Le novità del Codice della crisi sulla transazione fiscale

Giulio Andreani
30 Novembre 2020

Grazie all'emendamento approvato l'11 novembre dalla Commissione Affari costituzionali del Senato in sede di conversione del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, viene anticipata l'entrata in vigore, attraverso il loro inserimento negli artt. 180, 182-bis e 182-ter della legge fallimentare, delle disposizioni relative alla transazione fiscale e contributiva introdotte dagli artt. 48, comma 5, 63 e 88 del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza.
Le novità del Codice della crisi relative alla transazione fiscale nell'accordo di ristrutturazione dei debiti

L'art. 48, comma 5, del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (nel prosieguo: Codice) dispone che la proposta di transazione fiscale può produrre effetto nell'ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti (con conseguente omologabilità degli stessi) anche senza l'approvazione del Fisco, se è più vantaggiosa per l'Erario della liquidazione giudiziale e se l'approvazione da parte dell'amministrazione finanziaria è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali del 60% (o del 30% in taluni casi) dei crediti richieste per l'omologazione di detti accordi.

Scopo di questa disposizione è quello di eliminare una delle più rilevanti criticità applicative dell'istituto della transazione fiscale, costituita dall'interpretazione che l'Agenzia delle Entrate ha finora fornito (con la circolare n. 16/2018 e soprattutto con la prassi di taluni uffici) della disposizione (recata dall'art. 182-ter l. fall. e in futuro dall'art. 63 del Codice) secondo cui il soddisfacimento del Fisco deve essere più conveniente di quello derivante dalla liquidazione giudiziale. Infatti l'Agenzia delle Entrate ha sempre ritenuto che la sussistenza di tale convenienza non fosse di per sé sufficiente per approvare le proposte di transazione fiscale e ha generalmente rigettato quelle proposte che, pur essendo oggettivamente più vantaggiose per l'Erario di qualsiasi altra soluzione, avevano previsto un soddisfacimento inferiore a certe soglie, peraltro prive di fonte normativa. Il principio affermato dal citato art. 182-ter è invece quello per cui, in presenza della convenienza della proposta per il Fisco, quest'ultimo è tenuto ad approvarla, alla luce della ratio di tale norma e del principio del buon andamento della Pubblica amministrazione stabilito dall'art. 97 Cost., non disponendo l'amministrazione finanziaria, in tale ambito, di discrezionalità o, se si preferisce, di una “discrezionalità vincolata”.

Per superare tali criticità, il comma 5 dell'art. 48 del Codice ha stabilito opportunamente che il Tribunale può omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione dell'amministrazione finanziaria alle proposte di transazione fiscale connesse a tali accordi, quando:

a) l'adesione è decisiva al fine del raggiungimento delle percentuali del 60% (o del 30% in taluni casi) dei crediti previste per la omologabilità degli accordi stessi e

b) il soddisfacimento dei crediti fiscali offerto dall'impresa debitrice sia, anche sulla base delle risultanze dell'attestazione resa da un professionista indipendente (in genere, ma non necessariamente, lo stesso attestatore del piano o il redattore della relazione di cui all'art. 160, comma 2, l. fall.), più conveniente di quello derivante dall'alternativa liquidazione.

La disposizione introdotta è opportuna per i motivi poc'anzi esposti, ma, pur essendo certamente innovativa nella parte in cui consente al Tribunale di omologare l'accordo anche senza adesione del Fisco, non è da considerare tale per quanto attiene ai principi cui deve attenersi l'amministrazione finanziaria, con riguardo ai quali non fa altro che rafforzare, ad avviso di chi scrive, quanto è già insito nel vigente art. 182-ter l.fall.

