Collazione e valore della donazione con riserva di usufrutto

Gabriele Mercanti
19 Novembre 2020

Qualora il donante abbia donato la nuda proprietà di un bene, riservandosi l'usufrutto per sè e per il coniuge, vita natural durante e con reciproco diritto di accrescimento...
Massima

Qualora il donante abbia donato la nuda proprietà di un bene, riservandosi l'usufrutto per sè e per il coniuge, vita natural durante e con reciproco diritto di accrescimento (c.d. usufrutto congiuntivo), se il coniuge sia morto prima dell'apertura della successione del donante, il bene donato è soggetto a collazione per imputazione secondo il valore della piena proprietà, mentre se il coniuge sopravviva al donante, il donatario sarà obbligato a conferire solo il valore della nuda proprietà al momento dell'apertura della successione.

Il caso

A seguito del decesso del genitore, venuto a mancare il 23 aprile 1980 senza aver lasciato disposizioni di ultima volontà con la conseguente apertura della di lui successione legittima, tra i coeredi si instaurava una comunione ereditaria, il cui scioglimento veniva chiesto da alcuni comunisti alla competente autorità giudiziaria; in seno al giudizio divisorio il Tribunale di Matera, con una prima Sentenza non definitiva, disponeva tra i coeredi l'assegnazione delle singole porzioni fatta avvertenza che nella formazione delle medesime, avendo il defunto effettuato donazioni in vita a favore di alcuni figli senza dispensa dalla collazione, il Giudice teneva conto della collazione per imputazione di quanto già rispettivamente ricevuto dai comunisti. In particolare, avendo il defunto effettuato delle donazioni con riserva di usufrutto non solo per sé ma anche a favore del coniuge ed essendogli quest'ultimo sopravvissuto (essendo, infatti, morto il 15 giugno 1990), il giudice di primo grado statuiva che ai fini della collazione i coeredi-donatari dovessero imputare non il valore della nuda proprietà bensì quello della piena proprietà. Avverso detta Sentenza parziale veniva promosso da tre fratelli avanti alla Corte d'Appello di Potenza appello fondato, in particolare per quanto attiene al presente commento, sull'asserita erronea quantificazione del valore dell'imputazione per collazione dato che il giudice di primo grado aveva tenuto presente il valore della piena proprietà anziché quello della nuda proprietà delle pregresse donazioni: tuttavia, il Collegio Potentino - aderendo, presumibilmente in modo acritico come si darà conto infra, alla giurisprudenza formatasi in tema di donazione con riserva di usufrutto - respingeva l'appello reputando corretta la metodologia dell'imputazione effettuata dalla Sentenza appellata.

A fronte di quanto sopra i tre fratelli ricorrevano in Cassazione denunciando, tra l'altro, la violazione degli artt. 737, 981, 1014 c.c. nonché degli artt. 20 e 23 del d.P.R., 26 ottobre 1972, n. 637 (all'epoca disciplinanti l'imposta di successione), in quanto l'imputazione del valore della piena proprietà in sede di collazione - adottata in primo grado e confermata in appello - sarebbe stata corretta in caso di donazione con riserva di usufrutto a favore del solo donante, ma non nel caso di specie in cui - invece - beneficiario dell'usufrutto era anche il di lui coniuge.

La questione

Il punto che il Supremo Collegio è stato, tra gli altri, chiamato a dirimere attiene alla corretta determinazione del valore del bene oggetto di donazione ai fini della collazione (per imputazione) allorquando l'atto ab origine contenesse una riserva di usufrutto, con conseguente attribuzione al donatario - quindi - della sola nuda proprietà: infatti, ai fini dell'adempimento dell'obbligo collatizio (che la collazione abbia natura obbligatoria e non reale, è principio consolidato in giurisprudenza, tra le tante: Cass., sez. II, 23 luglio 2019, n. 19833; Cass., sez. II, 30 gennaio 2019, n. 2700; Cass., Sez. II, 6 aprile 2018, n. 8510) occorre tenere conto sia dello scarno disposto dell'art. 747 c.c. (a mente del quale “la collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dell'immobile al tempo della aperta successione”) sia della fisiologica temporaneità del diritto di usufrutto che potrebbe in qualche modo creare una discrasia tra l'oggetto della donazione (che era la nuda proprietà) e quello esistente al momento dell'apertura della successione (che diventa, per il noto principio di elasticità del dominio, la piena proprietà).

