La responsabilità dei soci per i debiti della società cancellata dal Registro delle Imprese

Linda Rizzi
Linda Rizzi
27 Novembre 2020

La necessità di garantire ai creditori il diritto di soddisfare le proprie pretese una volta cessata la società debitrice ha portato ad estendere il “fenomeno successorio” anche ai rapporti intercorrenti tra una società estinta e i propri soci.
Massima

La necessità di garantire ai creditori il diritto di soddisfare le proprie pretese una volta cessata la società debitrice ha portato ad estendere il “fenomeno successorio” anche ai rapporti intercorrenti tra una società estinta e i propri soci.

Nella sentenza in commento la Suprema Corte torna sulla questione della responsabilità dei soci di società cancellate dal Registro delle Imprese, confermando il principio, già espresso dalle Sezioni Unite (nelle note sentenze Sez. Un. 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6073), secondo cui la cancellazione della società di capitali dal Registro delle Imprese, pur provocando, dopo la riforma del diritto societario, l'estinzione della società, non determina anche l'estinzione dei debiti insoddisfatti nei confronti dei terzi. Si verifica, infatti, un fenomeno successorio sui generis, in cui la responsabilità dei soci è limitata alla parte che ciascuno di essi consegue nella distribuzione dell'attivo risultante dal bilancio di liquidazione.

Ne consegue che l'effettiva percezione delle somme da parte dei soci in base al bilancio finale di liquidazione e la loro entità devono essere provate dal creditore che agisce per il soddisfacimento della propria pretesa creditoria, secondo il normale onere della prova, ai sensi dell'art. 2697 c.ci

Norma di riferimento per la fattispecie in esame è l'art. 2495 c.c., il quale, tuttavia, ha di recente subito modifiche con la legge 11 settembre 2020, n. 120, di conversione del D.L. 16 luglio 2020 (c.d. Decreto Semplificazioni). Più precisamente, infatti, il legislatore è intervenuto modificando il primo comma e aggiungendone un altro: ciò comporta che il secondo comma sul quale più volte si sofferma la sentenza in commento, sia diventato da poco il 3° comma.

Pertanto, alla luce di quanto precede, per evitare di trarre in inganno il lettore, nel commento che segue si ricorrerà alla locuzione “3° comma”, in luogo di “2° comma”.

Il caso

Una società ha agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del compenso per la mediazione prestata a favore di altra società, in relazione alla vendita di un immobile di proprietà di quest'ultima.

L'autorità giudiziaria, preso atto che, in pendenza del processo, la pretesa debitrice era stata cancellata dal registro delle imprese e, di conseguenza, si era estinta, ha condannato il socio unico, al pagamento di quanto reclamato dal preteso creditore, dal momento che, secondo quanto affermato dalla Corte di Appello adita, il socio unico era succeduto nella obbligazione della società estinta ed era quindi chiamato a risponderne in base a quanto stabilito dall'art. 2495, comma 3, c.c.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Come anticipato, la decisione della Cassazione prende le mosse dalla disposizione contenuta nell'art. 2495, comma 3, c.c., che prevede, per quanto qui di interesse, che “ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”.

Più precisamente, se all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle Imprese, non vengono meno tutti i rapporti giuridici facenti capo alla stessa, si determina un fenomeno di tipo successorio, cosicché le obbligazioni si trasferiscono in capo ai soci, che ne rispondono, fino alla concorrenza della somme da questi riscosse in base al bilancio di liquidazione finale, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali (in questo senso anche Cass., Sez. Un. 12 marzo 2013 n. 6070, 6071 e 6072).

Alla stregua di tale disposizione, la sentenza annotata osserva che la statuizione cui perviene la Corte di Appello è frutto di una “visione irrimediabilmente monca” dell'art. 2495, 3° comma, c.c. Il Giudice del merito, ad avviso della Corte, infatti, limita il raggio delle proprie valutazioni alla sola considerazione in base alla quale, una volta estinta la società, i soci subentrano nelle posizioni giuridiche attive e passive della stessa. Tale affermazione risponde certamente al vero, ma non tiene conto del fatto che, oltre all'estinzione della società, la responsabilità dei soci di cui all'art. 2495, 3° comma, c.c, postula un altro elemento, ovverosia che i soci stessi si siano resi assegnatari di una quota residua del patrimonio sociale che risulta dalla liquidazione.