È noto che in merito alla discrezionalitàdell'Amministrazione finanziarianel contesto della transazione fiscale sono state espresse considerazioni articolate, ma nessuna di esse consente di pervenire alla conclusione che all'amministrazione finanziaria è attribuita - ai fini dell'approvazione o del rigetto della proposta di transazione fiscale - una vera e propria discrezionalità:

a) secondo una parte della dottrina non sussiste alcun esercizio di un potere discrezionale quando “la decurtazione opera in relazione alla funzione prettamente satisfattoria propria dell'attività di riscossione, ed a seguito del necessario compromesso tra fiscalità e regole concorsuali, in conseguenza della impossibilità della piena soddisfazione di tutti i creditori per lo stato di crisi in cui versa l'imprenditore – contribuente (Così testualmente M. T. Moscatelli, Indisponibilità e discrezionalità [Dir. Trib.], in diritto online, 2016, nonché Crisi dell'impresa e debito tributario: riflessioni sulla transazione fiscale, in Rass. trib., 2008, n. 5, 1329-1331);

b) secondo altra dottrina il potere/dovere conferito all'Amministrazione finanziaria di trattare le proposte di transazione fiscale, di accettarle o respingerle, comporta valutazioni dai contorni indefiniti (quali il giudizio circa la probabilità di riscuotere le imposte in base al grado di solvibilità futura del contribuente), che nulla hanno a che vedere con il concetto di “discrezionalità amministrativa” (che investe il bilanciamento di interessi pubblici con quelli privati), né con quello di “discrezionalità tecnica” (che concerne l'applicazione di norme tecniche circa la determinazione del tributo o la sua riscossione), talché “la decisione da assumere ai sensi dell'art. 182-ter è ascrivibile, sul piano logico, all'indisponibilità rovesciata perché, se c'è ‘stato di crisi', la previsione sull'effettivo incasso futuro del tributo è sempre una questione ‘controvertibile all'infinito'” e deve essere adottata secondo il criterio del “male minore” (o proportionality) in considerazione della situazione di obiettiva incertezza che la caratterizza (Così M. Versiglioni, Transazione fiscale e principio generale di ‘indisponibilità rovesciata', in Diritto e processo tributario, 2015, n. 1, 107-113);

c) infine, altra dottrina rinviene nel suddetto potere/dovere profili di discrezionalità (tuttavia non indeterminati), quando, ai sensi dell'art. 182-ter, “l'Amministrazione sia chiamata ad effettuare una complessa serie di valutazioni, tra cui la comparazione del risultato ottenibile all'esito della transazione con il minor gettito che deriverebbe dal fallimento dell'impresa”, pervenendo, in ossequio al principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., “ad una ricostruzione quanto più oggettiva possibile della dimensione qualitativa e quantitativa del presupposto onde garantire il giusto riparto” (Così M. Martis, Contributo allo studio della discrezionalità nel diritto tributario, 2018, 193-195. In tal senso anche M. Mauro, La transazione fiscale nel labirinto delle norme e dei principi, in M. Basilavecchia - S. Cannizzaro - A. Carinci (a cura di) , La Riscossione dei tributi, in Quaderni riv. dir. trib., Milano, 2011, 327 ss.; G. Marini, Transazione fiscale, in Rass. trib., 2010, n. 5, 1211; V. Ficari, Riflessioni su ‘transazione' fiscale e ‘ristrutturazione' dei debiti, in Rass. trib., 2009, n. 1, 70).

Quest'ultimo orientamento osserva, in particolare, come nell'esercizio di detto potere discrezionale l'Amministrazione finanziaria debba “effettuare un contemperamento tra il primario interesse pubblico alla puntuale applicazione del tributo e altri interessi extrafiscali, quali, ad esempio, l'occupazione o la convenienza dell'esercizio dell'impresa (...) onde adottare delle soluzioni che, pur nel rispetto dei principi di legalità e riserva di legge, tutelino, seppur in misura minore, un interesse erariale che con tutta evidenza non sarebbe in toto soddisfabile” in considerazione dello stato di crisi del contribuente (Così ancora M. Martis, op. cit. 194 e 196

)

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D'altro canto, la quantificazione partecipata del tributo in sede di transazione fiscale, in conseguenza delle valutazioni effettuate e del bilanciamento degli interessi in gioco, garantendo una maggiore certezza del pagamento del debito tributario (ancorché in misura parziale), costituisce espressione “non solo di ragionevole riparto del carico, ma anche di eguaglianza e giustizia tributaria” (Così V. Ficari, Transazione fiscale e disponibilità del credito tributario: dalla tradizione alle nuove ‘occasioni' di riduzione ‘pattizia' del debito tributario, in Riv. dir. trib., 2016, n. 4, 493).

