Decreto ‘antiscarcerazioni': per la Consulta rispettati gli standard di tutela del diritto di salute e di difesa del detenuto
25 Novembre 2020
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 5 del decreto legge 10 maggio 2020, n. 29, così come trasfusi nell'art. 2-bis del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, sollevate con riferimento alla ritenuta violazione del diritto di difesa, di quello di salute del detenuto e delle parità delle armi tra accusa e difesa, oltre che della separazione dei poteri.
Sembra chiudersi l'annosa quaestio sulla costante rivalutazione delle scarcerazioni (con conseguente differimento della pena o sottoposizione della detenzione domiciliare umanitaria o in surroga) di alcune categorie di detenuti ritenuti particolarmente pericolosi (criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti, detenuti o internati sottoposto al 41-bis) legate al COVID-19 quale quid pluris che fa tracimare le condizioni di salute del detenuto in situazione di incompatibilità con lo status detentionis.
È noto come, dopo i primi dubbi di costituzionalità sull'art. 2 del d.l. n. 29/2020, sollevati dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto il 26 maggio 2020 (v. Alla Consulta il neo decreto sulla costante rivalutazione delle scarcerazioni legate al COVID-19: violato il diritto di difesa (e non solo)), la Corte costituzionale con ordinanza n. 185 depositata il 30 luglio 2020, aveva restituito gli atti al giudice a quo alla luce del mutato quadro normativo determinatosi per effetto dello ius superveniens di cui alla legge n. 70/2020 (v. Costante rivalutazione delle scarcerazioni legate al covid-19: la Consulta restituisce gli atti al giudice a quo).
Le lamentate deviazioni dai binari costituzionali: diritto di salute e umanità della pena. Alcuni giudici remittenti (Trib. Sorv. Sassari, 9 giugno 2020) dubitano della compatibilità della disciplina censurata con gli artt. 32 e 27, comma 3, Cost., proprio in quanto il regime di frequenti rivalutazioni sostanzierebbe di per sé una «ipotutela del diritto alla salute»: in una situazione di costante sottoposizione a giudizio è difficile ipotizzare che possa essere realmente garantita la continuità delle cure, nonché la progettazione e la realizzazione di quel percorso diagnostico-terapeutico non effettuabile in ambito intramurario e per il quale il detenuto è stato ammesso alla detenzione domiciliare. E ciò tanto più in relazione alla già segnalata assenza, nella disciplina censurata, di ogni riferimento alla necessità di una verifica delle condizioni di salute del detenuto malato.
Segue: b) perimetro soggettivo irragionevole. Per i giudici a quo, la disciplina censurata risulterebbe incompatibile con l'art. 3 Cost., in relazione alla sua applicabilità soltanto a specifiche categorie di detenuti, sulla base di una presunzione di pericolosità correlata esclusivamente al titolo del reato e al regime detentivo; ciò che non sarebbe consentito rispetto a misure finalizzate non già alla individualizzazione della pena e del trattamento penitenziario, ma alla tutela del diritto alla salute e all'umanità della pena, tutela che non tollera, a parere del giudice a quo, alcun automatismo, come dimostrerebbe in via generale l'esclusione dalle preclusioni di cui all'art. 4-bis ordin. penit. di tutte le misure finalizzate a tale scopo.
Segue c): lesione del diritto di difesa... I Magistrati di sorveglianza di Spoleto e di Avellino (ordinanze del 26 maggio e 3 giugno 2020) hanno ritenuto che la procedura di monitoraggio introdotta dalla decretazione d'urgenza violi l'art. 24 Cost. perché si svolge senza adeguato coinvolgimento della difesa e senza il necessario contraddittorio delle parti in condizioni di parità. Risultano assenti spazi difensivi legati alla mancata informazione dell'apertura del procedimento di revoca della misura alternativa e alla mancata visione degli atti, non conoscendo la posizione del proprio contraddittore, restando all'oscuro degli elementi essenziali acquisiti mediante l'istruttoria.
… anche dopo le modifiche in sede di conversione. Dubbi di costituzionalità che per l'Ufficio di sorveglianza di Spoleto restano intatti anche dopo la legge di conversione n. 70 del 2020, tant'è che viene rimessa nuovamente la questione alla Consulta, dopo la restituzione di quest'ultima (n. 185 del 2020), con nuova ordinanza del 18 agosto 2020 (v. Costante rivalutazione delle scarcerazioni legate al COVID-19: la questione torna alla Consulta). Per il remittente le modifiche in sede di conversione hanno lasciato immutata la procedura dinanzi al magistrato di sorveglianza, non avendo il legislatore tenuto conto degli emendamenti indirizzati ad incidere sul contraddittorio nel corso della valutazione monocratica. Continuerebbe così a persistere l'assenza irragionevole di qualsiasi coinvolgimento della difesa dell'interessato. Oltre a non essere previsto che sia comunicato alla parte l'instaurazione del procedimento, si dubita della stessa possibilità per il condannato di produrre memorie e documentazione, che sarebbero comunque memorie ‘alla cieca' in quando è all'oscuro degli elementi essenziali acquisiti in sede di istruttoria. Ciò a differenza dell'accusa – in violazione della parità delle armi – che invece emette il suo parere obbligatorio dopo aver letto i contenuti istruttori.
