa.

Quanto ai rapporti fra il revisore dei conti ed il collegio sindacale, il legislatore ha introdotto una netta separazione fra i compiti – in precedenza facenti entrambi capo in via esclusiva al solo collegio sindacale - di controllo sull'amministrazione (cd. controllo di legalità) e di controllo contabile, il primo sempre attribuito ai sindaci, il secondo oggi di regola assegnato ad un revisore esterno, il quale per l'appunto, ai sensi dell'art. 2409-bis c.c., esercita la revisione legale dei conti sulla società (MONTALENTI, Corporate governance, sistema dei controlli interni e ruolo della Consob: da garante della trasparenza a presidio della correttezza della gestione?, in Riv. Soc., 2015, 120; STELLA RICHTER JR., La funzione di controllo del consiglio di amministrazione nelle società per azioni, ivi, 2012, 663; CAGNASSO, I controlli nelle s.r.l., in Giur. It., 2013, 2439; BALZOLA, I controlli interni nelle società per azioni quotate: il ruolo del collegio sindacale, ibidem, 2418; SQUAROTTI, Le funzioni del collegio sindacale”, ibidem, 2181; CAPRARA “Il collegio sindacale nella nuova disciplina della revisione legale, ibidem, 543).

Alla luce di questa ripartizione di compiti, dunque, al collegio sindacale compete, oltre che il già previsto controllo sull'osservanza della legge e dello statuto, la vigilanza sui principi di corretta amministrazione e sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, nonché sul suo effettivo e corretto funzionamento: l'organo societario in parola dunque deve sottoporre ad un attento vaglio la gestione sociale e le scelte operate in tale ambito dal Consiglio di Amministrazione onde valutare – sia pure senza giungere a formulare giudizi di merito sull'opportunità e sull'economicità di tale condotta - la correttezza e la prudenza gestionale dei titolari del potere gestorio e l'eventuale assunzione da parte loro di rischi ingiustificatamente superiori a quelli connaturati all'attività d'impresa esercitata. Sempre al collegio sindacale, inoltre, ancorché lo stesso non sia investito del controllo sul bilancio, spetta l'obbligo di vigilare sul funzionamento del sistema contabile e quindi sulla rispondenza dell'iter di redazione del documento finanziario riassuntivo alle regole di correttezza e congruità, facendo ricorso - secondo quanto si è innanzi precisato - al bagaglio di conoscenza di fatti ed informazioni che i sindaci hanno ricavato grazie al doveroso esercizio dei loro poteri di ispezione e di controllo, nonché partecipando alle riunioni degli organi sociali ed interloquendo anche con il revisore legale dei conti (per una valorizzazione dello scambio informativo fra revisione e collegio sindacale, MERUZZI, L'adeguatezza degli assetti, IRRERA (a cura di), Assetti adeguati e modelli organizzativi, Bologna, 2016, 76).

Quanto ai revisori, il loro ruolo ha assunto maggiore rilevanza dopo l'entrata in vigore del nuovo Codice della crisi, di cui al d.lgs. n. 14 del 2019, il cui art. 14 prevede che in capo a questi soggetti gravi un dovere di "vigilare sugli assetti aziendali", e un obbligo di segnalazione "diretta" all'esterno delle criticità riscontrate. Già con l'art. 14, lett. f), d.lgs. n. 139 del 2010 (modificato poi dal d.lgs. n. 135 del 2016) si prevedeva che il revisore nella propria relazione annuale di giudizio sul bilancio rendesse «una dichiarazione su eventuali incertezze significative relative a eventi o a circostanze che potrebbero sollevare dubbi significativi sulla capacità della società sottoposta a revisione di mantenere la continuità aziendale», ma era assente la previsione di poteri-doveri di reazione, salvo l'interlocuzione con l'organo di controllo ai sensi dell'art. 2409 septies c.c., per cui anche laddove il revisore nello svolgimento della propria attività avesse rilevato indizi circa il venir meno della continuità aziendale, rispetto ai quali l'organo gestorio restava inerte o non prestava rimedio, sarebbe stato comunque compito (dell'organo amministrativo, ovvero) dell'organo di controllo - sulla base delle informazioni ricevute dal revisore - attivare gli strumenti messi a disposizione del diritto societario.