Prendendo spunto dalla sentenza in commento, il tema sul quale si intende richiamare l'attenzione del lettore si riassume nel chiedersi se il fatto di percepire una quota dell'attivo sociale sia da intendere quale elemento costitutivo per la sola responsabilità dei soci, oppure sia da considerare tale anche per qualificare il fenomeno successorio dei soci rispetto alla società.

Sul punto, la sentenza annotata è chiara.

Riprendendo un importante filone giurisprudenziale che si è definitivamente affermato con una celebre triade di sentenze della Suprema Corte, ovverosia con le pronunce delle Sezioni Unite nn. 6070, 6071 e 6072 del 12 marzo 2013 (in particolare, cfr. Cass. 12 marzo 2013, n. 6070: “ove una società si estingua a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali rispondono dei debiti nei limiti della responsabilità per essi prevista pendente societate, senza che l'attribuzione di una somma in sede di liquidazione possa costituire condizione della successione”), la Corte di Cassazione osserva come sia “del tutto naturale immaginare che questi debiti [i.e. i debiti della società] si trasferiscano in capo a dei successori e che, pertanto, la previsione di chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato art. 2945 cod. civ. implichi, per l'appunto, un meccanismo di tipo successorio, che tale è anche se si vogliano rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l'estinzione della società e la morte di una persona fisica”. Ciò, in sostanza, significa che il fenomeno successorio che si verifica al momento della estinzione della società è contestuale al momento in cui si verifica, materialmente, la cancellazione dal Registro delle Imprese.

La ragione di tale automatismo, secondo quando affermato dalla stessa sentenza oggetto di commento, è da ravvisare nell'intento di impedire che la società debitrice possa, con un comportamento proprio e unilaterale, espropriare il creditore di un proprio diritto (C. Consolo e F. Godio, Le Sezioni Unite sull'estinzione di società: la tutela creditoria "ritrovata" (o quasi), in Corr. Giur., 2013). Risultato, quest'ultimo, che può essere raggiunto appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono automaticamente in capo ai soci.

Infatti, conclude la sentenza annotata, “il dissolversi della struttura organizzativa su cui riposa la soggettività giuridica dell'ente collettivo fa naturalmente emergere il sostrato personale che ne è comunque alla base e rende perciò del tutto plausibile la ricostruzione del fenomeno in termini successori”.

Ora, se si parte dal presupposto, come è ormai pacifico (In giurisprudenza si vedano, in particolare, le succitate sentenze Sez. Un., nn. 4060, 4061 e 4062 del 22 febbraio 2010 e Sez. Un., nn. 6070, 6071 e 6072 del 12 marzo 2013), che la cancellazione della società dal Registro delle Imprese comporta una successione universale, non dovrebbero esservi dubbi in merito al fatto che i soci succedano alla persona giuridica automaticamente e a prescindere dalla percezione di somme dal bilancio finale di liquidazione: percezione, quest'ultima, che, piuttosto, opera quale limite alla loro responsabilità.

Eppure, sul punto vi sono pronunce dello stesso Giudice di legittimità che si discostano dal succitato orientamento e ritengono che l'aver percepito un quid dalla liquidazione dell'attivo sociale sia una circostanza necessaria anche ai fini della configurazione del fenomeno successorio.

Infatti, secondo alcune pronunce della Suprema Corte, i soci succederebbero alla società estinta “solo se e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione”, specificandosi che “l'accertamento di tali circostanze costituisce presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità di successore” (sul punto si prenda in considerazione: Cass. 26 giugno 2015, n. 13259, la quale, a sua volta richiama espressamente le sentenze nn. 7678 e 7697 del 16 maggio 2012, le quali testualmente affermano che: “la riscossione detta non costituisce solamente il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale […] ma anche la condizione per la di lui successione”. Da ultimo si vedano Cass. 15 gennaio 2019, n. 733 e Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444).

