Il giudice del luogo di residenza abituale del minore è competente a decidere sulla modifica delle condizioni di divorzio per il suo affidamento e mantenimento

Caterina Costabile
24 Novembre 2020

La questione esaminata dalla Cassazione afferisce alla individuazione del giudice territorialmente competente a decidere sulla domanda di revisione delle condizioni di affidamento e mantenimento dei figli minori a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Massima

Il giudice competente a decidere sulla domanda di revisione delle condizioni di affidamento e mantenimento dei figli minori a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio, è quello del luogo di residenza abituale dei minori. La l. n. 898/1970 non contiene un indicatore esplicito ma il principio espresso dall'art. 709-ter c.p.c., alla luce dell'ampio quadro di fonti delineato e in sintonia con il preminente interesse del minore, deve ritenersi esteso anche alle determinazioni sui figli minori conseguenti il divorzio, essendo identico l'oggetto delle controversie ex art. 709-ter c.p.c. e quelle riguardanti la modifica delle determinazioni relative all'affidamento e mantenimento minori, in quanto entrambe relative alla regolazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale.

Il caso

Il Tribunale di Alfa ha declinato la propria competenza in relazione alla causa avente ad oggetto la revisione delle condizioni relative all'affidamento e mantenimento dei figli minori, contenute nella pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio intercorso tra Tizia e Caio, ritenendo la competenza del Tribunale di Beta ove era stato pronunciato il divorzio e l'obbligazione messa in discussione era sorta.

Tizia ha proposto ricorso per regolamento di competenza indicando in Alfa il foro competente in quanto luogo di residenza abituale dei minori.

La questione

La questione esaminata dalla Cassazione afferisce alla individuazione del giudice territorialmente competente a decidere sulla domanda di revisione delle condizioni di affidamento e mantenimento dei figli minori a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità hanno ritenuto che il giudice competente a decidere sulla modifica delle condizioni di divorzio relative all'affidamento e mantenimento del minore è quello della sua residenza abituale, evidenziando che trattasi di impostazione fondata sulle regole del diritto comunitario (Reg. CE n. 2201 del 2003), del diritto internazionale convenzionale e ribadite nel nostro ordinamento positivo con l'art. 709-ter c.p.c. in tema di conseguenze dell'inadempimento degli obblighi relative all'esercizio della responsabilità genitoriale.

La S.C. evidenzia in particolare che, seppure la l. n. 898/1970 non contiene un indicatore esplicito sul punto, il principio espresso dal citato art. 709-ter c.p.c., alla luce dell'ampio quadro di fonti delineato e in sintonia con il preminente interesse del minore, deve ritenersi esteso anche alle determinazioni sui figli minori conseguenti il divorzio, essendo identico l'oggetto delle controversie ex art. 703- ter c.p.c. e quelle riguardanti la modifica delle determinazioni relative all'affidamento e mantenimento minori, in quanto entrambe relative alla regolazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale.

Viene, altresì, chiarito che non incide sul principio affermato il disposto dell'art. 12-quater, l. n. 898 /1970 che si limita ad introdurre un foro concorrente (quello del luogo in cui deve essere eseguita l'obbligazione), ma non esclude l'applicazione di quello della residenza abituale dei minori.

La Corte, inoltre, si è espressamente discostata da un proprio precedente del 2013 in cui era stata affermata la competenza territoriale del giudice del luogo in cui è sorta l'obbligazione a conoscere dei procedimenti di revisione delle disposizioni economiche contenute nella sentenza di divorzio, in applicazione dei criteri ordinari di competenza per territorio stabiliti dagli articoli da 18 a 20 c.p.c. e non del disposto dell'art. 709-ter, ultimo comma, c.p.c. (Cass. civ. sez. VI, 02 aprile 2013, n. 8016).

La scelta degli ermellini viene motivata dalla circostanza che in tale pronuncia non si era potuto tenere conto (perchè ratione temporis non ancora applicabile) del nuovo regime giuridico derivante dalla riforma della filiazione introdotta dalla l. n. 219/2012 e dal d.lgs. n. 154/2013, tutto rivolto ad eliminare ogni ingiustificata disparità di trattamento sostanziale e processuale nel sistema di protezione giuridica dei minori ed in particolare in ordine alla titolarità ed esercizio della responsabilità genitoriale.

Osservazioni

La sentenza in commento conferma il principio che giudice del minore sia quello c.d. di prossimità ovvero dal giudice più vicino al luogo di residenza effettiva dello stesso, e ciò in applicazione del principio del best interest of the child ad oggi principio sistematico organizzatore del diritto di famiglia.