Oggi, come detto, il quadro è cambiato, avendo il Codice della crisi esplicitamente introdotto - ad integrazione e completamento del dovere di vigilanza sugli assetti aziendali – un obbligo di segnalazione di eventuali carenze e criticità in funzione di una tempestiva rilevazione e segnalazione della crisi dell'impresa; trattasi di una previsione di significativo rilievo giacché non solo, come detto, esplicita chiaramente quali sono i doveri della revisione in tema di verifica degli adeguati assetti, ma l'esplicita attribuzione di doveri di segnalazione anche in capo al revisore consente di superare l'obiezione (MIOTTO. La funzione di revisione legale: intersezione fra disciplina dell'attività e dei soggetti, in Riv. soc., 2018, 518), spesso sollevata, della mancanza di poteri di reazione in capo a questo soggetto, soprattutto - ma non solo - nei casi in cui in azienda si riscontri la mancanza dell'organo sindacale. D'altronde, da un lato, specie nelle società a responsabilità limitata prive dell'organo di controllo interno, “l'attribuzione di un ruolo specifico di vigilanza del revisore rispetto all'adeguatezza degli assetti (soprattutto contabili) si rivela senz'altro utile dati i riflessi positivi che una "buona qualità" degli assetti contabili può avere sulla regolare tenuta della contabilità sociale, sulla corretta rilevazione delle scritture contabili e dei fatti di gestione e sulla conformità del bilancio alle scritture contabili” (BUTA, Gli obblighi di segnalazione dell'organo di controllo e del revisore nell'allerta sulla crisi d'impresa, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2019, 1177) e dall'altro, i revisori, considerata la nozione di crisi adottata dal legislatore con il d.lgs. n. 14 del 2019, ancorata ad indicatori provenienti dalla scienza aziendale, potrebbero essere in grado di rilevare segnali di crisi anche prima degli stessi amministratori (e dello stesso organo sindacale al quale non sia stata statutariamente affidata la revisione legale dei conti), anche facendo ricorso ai poteri previsti dall'art. 14, comma 6 , D.lgs. n. 39 del 2010, che attribuisce loro il diritto di ottenere dagli amministratori documenti e notizie utili e il potere di procedere ad accertamenti, controlli ed esami di atti e documentazione (IRRERA, I ruoli, in IRRERA (a cura di), Assetti adeguati e modelli organizzativi, Bologna, 2016, 247).

Le soluzioni giuridiche

Il tribunale di Milano ha giudicato colpevoli i due revisori, procedendo ad una attenta ricostruzione della loro posizione all'interno della società. In proposito, si evidenzia come nel caso di specie la formulazione dell'imputazione non conteneva alcun riferimento all'art. 40 cpv. c.p. e non richiamava specificamente l'ipotesi di concorso mediante dolosa omissione della condotta doverosa. Da ciò la conclusione secondo cui nel caso di specie doveva ritenersi contestata l'ipotesi generale di concorso di persone nel reato proprio, comprendente sia il concorso morale che una condotta commissiva, di vera e propria collusione con gli amministratori, che peraltro le indagini avrebbero dimostrato.

Una tale possibilità di entrambe le forme di concorso, omissivo e commissivo, nel reato proprio, da parte di soggetti rivestiti di posizione di garanzia, è stata affermata da tempo, in particolare, per i sindaci e gli amministratori non esecutivi, ma tale conclusione, secondo i giudici meneghini, vale anche per i revisori allorquando, ad es., abbiano svolto in concreto un'attività di consiglio, di suggerimento, di proposito o, in genere di compartecipazione nel reato degli amministratori. Proprio tale ipotesi sarebbe riscontrabile nel caso giudicato dal Tribunale di Milano, essendo provato il concorso morale e materiale attivo dei revisori nei progressivi aggiustamenti e falsificazioni dei bilanci della fallita, in inevitabile collusione con gli amministratori-clienti, proprio al fine di mascherare il dissesto nelle ipotesi di bancarotta societaria, se non anche le vere e proprie distrazioni: ancora, in altri termini, ai revisori non si contesta tanto una serie di relazioni false ma, piuttosto, un contributo concorsuale consistito nell'aver espresso un giudizio tale da «rinforzare» e «avallare» l'operato dei vertici dell'impresa.

Accanto a tali considerazioni, poi, il Tribunale di Milano evidenzia come in capo ai revisori – anche nel caso di specie – possa senz'altro configurarsi un'ipotesi di concorso omissivo, giacché in capo a costoro sussiste l'obbligo giuridico di impedire il verificarsi di un evento lesivo prodotto da altri, essendo gli stessi titolari di una generale posizione di garanzia in relazione all'impedimento dei reati societari, fallimentari e fiscali. Da un lato, vanno considerati i gravosi compiti istituzionali dei revisori legali e la tutela dell'interesse pubblico che permea la funzione degli stessi (l'attività di revisione contabile, infatti, costituisce l'insieme delle attività di controllo in ordine alla regolare tenuta della contabilità e, quindi, della veritiera e corretta redazione del bilancio d'esercizio) e dall'altro gli stessi sono titolari di effettivi poteri che possono, almeno astrattamente e secondo un modello di causalità generale, impedire, agendo su una o più fasi del processo di realizzazione del reato, il verificarsi dell' illecito da parte del soggetto sottoposto al controllo: si pensi, ad esempio, al giudizio che il revisore deve esprimere sulla correttezza del bilancio, con conseguente possibilità di arrestare programmi criminosi in itinere, o al previsto dialogo con gli amministratori della società e con gli altri organi sociali che i revisori devono instaurare per far rilevare i fatti censurabili e le criticità capaci di incidere sulla «regolare tenuta della contabilità sociale» e sulla «corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili» (art. 2409 ter c.c.), o infine alle potenzialità preventive delle doverose comunicazioni alle autorità di vigilanza quali Consob o Banca d'Italia.