A questo riguardo occorre ricordare quanto ha affermato la stessa Agenzia delle Entrate con la circolare 16 aprile 2010, n. 20/E: “in presenza di situazioni di crisi aziendale, sia prodromiche alla dichiarazione di fallimento sia evidenziate in una proposta di concordato preventivo, lo strumento transattivo può infatti rivelarsi decisivo per garantire l'effettivo introito di somme dovute all'Erario in misura certamente superiore (ed in tempi ovviamente ben più rapidi) rispetto a quanto potrebbe avvenire con le ordinarie modalità di riscossione, in caso di fallimento del contribuente”.

Ne discende quindi, in ogni caso, al di là dei diversi profili accentuati dall'uno o dall'altro degli orientamenti sopra richiamati, che all'Amministrazione finanziaria è già attribuito il potere-dovere di consentire - attraverso l'adesione alla proposta formulatale dal debitore - la riduzione di crediti tributari precedentemente sorti, purché ciò sia necessario per conseguire il miglior recupero degli stessi, in considerazione della situazione di crisi finanziaria in cui si trova il contribuente-debitore. A ben vedere non si tratta, quindi di una vera e propria discrezionalità, ma di una “discrezionalità vincolata” o, di una “discrezionalità controllata”, da cui deriva, a seconda del contenuto della proposta di transazione e della situazione patrimoniale del contribuente che la formula, non una libertà di scelta, ma il potere/dovere dell'Amministrazione finanziaria di respingere tale proposta, quando essa non è conveniente o non rispetta le previsioni dell'art. 182-ter, e di accettarla quando invece, oltre a rispettare tale previsioni, è più conveniente delle alternative possibili; ciò in applicazione del principio del buon andamento della Pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. e sulla scorta dei criteri a tal fine stabiliti dal citato art. 182-ter, i quali delimitano, appunto, e rendono più oggettiva la decisione da assumere.

Una conferma della conclusione testé esposta - circa la natura “vincolata” dell'azione dell'Amministrazione finanziaria concernente la proposta della transazione fiscale – pare peraltro provenire proprio dall'art. 48, comma 5, del Codice.

Le novità del Codice della crisi e del Decreto correttivo relative alla transazione fiscale nel concordato preventivo

Analoga disposizione, invece, non è stata introdotta nel Codice con riguardo alla transazione fiscale attuata nell'ambito di un concordato preventivo, sebbene non sussistano ragioni che giustifichino una diversa disciplina.

Non vi è dubbio che i due istituti presentano delle differenze; infatti, mentre l'accordo di ristrutturazione dei debiti vincola solo i creditori che lo sottoscrivono, il concordato, ai sensi dell'art. 184 L. fall., è obbligatorio per tutti i creditori, ancorché dissenzienti, e, pertanto, anche senza una previsione analoga a quella introdotta con il citato art. 48, il Fisco è costretto a subire la proposta di transazione fiscale nonostante il rigetto della stessa, se il concordato nel suo complesso è approvato dagli altri creditori con le maggioranze di cui all'art. 177 l. fall. Tuttavia, ciò è vero in alcuni casi, ma non lo è ogniqualvolta il voto del Fisco sia decisivo a causa della sua entità, in quanto rappresenta di per sé più del 50% del valore dei crediti ovvero in quanto, pur non raggiungendo detta rilevanza, è tale da consentire o impedire il raggiungimento delle predette maggioranze. In questi casi, quindi, il voto negativo espresso dall'Agenzia delle Entrate in merito alla proposta di transazione fiscale può “affossare” un concordato anche quando il soddisfacimento previsto da tale proposta è più conveniente per il Fisco stesso di quello discendente da qualsiasi soluzione alternativa.