Il concetto di residenza abituale del minore non è specificatamente definito nella normativa ed è stato riempito di contenuto dalla giurisprudenza.

La nozione di residenza abituale non coincide con il domicilio (art. 45 c.c.) o la residenza scelta d'accordo tra i coniugi (art. 144 c.c.), né con la «prevalente localizzazione della vita matrimoniale» (art. 31, l. n. 218/1995) criterio di collegamento per individuare la legge applicabile alla separazione e al divorzio.

Secondo la consolidata giurisprudenza della S.C., la residenza abituale va individuata nel luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, ma anche scolastici, amicali ed altro, derivanti dallo svolgersi della sua quotidiana vita di relazione (cfr. Cass. civ., sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1527; Cass. civ., S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238).

Occorre avere riguardo non solo alle risultanze anagrafiche, ma al modus vivendi del minore, al suo effettivo radicamento in un ambiente di vita, caratterizzato da relazioni, abitudini, interessi, quotidianità, alla condizione di stabilità complessiva, all'effettivo inserimento nel contesto sociale in cui si sviluppa la sua personalità, essendo il luogo in cui risiede elemento centrale della vita (cfr. Cass. civ., S.U., 10 febbraio 2017 n. 3555; Cass. civ., S.U., 18 marzo 2016, n. 5418).

Nei casi di recente trasferimento, il giudice è pertanto chiamato ad effettuare una prognosi sulla probabilità che la nuova dimora diventi l'effettivo, stabile e duraturo centro di affetti e di interessi del minore e che il cambiamento della sede non rappresenti un mero espediente per sottrarlo alla vicinanza dell'altro genitore o alla disciplina generale sulla competenza territoriale (cfr. Cass. civ., sez. VI, 15 novembre 2017, n. 27153; nel caso di specie, la Corte aveva escluso che la minore, di pochi mesi, avesse consolidato una rete di affetti nella città in cui aveva vissuto con la madre dalla nascita ed aveva dichiarato la competenza territoriale del tribunale della città in cui si trovava la nuova sede lavorativa della madre e dove quest'ultima aveva iscritto la figlia in un asilo, così dimostrando la chiara intenzione di un definitivo trasferimento suo e della minore).

Invero, nella individuazione in concreto del luogo di abituale dimora non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza e dalla maggiore durata del soggiorno in altra città, essendo, invece, necessaria una prognosi sulla probabilità che la "nuova" dimora diventi l'effettivo e stabile centro d'interessi del minore, ovvero resti su un piano di verosimile precarietà o sia un mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale (Cass. civ., sez. VI, 31 ottobre 2018, n.27741; Cass. civ., sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 21285; Cass. civ., sez. I, 04 dicembre 2012, n. 21750).

La residenza abituale del minore va inoltre valutata così come sussistente al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio alla luce del disposto dell'art. 5 c.p.c. (cfr. in arg. Cass. civ., Sez. Un., 11 giugno 2019, n. 15728).

Anche l'art. 8 del Reg. CE n. 2201/2003 (cd. Bruxell II bis) attribuisce la competenza giurisdizionale generale, per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, alle autorità dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente al momento della proposizione della domanda.

La Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE, sez. III, procedimento C- 523/07, 2 aprile 2009) ha affermato l'autonomia e l'indipendenza della nozione di residenza abituale nel Regolamento, rispetto al diritto nazionale degli Stati e che essa deve essere determinata «sulla base delle peculiari circostanze di fatto che caratterizzano ogni caso di specie» e, in particolare, con riguardo, oltre alla presenza fisica del minore, ad «altri fattori idonei a dimostrare che tale presenza non è in alcun modo temporanea od occasionale e che la residenza, del minore denota una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare», tenendo conto «della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato, del trasloco della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e sociali, delle intenzioni e volontà dei genitori». Principi questi ribaditi nelle successive pronunce (cfr. ex multis Corte giustizia UE, sez. V, 28 giugno 2018, n. 512).

Riferimenti

Cecatiello, Residenza abituale del minore e giurisdizione del giudice straniero, in IlFamiliarista.it., 7 gennaio 2020;

Conti, La residenza abituale del minore ed il principio di perpetuatio iurisdictionis nella determinazione della giurisdizione, in Ilprocessocivile.it., 9 ottobre 2019;

Paleari, I minori nella competenza giurisdizionale dei Regolamenti CE, in Diritto & Giustizia, fasc. 184, 2017, pag. 4 ss.;