A fronte di queste considerazioni, non rileva, per escludere la responsabilità dei revisori per i reati di bancarotta, la circostanza che gli stessi non sono ricompresi nell'organigramma societario, in quanto gli stessi comunque svolgono funzioni strategiche di controllo in condizioni di teorica indipendenza, conformemente alla nuova impostazione del diritto penale dell'economia che, nel suo complesso, cerca di dar vita ad un processo di privatizzazione dei controlli sui comportamenti «a rischio penale» dei cd. gatekeepers. Dunque, la condotta dolosa dei revisori e consistita nel non avere espresso giudizio negativo, o comunque non avere esplicitamente rilevato gravi falsificazioni dei bilanci nelle loro relazioni, condotta che avrebbe quanto meno comportato la obbligatoria attivazione, da parte se del caso degli organi di vigilanza e comunque del collegio sindacale, dei poteri impeditivi di cui all'art. 2406, comma 2, c.c., può integrare condotta omissiva penalmente rilevante ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p. e quindi di concorso del reato ai sensi dell'art. 110 c.p. dei revisori con gli amministratori, per il reato di bancarotta societaria.

Osservazioni

La sentenza del Tribunale di Milano coinvolge dunque anche i revisori negli illeciti di bancarotta. Il testo normativo e la ricostruzione dei poteri e dei doveri di questi soggetti sembrano in effetti imporre una conclusione di questo tipo, ma al contempo si pone il problema di come diversificare la posizione del revisore dei conti e del collegio sindacale, posto che la circostanza che il controllo contabile, con tutti gli strumenti, le competenze e gli oneri connessi, sia stato affidato al revisore esterno, che deve verificare la presenza in contabilità di irregolarità o il ricorso a censurabili tecniche di tenuta della stessa, non comporta l'esclusione tout court di una sfera di responsabilità dei componenti del collegio sindacale in relazione a quegli illeciti fallimentari che richiedano indefettibilmente per la loro commissione una alterazione dei dati di bilancio, in primo luogo, ovviamente, la bancarotta societaria conseguente a false comunicazioni sociali ex art. 223, comma 2 n. 1.

In proposito, può sicuramente ritenersi che nei casi in cui la persona giuridica abbia affidato il controllo sulla tenuta della contabilità ad un revisore dei conti, la relativa posizione di garanzia dei membri del collegio sindacale – ed il conseguente ambito di responsabilità per omesso impedimento dell'evento rappresentato dalla redazione di un bilancio falso – ha una portata meno ampia, posto che gran parte dei compiti e delle funzioni il cui esercizio è connesso alla suddetta funzione è, in tale ipotesi, attribuita al revisore, che quindi riveste una posizione assolutamente rilevante nell'ambito delle vicende che conducono all'adozione di un bilancio inveritiero (ed ai reati di bancarotta che ne conseguono).