La disparità di trattamento discendente dal citato comma 5 dell'art. 48 è quindi priva di giustificazione e, per questo motivo, è stata opportunamente rimossa con il decreto correttivo del Codice pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 5 novembre 2020 (di seguito: Decreto correttivo), il quale ha modificato tale norma, stabilendo che il Tribunale può omologare anche il concordato preventivo, nonostante la mancanza dell'adesione dell'amministrazione finanziaria, se ricorrono i due presupposti sopra indicati (l'adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all'art. 109, comma 1, D.lgs. n. 14/2019 e la proposta è conveniente per l'Erario).

La modifica allinea opportunamente la disciplina dei due istituti testé richiamati con riguardo a proposte aventi la medesima natura e funzione, tanto che nella relazione di accompagnamento al decreto correttivo si sottolinea che con essa si intende rimuovere una “disparità di trattamento difficilmente giustificabile”.

È opportuna inoltre perché il rimedio adottabile per evitare gli effetti di un ingiustificato rigetto della proposta di transazione fiscale da parte del Fisco nell'ambito del concordato, pur sussistendo sul piano teorico, è di scarsa utilità pratica. Esso è infatti costituito dall'impugnazione del rigetto della proposta di transazione dinanzi al giudice tributario, in merito alla quale quest'ultimo normalmente si pronuncia, quanto al primo grado di giudizio, dopo vari mesi (il più delle volte occorre circa un anno) e, in via definitiva, dopo diversi anni: non è quindi atto a evitare la dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato da parte del tribunale conseguente al mancato raggiungimento delle maggioranze di legge, la quale deve essere pronunciata in tempi assai più rapidi; né, visto il contesto, si può concretamente immaginare una sospensione del procedimento di approvazione del concordato per un periodo così ampio, in attesa della decisione del giudice tributario. Nella sostanza, pertanto, il Tribunale fallimentare, anziché la Commissione Tributaria, sarà il giudice naturale delle controversie aventi a oggetto la transazione fiscale.

La necessità della contestuale ricorrenza dei due presupposti previsti dal comma 5 dell'art. 48 del Codice della crisi

Secondo una corrente di pensiero, i due presupposti di applicazione della norma recata dal comma 5 del citato art. 48 D.lgs. n. 14/2019 (la decisività dell'adesione del Fisco per il raggiungimento della maggioranza richiesta e la convenienza della proposta), previsti per l'omologabilità dell'accordo di ristrutturazione dei debiti anche in assenza del consenso dell'Agenzia delle Entrate, sarebbero alternativi e non cumulativi, potendosi perciò assumere che, una volta appurata la convenienza della proposta, il trattamento ivi previsto dovrebbe essere imposto al Fisco non solo quando l'adesione dell'amministrazione finanziaria risulti decisiva, ma anche quando la maggioranza richiesta sia raggiunta indipendentemente dal consenso del Fisco.

È da escludere intuitivamente che l'accordo di ristrutturazione possa essere omologato dal Tribunale con “funzione di supplenza” ai sensi del comma 5 del citato art. 48 solo perché l'adesione dell'amministrazione finanziaria è decisiva ai fine del raggiungimento della soglia del 60%, anche quando la proposta di transazione non è conveniente per l'Erario, perché renderebbe assurda la disposizione di cui trattasi e la trasformerebbe in uno strumento generatore di danni erariali e non di tutela degli interessi erariali come al contrario è.

