Captatore informatico legittimo per reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti

07 Dicembre 2020

In tema di intercettazioni tramite captatore informatico, è legittimo utilizzare tale strumento anche per intercettazioni disposte prima dell'entrata in vigore della normativa codicistica come modificata dal d.lgs. Orlando, se riguardano reati di criminalità organizzata. Ciò perché prima del sostanziale recepimento codicistico della giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite avevano ravvisato la legittimità di tale strumento – limitatamente ai delitti di criminalità organizzata – nell'art. 13 d.l. 152/1991 che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora senza la necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto.

Sul tema, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32426/20, depositata il 18 novembre.

Il caso. Il Tribunale del riesame accoglieva parzialmente l'istanza annullando l'ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari, limitatamente a un episodio di cessione di cocaina e confermando, nel resto, l'ordinanza quanto a un ulteriore episodio di cessione di sostanze stupefacenti e per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, confermando, dunque, la misura cautelare della custodia in carcere.

I decreti autorizzativi avevano disposto che l'attività di indagine avvenisse tramite virus trojan, cioè mediante uno strumento di captazione informatica dei flussi di comunicazioni e dei dati dei dispositivi elettronici e del telefono.

Sulla legittimità delle intercettazioni disposte. Secondo la difesa le intercettazioni autorizzate sarebbero illegittime per mancanza di idonea motivazione.

Sul punto il tribunale del riesame aveva adeguatamente motivato in ordine alla utilizzabilità delle intercettazioni sotto sia il profilo della loro legittimità sia sotto quello della specifica motivazione.

Ad avviso del Collegio, però, l'utilizzo del captatore nella fattispecie attualmente sottoposta, riguardando intercettazioni disposte in ambito di criminalità organizzata prima dell'entrata in vigore delle disposizioni, era pienamente legittimo.

Focus sull'an. In proposito di legittimità, la Corte di cassazione offre un approfondimento accurato.

La disciplina delle intercettazioni tramite captatore informatico in un dispositivo elettronico ha trovato un inquadramento giuridico in primis grazie all'elaborazione giurisprudenziale che ha dovuto confrontarsi con le novità tecnologiche e, in particolare, con il mezzo di ricerca della prova costituito dall'intercettazione di conversazioni telefoniche o tra presenti mediante il c.d. virus trojan. Attraverso tale strumento si riesce a captare l'intero flusso di informazioni provenienti da un dispositivo elettronico in cui tale virus informatico è stato inoculato, seguendolo costantemente con un'attivazione continua e l'apprensione di tutti i dati in esso contenuti.

Le Sezioni Unite Scurato. La giurisprudenza di legittimità (e, in particolare, le Sezioni unite Scurato) hanno affrontato il problema osservando come, in tema di intercettazioni ambientali, vi fosse la possibilità di utilizzare il captatore informatico e come tale possibilità derivasse direttamente dalle disposizioni normative vigenti (il riferimento era all'art. 13 d.l. 152 del 1991, conv. con l. 203 del 1991), così limitandone l'utilizzo ai reati di criminalità organizzata.

Ciò perché, secondo le Sezioni Unite, quando si autorizza l'utilizzazione di questo strumento esecutivo dell'intercettazione, si deve prescindere dall'indicazione dei luoghi in cui la captazione deve avvenire perché è impossibile una preventiva individuazione ed indicazione dei luoghi di interesse, data la natura itinerante dello strumento di indagine da utilizzare, strumento che rende impossibile circoscrivere a priori l'intercettazione ambientale rispetto a determinati luoghi.

Ciò considerato, le Sezioni unite Scurato hanno affermato la possibilità di accedere all'intercettazione tramite captatore informatico da parte degli organi investigativi, limitandone però l'ammissibilità rispetto ai soli procedimenti per i delitti di criminalità organizzata perché, per questi reati, è consentita la captazione anche nei luoghi di privata dimora senza la necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto.

In considerazione del carattere particolarmente invasivo della sfera privata individuale, la qualificazione del fatto-reato – ricompreso nella nozione di criminalità organizzata – deve risultare ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari, evidenziati nella motivazione del provvedimento di autorizzazione in modo rigoroso.

Il giudice che autorizza l'intercettazione, pertanto, è tenuto a motivare con precisione; tuttavia si ritiene sufficiente, giusta la categoria del provvedimento de quo, una motivazione minima purché idonea a chiarire le ragioni dell'autorizzazione.

All'uopo le Sezioni unite hanno fornito una nozione di “procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata”, per tali intendendo quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p. nonché quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.

Non autorizzabile per procedimenti per reati comuni. La giurisprudenza ha dunque escluso l'utilizzo del virus trojan per le indagini riguardanti reati comuni perché, stante l'impossibilità, nel momento dell'autorizzazione, di prevedere i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico potrebbe essere introdotto, non sarebbe consentito verificare il rispetto della condizione di legittimità richiesta dal codice che presuppone, per le captazioni in luoghi di privata dimora, che ivi sia in atto l'attività criminosa.