Infine, giova precisare - a meri fini di completezza ricostruttiva della disamina processuale - che nella Sentenza in commento si parla promiscuamente di “riserva di usufrutto” e di “usufrutto congiuntivo” ancorchè le due nozioni non siano da un punto di vista strettamente contrattuale perfettamente sovrapponibili: infatti, nella prima fattispecie si ha una riserva a favore di un soggetto diverso dal donante che decorre a favore di quest'ultimo solo in caso di premorienza del donante stesso, mentre nella seconda l'acquisto del diritto a favore del riservatario è immediato pro quota, salvo espandersi per l'intero in caso di premorienza del donante-cousufruttuario. Tuttavia, tale diversa tecnicalità - che, peraltro, all'epoca dei fatti di causa era meno marcata di oggi stante la metodologia di compilazione delle note di trascrizione in campi “liberi” e non informatizzati come ai giorni nostri - non è tale da spostare i termini della questione, essendo rilevante in punto di diritto cosa accade allorquando vi sia la presenza di un usufrutto ultroneo a quello dell'ereditando ed a prescindere, quindi, dalla sua esatta genesi.

Le soluzioni giuridiche

Prima di entrare nel merito del thema decidendum è imprescindibile un inquadramento generale del tema della collazione per poi vagliare la tenuta dei principi regolatori della materia con la specificità della donazione della nuda proprietà che, in termini espliciti, non è affrontata dal Legislatore.

Secondo l'impostazione classica, scaturente anche dalla collocazione sistemica all'interno del capo II (della collazione) del Titolo IV (della divisione) del libro II (delle successioni) del c.c., la collazione consiste in una fase del procedimento divisionale, in quanto funzionalmente collegata alla formazione della massa dividenda (Cass. Sez. II, 21 maggio 2015, n. 10478; Cass., Sez. II, 12 maggio 1999, n. 4698; Cass., Sez. II, 1 febbraio 1995, n. 1159). In termini molto concisi, questo è il meccanismo funzionale: allorquando determinati soggetti (id est: figli, discendenti e coniuge del defunto) addivengono alla divisione della massa ereditaria, nella formazione dei lotti si deve tenere conto non solo dei beni relitti dal defunto, bensì anche di quelli che questi aveva donato - direttamente o indirettamente - in vita ai futuri condividenti, salvo che si via stata espressa dispensa da parte del de cuius (art. 737, comma 1, c.c.) o che sussista un'apposita esenzione prevista dalla Legge (artt. 738, 739, 742, 743, 744, 768-quater quarto comma c.c.). Un esempio numerico può aiutare a meglio capire il funzionamento del fenomeno collatizio. Un soggetto vedovo con tre figli (Tizio, Caio e Sempronio) lascia - senza aver fatto testamento - un patrimonio di euro 1.500.000, ma in vita aveva effettuato a favore del solo Tizio una donazione di un immobile per un valore di euro 300.000, donazione di per sé non lesiva della quota di legittima, in quanto - ex art. 537 comma 2, c.c. - ad ogni figlio competono come quota riservata euro 400.000 (cioè: 1.500.000 + 300.000= 1.800.000, i cui complessivi 2/3 pari ad euro 1.200.000 spettano ai tre figli). Ebbene, se non vi fosse l'istituto della collazione il patrimonio relitto spetterebbe in parti uguali (da euro 500.000 ciascuna) ai tre figli di modo che Tizio risulterebbe “avvantaggiato” per euro 300.000 rispetto ai fratelli; grazie all'obbligo collatizio, invece, la massa dividenda è idealmente di euro 1.800.000 con conseguente diritto all'ottenimento di una quota di euro 600.000 per ogni fratello. Quindi, tenuto conto che Tizio euro 300.000 li ha già ricevuti mediante la donazione a suo favore, si presentano due scenari: a) quale regola generale: dalla massa relitta di euro 1.500.000, Tizio avrà diritto ad ottenere una porzione non di euro 500.000 bensì di euro 300.000, mentre gli altri fratelli avranno diritto ad una porzione di euro 600.000 ciascuno; b) quale eccezione, nei soli casi in cui la Legge lo ammette (art. 746 c.c.): Tizio deve conferire nella massa relitta di euro 1.500.000 quanto da questi ricevuto per donazione pari ad euro 300.000, di modo che il quantum da dividere in parti uguali tra i tre fratelli ammonta ad euro 600.000 ciascuno.