Meno agevole è invece la soluzione nel caso opposto, cioè in quello in cui la proposta è conveniente, ma il consenso dell'Agenzia delle Entrate non è decisivo. In tal caso, infatti, in assenza di quest'ultimo (se si ritengono necessari entrambi i presupposti) non sarebbe possibile imporre la omologazione della transazione fiscale (anche se conveniente per il Fisco rispetto alla liquidazione), per il solo fatto che l'accordo di ristrutturazione sia stato già concluso con altri creditori che rappresentano oltre il 60% dei crediti complessivi, risultando a tal fine non decisiva l'adesione da parte dell'amministrazione finanziaria; conseguentemente non potrebbe essere posto rimedio a una decisione del Fisco contraria all'interesse erariale e al tempo stesso non verrebbe rimosso l'ostacolo al risanamento aziendale costituito dalla mancata adozione delle misure previste dalla transazione fiscale rigettata.

La tesi del doppio presupposto non appare tuttavia condivisibile, perché contrasta sia con la lettera della norma (in considerazione dell'utilizzo della congiunzione “e”), sia con la ratio della stessa desumibile dalla relazione illustrativa, ove si afferma che la possibilità di omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza del consenso del Fisco è stata prevista “al fine di superare ingiustificate resistenze alle soluzioniconcordate, spesso registrate nella prassi”, ma nel presupposto che “l'adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di legge”. Vi è infine da considerare che la “sostituzione d'ufficio” della (mancata) adesione del Fisco con l'approvazione da parte del Tribunale costituisce una deroga ai principi generali sulla conclusione di un negozio bilaterale e non pare quindi legittimo estenderla a situazioni non espressamente previste dal legislatore, in considerazione della sua natura eccezionale, per di più in presenza di una disposizione che, sebbene migliorabile, è allo stato di per sé chiara (si veda tuttavia quantoaffermato nel successivo paragrafo con riguardo alla natura decisiva, o determinante a seguito della modifica apportata dal Decreto correttivo, dell'adesione dell'amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali). L'effetto distorsivo sopra evidenziato (consistente nel non poter il Tribunale omologare un accordo conveniente per l'Erario ogniqualvolta l'adesione del Fisco non sia decisiva), giustifica dunque una correzione della norma, ma esclusivamente tramite una modifica legislativa, e non in via meramente interpretativa.

La questione non si pone invece con riguardo al concordato preventivo. In questo caso, infatti, il Fisco, ove il suo voto non sia decisivo, deve subire la decisione della maggioranza dei creditori anche se rigetta la proposta di transazione fiscale e gli effetti della proposta di transazione si producono comunque (peraltro salvo alcuni, come quelli relativi alla definizione del contenzioso pendente o al pagamento oltre due anni dalla omologazione); se al contrario il voto è decisivo e la proposta è conveniente, la disposizione di cui trattasi trova pacificamente applicazione.

Le novità del Codice e del Decreto correttivo relative alla transazione contributiva nell'accordo di ristrutturazione dei debiti e nel concordato preventivo

L'art. 88 del Codice prevede che le imprese in crisi che richiedono l'ammissione a una procedura di concordato preventivo, se intendono ottenere una riduzione o una dilazione di pagamento dei debiti tributari, devono presentare, all'Agenzia delle Entrate (e all'agente della riscossione) una proposta di transazione fiscale e agli enti gestori delle forme di previdenza e assistenza obbligatorie una proposta di transazione contributiva; analogamente l'art. 63 del Codice consente alle imprese in crisi che ricorrono all'istituto dell'accordo di ristrutturazione dei debiti di proporre una transazione fiscale e - sebbene un po' maldestramente, visto che viene menzionata solo la transazione fiscale, anche se poi viene fatto riferimento agli enti previdenziali e assistenziali - anche una transazione contributiva.

Tuttavia il comma 5 del più volte citato art. 48 del Codice consente al Tribunale, se ricorrono i due presupposti di cui si è detto, di omologare gli accordi di ristrutturazione, nonostante la mancata adesione “dell'amministrazione finanziaria” e non anche degli “enti gestori delle forme di previdenza e assistenza obbligatorie”. Si è quindi dubitato che tale disposizione potesse trovare applicazione anche con riguardo alla transazione contributiva, sebbene non vi fosse motivo di limitarla alla sola transazione fiscale e ciò, a maggior ragione, in considerazione del fatto che le criticità che essa intendeva superare riguardavano la prassi degli enti previdenziali ancor più di quella dell'amministrazione finanziaria.