Caratteri distintivi dello strumento. Secondo le Sezioni unite, utilizzando tale strumento, le intercettazioni vengono effettuate mediante un software, del tipo definito trojan horse (chiamato anche captatore informatico o agente intrusore). Tale programma informatico viene installato in un dispositivo (computer, tablet, smartphone), di norma a distanza e in modo occulto, per mezzo del suo invio con una mail, un sms o un'applicazione di aggiornamento.

Il software è costituito da due moduli principali: il primo (server) è un programma di piccole dimensioni che infetta il dispositivo bersaglio mentre il secondo (client) è l'applicativo che il virus usa per controllare il dispositivo.

Tale strumento consente lo svolgimento di varie attività:
a) captare tutto il traffico dati in arrivo o in partenza dal dispositivo infettato;
b) attivare il microfono e, dunque, apprendere per tale via i colloqui che si svolgono nello spazio che circonda il soggetto che ha la disponibilità materiale del dispositivo, ovunque si trovi;
c) mettere in funzione la web camera, permettendo di carpire le immagini;
d) perquisire l'hard disk e fare copia, totale o parziale, delle unità di memoria del sistema informatico preso di mira;
e) decifrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera collegata al sistema (keylogger) e visualizzare ciò che appare sullo schermo del dispositivo bersaglio (screenshot); sfuggire agli antivirus in commercio.

I dati raccolti sono trasmessi, via internet e in tempo reale o a intervalli prestabiliti, ad altro sistema informatico in uso agli investigatori.

La disciplina legislativa. Infine, il legislatore è intervenuto a disciplinare lo strumento del trojan con il c.d. decreto Orlando (d.lgs. 216 del 2017) che ha modificato l'art. 266 codice di rito, inserendo espressamente la possibilità di dar luogo alle intercettazioni tra presenti tramite captatore informatico e aggiungendo che l'intercettazione di comunicazioni o conversazioni tra presenti mediante captatore informatico è sempre consentito nei procedimenti di criminalità organizzata.

Il legislatore ha sostanzialmente codificato il quadro già ricostruito dalla giurisprudenza. Inoltre, ha esteso la possibilità di utilizzo del captatore anche ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Il d.lgs. di cui sopra, limitatamente alla disciplina delle intercettazioni, come noto, ha previsto una norma transitoria che ha posposto, attraverso l'indicazione di un termine più volte prorogato, l'entrata in vigore di alcune norme.

Una conferma delle Sezioni Unite Civili con riguardo ai procedimenti di criminalità organizzata. Successivamente, le Sezioni unite civili hanno confermato, in linea con le Sezioni unite Scurato, la possibilità di utilizzare il captatore informatico per i reati di criminalità organizzata, precisando che tale possibilità preesisteva e prescindeva dalla modifica del testo delle disposizioni del codice di rito, derivando direttamente dall'art. 13 d.l. 152 del 1991.

Sull'obbligo di motivazione circa l'esistenza di sufficienti, sicuri e obiettivi indizi di esistenza del reato di criminalità organizzata. Premessa la spiegazione circa l'assoluta indispensabilità di far ricorso al mezzo, così da consentire la verifica sulle ragioni della compressione della libertà di comunicare di una determinata persona, illustrando il rapporto tra l'intercettazione e le investigazioni in atto, la motivazione del decreto di autorizzazione dovrebbe dare conto anche delle ragioni che rendono necessario far ricorso all'intercettazione tramite trojan ai fini della prosecuzione delle indagini rispetto a una determinata, specifica e fondata ipotesi delittuosa.

La motivazione del decreto di autorizzazione era adeguata. Secondo il ricorrente, la motivazione dei decreti non indica sufficientemente le ragioni per le quali tale modalità di intercettazione sia necessaria per lo svolgimento delle indagini.

Quanto alla censura sollevata dal ricorrente, in proposito osserva il Collegio che il provvedimento impugnato si sofferma sull'analisi del decreto di autorizzazione sottolineando come abbia avuto quale bersaglio l'utenza di soggetto che il giudice per le indagini preliminari ha individuato adeguatamente come uno stretto fiancheggiatore di uno dei leader del sodalizio criminale e coinvolto personalmente nel traffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti.

Quanto alla necessità di ricorrere al trojan, il giudice per le indagini preliminari ha motivato osservando che tale mezzo costituiva l'unico da cui era possibile trarre notizie sulle direttive emanate dai capiclan in stato di detenzione e per conoscere le dinamiche interne al sodalizio nonché per individuare il compito affidato a ciascuno dei sodali all'interno della compagine criminale. Ragioni queste che, secondo la Corte, sostengono pienamente la legittimità della motivazione del decreto di autorizzazione.

(Fonte: www.dirittoegiustizia.it)

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