Così, mentre una qualsiasi persona fisica diventa successore universale accettando l'eredità del de cuius, un socio diventerebbe successore universale della società solamente riscuotendo una quota in base al bilancio finale di liquidazione (R. Marenghi, Cancellazione delle società: successione dei soci e responsabilità dei liquidatori e amministratori, in questo portale).

La ricostruzione che precede, tuttavia, non pare affatto condivisibile.

In primo luogo, perché la stessa si scontra inevitabilmente con la lettera della norma più volte richiamata, ovverosia l'art. 2495 c.c., il quale, al 3° comma, si limita a porre un espresso limite alla responsabilità dei soci (“dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale”), e non una condizione perché possa parlarsi di “fenomeno successorio” (sul punto si veda in dottrina A. Guidara, Società di capitali estinte: responsabilità automatica e intra vires dei soci, ma non per le sanzioni tributarie, in Rivista di giurisprudenza tributaria, n. 7/2019, 620, dove si osserva che il ritenere la percezione di una parte dell'attivo sociale quale condizione della successione potrebbe essere sintomo di una certa confusione con la diversa responsabilità (tipicamente fiscale) dei soci ex art. 36, 3° comma, d.P.R. n. 602/1973, per fare valere la quale, invece, "occorre dimostrare che i soci abbiano percepito alcunché” (per quest'ultima norma, infatti, “i soci che hanno ricevuto […] o hanno avuto in assegnazione […] sono responsabili del pagamento delle imposte”).

In secondo luogo, perché codesta impostazione si scontra con quanto statuito dalle sentenze delle Sezioni Unite del 2013, che vengono comunque sovente richiamate anche da codesto filone giurisprudenziale, le quali, al contrario, insistono sull'automatismo della successione, richiamando il limite della percezione di una quota dell'attivo sociale solo ai fini della determinazione della portata della responsabilità del singolo socio.

Pare, dunque, più corretto concludere che, anche nel caso di estinzione di società, al pari di una fattispecie successoria tra persone fisiche, i soci subentrino automaticamente nelle situazioni giuridiche soggettive e passive della stessa, indipendentemente dal fatto che abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.

Occorre, tuttavia, svolgere alcune precisazioni.

Alla luce di quanto precede è possibile osservare che la legittimazione dei soci ad essere considerati quali successori della società e la loro responsabilità coprono ambiti processuali differenti che non sono sovrapponibili: lo spazio dedicato alla responsabilità che fa capo ai soci, sebbene postuli un meccanismo di tipo successorio, è meno esteso di quello in cui si manifesta la legittimazione che si realizza in virtù della mera qualità di successori.

Il limite della responsabilità di cui all'art. 2495, 3° comma c.c., per quanto non incida, dunque, sulla legittimazione processuale, rileva ai fini dell'interesse ad agire dei creditori sociali.

In particolare, la sentenza in commento, richiamando Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070, afferma che: “il successore che risponde solo intra vires[i.e. nei limiti di quanto percepito dalla liquidazione dell'attivo sociale] dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l'inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell'interesse ad agire ma non sulla legittimazione passiva del socio”. Il che significa, più semplicemente, che laddove non vi sia alcuna utilità su cui rivalersi, ciò priverebbe i creditori dell'interesse a promuovere nei confronti dei soci un'azione di responsabilità, ma non escluderebbe la legittimazione passiva dei soci nella loro veste di successori della società estinta.

Va precisato, infine, che, secondo il provvedimento annotato, l'interesse ad agire dei creditori nei confronti dei soci, potrebbe aversi anche in difetto di una immediata responsabilità di questi ultimi, appurato che l'accertamento nei confronti di essi si riverbera, a tacer d'altro, sulle eventuali sopravvenienze attive delle quali, per qualsivoglia ragione, potrebbe non esservi traccia nel bilancio finale di liquidazione (in questo senso, A. Guidara, Società di capitali estinte: responsabilità automatica e intra vires dei soci, ma non per le sanzioni tributarie, cit., 621). L'interesse creditorio, così come precisato dai giudici di legittimità, non può essere in nessun caso pregiudicato dal fatto che le sopravvenienze attive maturino dopo la chiusura della liquidazione, dal momento che, in tale circostanza, “all'indubbia legittimazione passiva dei soci farebbe da contrappasso l'altrettanto indubbio interesse dei creditori insoddisfatti”.