A questa incertezza interpretativa ha comunque posto rimedio il Decreto correttivo, il quale:

  • da un lato, ha modificato l'art. 63 del Codice, precisando che oggetto della proposta di transazione sono anche “i contributi amministrati dagli enti gestori delle forme di previdenza, assistenza, assicurazione per l'invalidità e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori”: è stato quindi chiarito che esso disciplina anche la cosiddetta transazione contributiva;
  • dall'altro, al riferimento alla mancata adesione dell'amministrazione finanziaria presente nel comma 5 dell'art. 48 del Codice ha aggiunto quello alla mancata adesione “degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”, precisando quindi (sebbene l'individuazione di tali enti non corrisponda letteralmente a quello introdotto nell'articolo 63) che il citato comma 5, che consente l'approvazione della transazione da parte del Tribunale, trova applicazione anche con riguardo alla transazione contributiva.Come si è rappresentato, quest'ultima norma trova applicazione se l'adesione dell'amministrazione finanziaria o degli enti previdenziale è “determinante” ai fini del raggiungimento delle soglie di rappresentatività dei crediti e delle maggioranze richieste dallo stesso Codice. Ciò posto, se una delle due adesioni è di per sé determinante (ad esempio perché i crediti tributari sono superiori alla soglia del 60%), l'altra risulta non determinante e quindi relativamente a essa tale disposizione potrebbe non trovare applicazione. Questa conclusione sembra tuttavia poco coerente con la ratio della norma stessa, per effetto della quale si dovrebbe ritenere sussistente la natura determinante dell'adesione con riguardo tanto al Fisco quanto agli enti previdenziali, non solo quando le adesioni sono congiuntamente determinanti, il che è ovvio, ma anche quando è tale solo una di dette adesioni. La lettera della norma, peraltro, non esclude questa interpretazione. Il fatto è che la disposizione di cui trattasi assolverebbe meglio la funzione che il legislatore le ha attribuito, se la sua applicazione fosse subordinata, non al raggiungimento delle soglie del 60 o del 30 per cento dell'ammontare dei crediti, ma, oltre che a ciò, alla necessità dell'adesione rispetto al risanamento dell'impresa, attestata da un professionista indipendente.
Le modifiche apportate alla legge fallimentare

Come si è detto, un emendamento approvato l'11 novembre 2020 dalla prima Commissione Affari costituzionali del Senato prevede l'inserimento delle novità sulla transazione fiscale e sulla transazione contributiva introdotte dal Codice e riviste dal Decreto correttivo nella Legge fallimentare tuttora vigente, modificandone gli artt. 180, 182-bis e 182-ter L. fall.

Con riguardo al concordato preventivo, nel comma 4 dell'art. 180 L. Fall. è stata aggiunta la disposizione prevista dal comma 5 dell'art. 48 del Codice così come modificata dal Decreto correttivo, attribuendo al Tribunale il potere di omologare il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali e assistenziali, quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all'articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell'attestatore, la proposta di soddisfacimento del Fisco o degli enti previdenziali è conveniente rispetto all'alternativa liquidatori.

Con riguardo all'accordo di ristrutturazione dei debiti, al comma 4 dell'art. 182-bis L. Fall. è stata aggiunta una disposizione del tutto analoga a quella introdotta nell'art. 180 L. Fall., con la sola differenza che l'adesione del Fisco e degli enti previdenziali assistenziali deve essere rilevante ai fini del raggiungimento della percentuale (del 60%) di cui al primo comma del medesimo art. 182-bis L. Fall..

Nella sostanza, quindi, mediante l'integrazione delle predette disposizioni nella legge fallimentare, viene anticipata l'entrata in vigore delle disposizioni del Codice (come riviste dal Decreto correttivo), evitando tuttavia, sul piano formale, un'applicazione parziale del Codice stesso.