L'esempio sopra riportato permette di comprendere il fondamento dell'istituto: nonostante il florilegio di ricostruzioni dottrinali, appare forse maggiormente convincente l'idea che la donazione sia stata valutata dal Legislatore come una sorta di “anticipo” sulla futura successione di modo che in sede di scioglimento della massa ereditaria se ne debba ineluttabilmente tenere conto (Cass., Sez. II, 27 gennaio 1995, n. 989; Trib. Salerno, 8 maggio 2008). Ciò premesso e concentrandosi sull'ipotesi legale ed oggetto della vertenza in commento della collazione per imputazione, deve precisarsi che il legislatore ha stabilito tanto per gli immobili (art. 747) quanto per i mobili (artt. 750 e 751 c.c.) che il momento di riferimento per la quantificazione del valore del bene sia quello dell'apertura della successione. Come intuibile detta scelta legislativa potrebbe presentare un duplice livello di anomalia e precisamente:

- Cosa accade nel caso in cui tra il momento della donazione e quello dell'apertura della successione il valore del bene (donato) aumenti o diminuisca? Da questo punto di vista l'art. 748 c.c. sancisce, ancorchè per il solo caso della donazione immobiliare, che il donatario che abbia migliorato il bene abbia diritto a vedere dedotto a suo favore l'effetto dell'incremento patrimoniale, mentre che ne debba rispondere ove lo abbia deteriorato (Cass., Sez. II, 6 ottobre 2016, n. 20041);

- Cosa accade nel caso in cui tra il momento dell'apertura della successione e quello dell'effettiva divisione il valore del bene (donato) aumenti o diminuisca? La Legge tace sul punto di modo che, reputando tali oscillazioni irrilevanti, la giurisprudenza afferma che tassativamente la quantificazione del valore del bene debba essere effettuata al momento dell'apertura della successione (tra le più recenti: Cass., Sez. II, 17 aprile 2019, n. 10756; Cass., Sez. VI, 12 aprile 2018, n. 9177; Cass., Sez. II, 5 settembre 2016, n. 17576; Cass. civ. Sez. II, 25 settembre 2014, n. 20258).

Tornando al tema oggetto dell'appello e del conseguente ricorso per Cassazione, tanto il Tribunale di Matera quanto la Corte d'Appello di Potenza hanno aderito all'impostazione della giurisprudenza in base al quale in caso di donazione con riserva di usufrutto si debba tener conto del valore della piena proprietà (Cass., Sez. II, 16 dicembre 2010, n. 25473; giova, però, segnalare - stante la notoria osmosi interpretativa tra la due figure - l'analoga giurisprudenza formatasi in tema di imputazione ex se, Cass., sez. II, 19 luglio 2016, n. 14747; Cass., sez. II, 24 luglio 2008, n. 20387; Trib. Genova, 5 gennaio 2007; Trib. Trapani, 5 maggio 2006; Trib. Napoli, 29 marzo 2000). Detto orientamento si fonda, principalmente, su due argomentazioni: da un punto di vista tecnico, essendo la collazione - come già detto sopra - una fase del procedimento divisorio e costituendo la morte dell'usufrutto causa automatica di estinzione del diritto vitalizio, i valori in gioco non possono che essere quelli calcolati al momento dell'apertura della successione dato che è in quell'istante logico che viene a nascere la comunione ereditaria; da un punto di vista equitativo, se così non fosse (e cioè se si potesse imputare il valore inferiore della sola nuda proprietà) il donatario ne trarrebbe un ingiusto vantaggio, in quanto non imputerebbe alla massa l'importo corrispondente alla differenza tra il valore della nuda proprietà e quello della piena proprietà del bene. Ancora una volta un esempio numerico, in variante rispetto a quello già sopra esposto, può essere d'ausilio. Un soggetto vedovo con tre figli (Tizio, Caio e Sempronio) lascia - senza aver fatto testamento - un patrimonio di euro 1.500.000, ma in vita aveva effettuato a favore del solo Tizio una donazione immobiliare della nuda proprietà, essendosi riservato il donante l'usufrutto vitalizio, per un valore che all'apertura della successione ammonta ad euro 200.000 quanto alla nuda proprietà e ad euro 300.000 quanto alla piena proprietà del cespite. Ebbene, consentire a Tizio - ormai divenuto proprietario, per effetto della consolidazione della nuda proprietà con l'usufrutto dovuta alla morte del donante, di un bene del valore di euro 300.000 - di imputare il solo valore di euro 200.000, determinerebbe un'evidente stortura: la funzione di “anticipo”, di cui si è detto, della donazione rispetto ai conteggi successori verrebbe del tutto vanificata, dato che Tizio “decurterebbe” dalla sua quota un valore inferiore (euro 200.000) rispetto a quello realmente percepito (euro 300.000).