Le risposte della Consulta: possibile presentare memorie e documenti. Partendo proprio dalla lamentata violazione del diritto di difesa, i Giudici delle leggi chiariscono anzitutto che il difensore del detenuto può sicuramente presentare memorie e documenti al magistrato di sorveglianza (peraltro ammessi in entrambi i procedimenti a quibus). All'uopo si fa perno sull'art. 121 c.p.p ritenuto applicabile anche con riferimento al procedimento di sorveglianza (Sez. I, n. 18600/2011). Ciò premesso, la Corte Costituzionale, riconosce pure che l'attività difensiva nel procedimento avanti al magistrato di sorveglianza di cui alla disciplina censurata sarebbe comunque destinata a svolgersi “al buio”, senza che il difensore abbia contezza del contenuto della documentazione acquisita ex officio e senza che, dunque, egli possa opporre specifiche controdeduzioni rispetto alla documentazione stessa.
L'attività difensiva al buio giustificata dal carattere anticipatorio della decisione interinale. Tuttavia, il Giudice delle leggi giustifica la ratio costituzionale della disposizione censurata in ragione del carattere anticipatorio rispetto alla futura decisione del Tribunale di sorveglianza. Pertanto, nel procedimento funzionale all'eventuale revoca del provvedimento di concessione del beneficio da parte del magistrato ora disciplinato dalla disposizione censurata, la difesa si troverà nell'identica condizione nella quale si trovava al momento della originaria decisione interinale del magistrato sull'istanza di applicazione provvisoria della misura.
La diversa lettura del “fra il fuori e il dentro la differenza è radicale”. Il giudice a quo aveva segnalato «il drammatico nuovo cambiamento nelle modalità di esecuzione della pena, che per altro non induce dal “dentro” al “fuori”, ma in direzione opposta». Anche perché – come affermato con forza dalla storica sentenza n. 32 del 2020 della Consulta – «tra il fuori e il dentro la differenza è radicale». Per i giudici delle leggi invece, la differenza, pur comprensibile sul piano psicologico, non è decisiva dal punto di vista degli interessi in gioco. Se davvero il protrarsi della detenzione genera un grave pericolo per la salute e la vita stessa del condannato, allora anche la scelta iniziale di non concedergli il beneficio potrebbe essere foriera di conseguenze assai gravi, esattamente come la decisione di ricondurlo in vinculis quando quel pericolo non sia ancora cessato.
Il recupero ‘perentorio' del contraddittorio dinanzi al Tribunale di Sorveglianza. In definitiva per la Consulta, l'assetto normativo disegnato dal d.l. 29/2020, poi aggiustato nella legge di conversione n. 70/2020 non appare incompatibile con gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. (già previsto dall'art. 51-ter ord. penit. per la sospensione della misura alternativa), in considerazione del successivo recupero della pienezza delle garanzie difensive e del contraddittorio nel procedimento avanti al tribunale di sorveglianza; procedimento che, oggi, il legislatore ha opportunamente previsto debba concludersi entro il termine perentorio di trenta giorni, nell'ipotesi in cui il magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della detenzione domiciliare precedentemente concessa ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-quater, ordin. penit..
Nessuna violazione del diritto di salute: occorre bilanciarlo con le esigenze di sicurezza pubblica. L'odierna sentenza della Corte Costituzionale rigetta anche le censure sollevate con riferimento alla violazione dell'art. 32 Cost. In caso di scarcerazioni legate anche al COVID-19, l'obbligo di periodiche e frequenti rivalutazioni della persistenza delle condizioni che hanno giustificato la concessione della misura, sulla base anche della documentazione che la disposizione censurata impone loro di acquisire, mira a bilanciare le imprescindibili esigenze di salvaguardia della salute del detenuto e le altrettanto pressanti ragioni di tutela della sicurezza pubblica, poste in causa dalla speciale pericolosità sociale dei destinatari della misura (richiamando se stessa, nella sentenza Corte n. 99 del 2019). Dal punto di vista probatorio, per la Consulta se la disposizione censurata non impone l'acquisizione di documentazione sullo stato di salute del detenuto, essa non vieta affatto che il giudice possa acquisire d'ufficio tale documentazione; e non vieta, in particolare, di disporre sempre ex officio, se necessario, perizia sullo stato di salute del detenuto (ai sensi dell'art. 185 disp. att. c.p.p.), senza alcuna particolare formalità.
Non abbassati gli standard di tutela della salute del detenuto. In definitiva, per i giudici delle leggi la nuova disciplina non abbassa in alcun modo i doverosi standard di tutela della salute del detenuto, imposti dall'art. 32 Cost. e dal diritto internazionale dei diritti umani anche nei confronti di condannati ad elevata pericolosità sociale, compresi quelli sottoposti al 41-bis; ma cerca di arricchire il patrimonio conoscitivo del giudice sulla possibilità di opzioni alternative intramurarie o presso i reparti di medicina protetti in grado di tutelare egualmente la salute del condannato, oltre che sulla effettiva pericolosità dello stesso, in modo da consentire al giudice di mantenere sempre aggiornato il delicato bilanciamento sotteso alla misura in essere, alla luce di una situazione epidemiologica in continua evoluzione.
Fonte: Diritto e giustizia |