Il termine a decorrere dal quale sussiste la “mancata adesione” del Fisco e degli entri previdenziali e assistenziali

In virtù di tali modifiche, viene superata anche un'ulteriore criticità dovuta al fatto che, quando alla transazione fiscale e previdenziale si ricorre nell'ambito delle trattative che precedono la conclusione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, l'amministrazione finanziaria spesso impiega tempi assai lunghi (in molti casi più di un anno) per completare l'attività istruttoria, certificare la posizione debitore e pronunciarsi sulle proposte di transazione, finendo spesso per compromettere sia le possibilità dell'impresa in crisi sia quelle di recupero dello stesso credito erariale.

Per evitare questa patologia, nel comma 2, ultimo periodo, dell'art. 63 del Codice è stato opportunamente inserito un termine di 60 giorni (aumentato a 90 giorni dal Decreto correttivo) decorrente dal deposito della proposta di transazione fiscale, entro il quale l'Agenzia delle Entrate deve esprimere la propria adesione, ed è stato stabilito che, una volta trascorso inutilmente tale termine, l'accordo diventa omologabile da parte del Tribunale, se ricorrono i due presupposti sopra indicati.

Per ragioni logico-sistematiche tale disposizione deve trovare applicazione anche qualora entro il suddetto termine l'Agenzia delle Entrate esprima il proprio diniego alla proposta, giacché (come si legge nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 14/2019) la nuova norma intende “superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi” e non vi è dubbio che tali resistenze possono concretizzarsi sia qualora l'ente creditore dilazioni oltre misura la risposta alla proposta di transazione, sia qualora esso rigetti espressamente tale proposta. Questa conclusione, inoltre, trova conforto anche nella lettera della nuova norma, atteso che tanto l'espressione anche in mancanza di adesione” (utilizzata sia nel comma 2 dell'art. 63 del Codice sia nel novellato comma 4 dell'art. 182-bis L. Fall. con riguardo all'accordo di ristrutturazione), quanto l'espressione “anche in mancanza di voto” (utilizzata sia nel Decreto correttivo sia nel novellato comma 4 dell'art. 180 L.fall. a proposito del concordato preventivo) possono essere intese non solo come assenza di risposta da parte dell'Erario o degli enti previdenziali, ma anche come risposta negativa, e sono comunque tali da non ostacolare la conclusione testé rappresentata in conformità alla ratio desumibile dalla menzionata relazione illustrativa.

Anche il rigetto della proposta dà infatti luogo alla “mancanza di adesione”, così come anche il voto negativo corrisponde alla “mancanza di voto”, cioè alla mancanza di un voto che consenta l'approvazione della proposta di concordato. E, se proprio si volesse far derivare da tali espressioni un'incertezza interpretativa, questa dovrebbe essere superata sulla base della ratio delle norme di cui trattasi, che conduce alla conclusione testé esposta.

Tuttavia la disposizione recata dal citato comma 2 dell'art. 63 del Codice non è stata introdotta nella legge fallimentare. Si tratta, con tutta evidenza, di una lacuna, perché senza di essa manca l'indicazione del giorno a decorrere dal quale l'adesione alla proposta di transazione può essere considerata mancante e l'impresa debitrice può quindi chiedere al Tribunale la omologazione dell'accordo di ristrutturazione nonostante il silenzio da parte del Fisco e/o degli enti previdenziali e assistenziali, e non è ragionevole pensare che tale termine possa essere individuato in via interpretativa (dopo 60 giorni, 90, 120 o quanti altri?). Si tratta quindi di una lacuna (probabilmente temporanea, in quanto dovuta non a una dimenticanza ma alla necessità di un coordinamento sul punto tra il Ministero della Giustizia e il Ministero dell'Economia e delle Finanze) che è comunque necessario colmare.