Rimane invece il capo al collegio sindacale, ancorché non investito del controllo sul bilancio, l'obbligo di vigilare sul funzionamento del sistema contabile e quindi sulla rispondenza dell'iter di redazione del documento finanziario riassuntivo alle regole di correttezza e congruità, ma questa forma di controllo avrà connotati ben precisi, essendo la stessa necessariamente poco dettagliata e – soprattutto – residuale, nel senso che risulta necessariamente condizionata, nei suoi esiti finali, dalle risultanze della precedente attività di quanti (in particolare il dirigente preposto ed il revisore contabile) del controllo contabile vero e proprio sono incaricati, con tutti gli strumenti, le competenze e gli oneri connessi. Potrà pretendersi dai sindaci dunque di attivarsi solo in presenza di vicende in cui siano presenti significativi indici di «patologia societaria» (e non di mera irregolarità del bilancio e delle tecniche di redazione dello stesso, profili che sono di competenza del revisore esterno), quando cioè sia assolutamente palese che la condotta del management e dei suoi ausiliari contravviene le regole per una corretta gestione dell'impresa e del relativo patrimonio: si pensi, ad esempio, alla mancata iscrizione di eventi di rilevante importanza per le sorti delle società e di cui i sindaci, in virtù del loro controllo sulla gestione della stessa, sono a conoscenza (es., mancata indicazione in bilancio degli importi dovuti a titolo di sanzioni per violazioni tributarie) o di presenza, in contabilità, di voci chiaramente inattendibili (è il caso di iscrizione di un importo negativo relativamente alla voce “cassa”) o sospette (come quando in bilancio è presente un importo assai rilevante con riferimento alla voce “fatture da emettere”); di contro, è molto più difficile chiamare tali soggetti a rispondere del delitto di falso in bilancio quando la mendacità di tale comunicazione dipende dalla formulazione di stime o valutazioni o dall'analisi di singoli elementi che vanno a comporre le diverse voci di bilancio, si pensi, ad esempio, alle considerazioni inerenti l'esigibilità di un singolo credito o alla definizione dei valori inerenti le merci presenti in magazzino o i lavori in corso ecc. (TORRE, La responsabilità penale dell'organo di controllo sulla amministrazione e dell'organo di controllo contabile, in Giur. Comm., 2012, I, 564; INGRASSIA. La responsabilità penale dei controllori in ambito societario: la garantenstellung fondata sull'organisationspflicht?, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2011, 1183; FORMISANI, L'ampiezza dei doveri del revisore: quid iuris in caso di voci di bilancio fondate su stime?, in Giur. It., 2019, 11, 2436; DEZZANI, Il “revisore legale” è responsabile delle “falsità del bilancio”, non invece il collegio sindacale, in Fisco, 2018, 35, 3365. In senso parzialmente più severo rispetto a quanto previsto nel testo, Cass., sez. V, 26 febbraio 2020, n. 19091, secondo cui “nel reato di false comunicazioni sociali delle società quotate di cui all'art. 2622 c.c. la configurabilità del concorso omissivo da parte dei componenti del collegio sindacale non è esclusa dal fatto che, in esse, il controllo contabile sia attribuito a revisori esterni, residuando a carico dei sindaci l'obbligo di vigilare sulla rispondenza del bilancio ai fatti e alle informazioni di cui il collegio sindacale sia a conoscenza a seguito della partecipazione alle riunioni degli organi sociali o dell'esercizio dei suoi doveri di vigilanza e dei suoi poteri di ispezione e controllo”).

E' in quest'ottica, riteniamo, che vada letta – quanto meno con riferimento ai profili di rilievo penale - la lettera del citato art. 14 CCII, il quale, nel porre in capo al collegio sindacale, al revisore contabile ed alla società di revisione l'obbligo “di verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa è adeguato, se sussiste l'equilibrio economico finanziario e qual è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi”, precisa che a tale adempimento ciascuno dei predetti soggetti provvede “nell'ambito delle proprie funzioni”. La precisazione è ritenuta di difficile comprensione dalla dottrina civilistica, che parla in proposito di ovvietà, essendo scontato «che i titolari degli uffici di controllo eccetera sono obbligati in quanto svolgono le corrispondenti funzioni» (SPOLIDORO, Procedure d'allerta, poteri individuali degli amministratori non delegati e altre considerazioni sulla composizione anticipata della crisi, in Riv. soc., 2018, 172, nt. 3, che rileva la non chiara precisazione per cui ciascuno dei soggetti menzionati nella disposizione interviene «nell'ambito delle proprie funzioni»; né sarebbe utile - scrive - «per es. invitare il revisore a non invadere i compiti dei sindaci, visto che oggetto dell'obbligo è lo stesso per l'uno o per gli altri. Potrebbe essere, per quanto non paia verosimile, che il legislatore intendesse escludere la solidarietà nella responsabilità in applicazione del principio (ormai ritenuto generale) dettato in materia di responsabilità aquiliana dall'art. 2055!») ovvero suggerisce di intenderla nel senso che i revisori, diversamente dai sindaci, non sono tenuti a ricercare sistematicamente i gravi indizi di crisi o elementi che facciano dubitare dell'adeguatezza dell'assetto organizzativo, potendo invece limitarsi ad evidenziarli quando emergano incidentalmente nell'espletamento dei propri doveri (RUSSO, Collegio sindacale e prevenzione della crisi d'impresa, in Giur. comm., 2018, I, 129); la soluzione da noi proposta, invece, per quanto riferita esclusivamente all'ambito del diritto penale fallimentare, consente (ed impone) all'interprete di differenziare fra le posizioni del collegio sindacale ed il revisore esterno con riferimento all'impedimento di attività delinquenziali da parte degli amministratori dell'impresa, attribuendo, come detto, solo ai secondi il compito di un controllo analitico su ogni singola voce del bilancio.