Se l'orientamento giurisprudenziale sopra esposto appare cristallino, gli Ermellini rilevano - tuttavia - come la Corte d'Appello non abbia colto “che il principio si riferisce all'ipotesi di usufrutto in favore del solo donante ( … omissis …) mentre nel caso in esame si trattava di usufrutto congiuntivo in favore del donante e del coniuge, che era sopravvissuto al donante”. In sostanza, il principio giuridico dell'unanime giurisprudenza - seppur ineccepibile - non era stato sufficientemente metabolizzato, in quanto dai giudici di merito non era stata adeguatamente valutato l'assetto concreto dei diritti in gioco. Pertanto, continua la S.C. asserendo quanto segue: “il principio di giurisprudenza richiamato dalla corte di merito va perciò applicato in conformità alla sua ratio: ai fini della collazione per imputazione, poichè il conferimento deve avvenire secondo il valore del bene donato all'apertura della successione (art. 746 c.c.), si deve considerare la condizione giuridica del bene in quel momento”. Fatale meta di detto percorso è che “in ipotesi di donazione di immobile con riserva di usufrutto congiuntivo, se alla morte del donante sia ancora in vita uno degli altri usufruttuari, il bene è soggetto a collazione per imputazione per il valore della nuda proprietà”.

Osservazioni

La pronuncia in commento detta un punto fermo che nell'ottica dell'organizzazione del nostro impianto successorio appare, a parere di chi scrive, corretto: infatti, se il valore dell'immobile ai fini dell'imputazione deve essere quello all'apertura della successione (art. 747 c.c.), non può in alcun modo ignorarsi - come, invece, è avvenuto nella vertenza in commento - la permanenza di un diritto reale parziario gravante il bene caduto in successione né l'orientamento giurisprudenziale del quale si è dato conto può avallare un simile corto circuito logico. Naturalmente, anche se la pronuncia in commento - stante la sua stringatezza - nulla afferma al proposito, il valore dell'usufrutto da decurtare ai fini della quantificazione dell'imputazione non deve essere parametrato alla vita del donante, essendo detto diritto ormai irrevocabilmente estintosi con la morte del suo titolare, bensì a quello del riservatario ancora in vita: ciò appare coerente conclusione con l'assunto del Collegio in forza del quale, essendo momento discriminante quello di apertura della successione “si deve considerare la condizione giuridica del bene in quel momento” ed ivi si è inequivocabilmente in presenza di una nuda proprietà gravata dal diritto di usufrutto di un soggetto diverso dall'originario donante.

Riferimenti

U. Carnevali, Questioni in tema di valutazione dell'arricchimento del coerede donatario tenuto a collazione, in Famiglia e diritto, 2017, 12, 1153;

G. Casarotto, Scelta e assenza di scelta da parte del collazionante: una rilettura storico-funzionale dell'art. 746 c.c., in Riv. dir. civ., 2017, 3, 743;

I. Riva, Sulla possibile coesistenza tra collazione e azione di riduzione, in Giur. it., 2016, 5, 1094;

A. Sartor, I problematici rapporti tra collazione e tutela della legittima, in Corr. giur., 2017, 1, 39;

R. Ummarino, Azione di riduzione e collazione. La disciplina della donazione in conto di legittima, in Notariato, 2018, 1, 62.

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