Analoga esigenza non sussiste invece relativamente al concordato preventivo, perché in questo caso il termine dal quale l'adesione alla proposta di transazione si deve intendere “mancante” è necessariamente costituito dal ventesimo giorno successivo alla chiusura del processo verbale dell'adunanza dei creditori e la data di tale adunanza è stabilita dal Tribunale con il decreto di ammissione alla procedura.

La previsione recata dall'ultimo periodo del comma 2 del citato art. 63 suggerisce infine un'ultima considerazione. Poiché l'accordo di ristrutturazione dei debiti oggetto di omologazione è costituito generalmente da un “fascio” di accordi, uno dei quali è rappresentato dalla transazione fiscale, un altro dalla transazione contributiva, altri dagli atti sottoscritti con i creditori e altri ancora da quelli stipulati con il ceto bancario, la omologazione della transazione fiscale e/o di quella previdenziale può essere disposta dal Tribunale solo dopo che gli altri accordi (salvo il caso in cui non ve ne siano) sono stati stipulati: pertanto quello di sessanta (o novanta giorni) rappresenta solo il termine a decorrere dal quale l'omologazione di tali atti può essere disposta e non quello in cui può essere realmente avviata, ogniqualvolta entro il medesimo termine gli altri accordi, in particolare se sono necessari per il superamento della soglia di rappresentatività dei crediti del 60 o del 30%, non siano ancora stati stipulati.

È auspicabile che l'Agenzia delle Entrate si pronunci entro il suddetto termine su tutte le proposte che le verranno formulate (che non è in verità particolarmente generoso, tant'è che chi scrive aveva due anni fa prospettato la norma di cui trattasi indicandone uno di centoventi giorni), ma non si può escludere che una risposta alla proposta di transazione intervenga dopo il termine di cui trattasi e al tempo stesso prima della presentazione della domanda di omologazione degli accordi: quale effetto produrrebbe? Se la risposta del Fisco è positiva e sussiste quindi adesione alla proposta, viene meno il presupposto di applicazione della norma prevista dal comma 5 dell'art. 48 e conseguentemente viene meno anche la necessità di richiedere al Tribunale di omologare “in sostituzione” l'accordo. Se la risposta è invece negativa, tale disposizione trova invece piena applicazione, come quando il Fisco non fornisce alcuna risposta, perché anche in questo caso - come si è detto - si genererebbe una “mancanza di adesione”. A conclusioni diverse si dovrebbe, al contrario, pervenire se si ritenesse invece che il rigetto della proposta non sia equiparabile alla mancanza di risposta, perché in questa circostanza difetterebbe il presupposto previsto dal citato art. 48 per la omologazione “in sostituzione” (cioè la “mancanza di adesione”) ; si tratterebbe tuttavia della conseguenza di un'interpretazione che contrasta in pieno con la ratio di tale norma e che è quindi da disattendere.

La data di decorrenza delle disposizioni introdotte nella Legge fallimentare

Il momento di efficacia delle norme introdotte nella legge fallimentare con l'emendamento approvato l'11 novembre 2020 dipenderà ovviamente da ciò che al riguardo verrà (o non verrà) disposto nella legge di conversione del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, all'interno della quale l'emendamento è stato inserito.

È tuttavia auspicabile che essi si producano non solo per gli accordi di ristrutturazione e i concordati preventivi che verranno avviati successivamente alla data di entrata in vigore di tali norme, ma anche ai concordati per i quali alla predetta data non si sia ancora tenuta l'adunanza dei creditori e per gli accordi di ristrutturazione non ancora sottoscritti alla medesima data (fermo restando che, per tener conto pienamente degli effetti della novella legislativa, in molti casi potrebbe essere opportuno riformulare il piano di risanamento e le proposte di transazione). Non vi è dubbio che, per i motivi sopra illustrati, si tratta di disposizioni assai utili (per il debitore, per lo stesso Erario e per gli altri creditori) e non si vede quindi quali potrebbero essere le controindicazioni sostanziali per cui, fermi restando in ogni caso i rapporti giuridici sorti anteriormente, dovrebbero essere applicate solo ai procedimenti non ancora avviati.

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