Il rapporto tra la responsabilità dei soci e le eventuali sopravvenienze attive è stato affrontato anche da autorevole dottrina, la quale, prendendo in considerazione il piano prettamente processuale e, in particolare, il caso di un giudizio promosso da un creditore nei confronti di una società, pendente al momento della estinzione di quest'ultima, ci restituisce un'immagine più completa del legame tra la responsabilità dei soci e le sopravvenienze attive.

Che cosa succede al processo pendente al momento di estinzione della società, se a seguito della chiusura della liquidazione non sia residuato nessun attivo da distribuire agli ex soci?

Secondo la dottrina, così come secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, una tale evenienza non incide né sul piano sostanziale della successione degli ex soci, nè può incidere su quello processuale.

Semmai – affermano le Sezioni Unite nelle sentenze nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013 – “ciò rileverà, nel processo proseguito ex artt. 110 c.p.c, sul piano dell'assenza del «requisito dell'interesse ad agire» del creditore, ma non sulla legittimazione passiva del socio”.

Ad ogni modo, la soluzione del rigetto per carenza di interesse ad agire del creditore-attore non convince.

Nel caso in cui, infatti, in seguito alla chiusura della fase di liquidazione non dovesse residuare alcunché da distribuire ai soci, appare più convincente ritenere che questi siano sì succeduti alla società estinta, ma non anche incorsi in responsabilità patrimoniale. E questo, lo si chiarisce, per mancanza di quella condizione necessaria ai fini della responsabilità, data dall'aver beneficiato di una parte dell'attivo a seguito dell'estinzione dell'ente.

La situazione che verrebbe, quindi, a determinarsi non sarebbe per nulla diversa da quella che si verifica in seguito alla prosecuzione del processo nei confronti dell'erede beneficiato: sempre che il creditore-attore riesca a fornirne la prova, la sentenza accerterà l'eventuale esistenza del suo credito (nell'ammontare vantato nei confronti della società debitrice estinta), salva, però, la condanna degli ex soci intra vires (cfr. C. Consolo e F. Godio, Le Sezioni Unite sull'estinzione di società: la tutela creditoria "ritrovata" (o quasi), 700, cit.).

Ciononostante, al creditore non potrà in alcun modo essere precluso, in futuro, a fronte di eventuali sopravvenienze attive, di soddisfare la propria pretesa su quanto nuovamente realizzato dagli ex soci, ove quel primo processo si sia chiuso senza sua completa soddisfazione, né di agire in giudizio contro gli stessi, nel caso in cui questi contestino i presupposti della loro responsabilità.

Chiaramente, durante il nuovo giudizio sarà concesso dibattere solamente della percezione, da parte degli ex soci, di somme o di beni ulteriori rispetto a quelli indicati nel bilancio di liquidazione, a fronte del già avvenuto accertamento del credito vantato dall'attore nei confronti della società estinta.

Pertanto, al creditore-attore non potrà essere opposto alcun giudicato preclusivo, nel caso in cui egli riesca a dimostrare che il presupposto della responsabilità degli ex soci (vale a dire la percezione di un attivo residuo successivamente all'estinzione dell'ente) è sorto solo in un momento successivo alla sua formazione (cfr. C. Consolo e F. Godio, Le Sezioni Unite sull'estinzione di società: la tutela creditoria "ritrovata" (o quasi), 702, cit).

Conclusioni

Alla stregua di quanto precede, in accoglimento del ricorso, i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza impugnata e hanno rinviato alla corte territoriale per un nuovo esame della fattispecie sulla base del seguente principio di diritto: “in tema di effetti della cancellazione di società di capitali dal registro delle imprese nei confronti dei creditori sociali insoddisfatti, ferma comunque la legittimazione dei soci in quanto successori della società estinta, dei cui debiti essi rispondono secondo lo statuto della propria responsabilità, il disposto dell'art. 2495, comma 2, c.c. implica che, rispondendo i soci nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, grava sul creditore l'onere della prova circa la distribuzione dell'attivo sociale e la riscossione di una quota di esso in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi di elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio”.