Enti no profit e principio del c.d. “utile necessario”

Giacomo Quarneti
09 Dicembre 2020

Il TAR Veneto afferma che il principio dell'utile necessario non è estensibile nei confronti di soggetti che operano per scopi non economici, bensì sociali o mutualistici e chiarisce che la scelta di sottoporre l'offerta a verifica facoltativa di anomalia ex art. 97, comma 6, d.lgs. n. 50/2016 è rimessa ad una valutazione ampiamente discrezionale della stazione appaltante.

Il caso.

La controversia trae origine dall'impugnazione dell'aggiudicazione da parte della seconda graduata, la quale contesta la mancata esclusione della cooperativa sociale aggiudicataria per aver presentato un'offerta inattendibile perché da considerare in perdita (primo motivo di ricorso), nonché l'operato della stazione appaltante che, pur in presenza di macroscopici indicatori di incongruità dell'offerta avversaria, non avrebbe attivato il subprocedimento di verifica dell'anomalia ex art. 97, comma 6, d.lgs. n. 50/2016 (secondo motivo).

La questione.

In particolare, la ricorrente deduceva che il prezzo offerto dall'aggiudicataria, detratti gli oneri per la sicurezza e il costo della manodopera, presentava un margine così residuo da essere inadeguato per coprire i restanti costi (connessi agli obblighi contrattualmente assunti) nonché l'utile d'impresa, circostanza che paleserebbe l'antieconomicità dell'offerta.

Inoltre, la ricorrente pur dando atto che l'offerta dell'aggiudicataria non poteva essere ritenuta di per sé anomala, rilevava che la stessa era assai prossima alla soglia raggiunta la quale l'art. 97, comma 3, d.lgs. n. 50/2016, impone la verifica di anomalia e contestava l'operato della stazione appaltante per non avere essa sottoposto tale offerta alla procedura di verifica facoltativa, ai sensi del sesto comma dell'art. 97 d.lgs. n. 50/2016, il quale prevede appunto che “La stazione appaltante in ogni caso può valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa”.

La soluzione.

Il TAR Veneto ha rigettato il primo motivo di impugnazione ritenendo che esso sia inammissibile – stante la richiesta al giudice amministrativo di dare corso ad un sindacato di anomalia dell'offerta – e infondato nel merito.

In linea generale, invero, la giurisprudenza è dell'avviso che un'offerta che presenti un utile pari a zero renda ex se inattendibile l'offerta economica (cfr. Cons. St., Sez. V, n. 6522/2018; Cons. St., Sez. IV, 963/2015, Cons. St., Sez. IV, 289/2015; TAR Campania, Salerno, n. 1911/2019; TAR Calabria, Reggio Calabria, n. 544/2014 e n. 603/2013).

Tale giurisprudenza ha ormai superato quell'orientamento giurisprudenziale che aveva ritenuto ammissibile un'offerta che presentasse un utile pari a zero, sulla base dell'assunto che l'aggiudicazione di un determinato appalto, in particolari settori di nicchia, poteva causare un utile non economico ma curriculare e di qualificazione per il futuro dell'impresa interessata (Cons. St., Sez. V, n. 5435/2019).

Ha tuttavia chiarito la giurisprudenza prevalente che il cosiddetto principio dell'utile necessario non è estensibile nei confronti di soggetti che operano per scopi non economici, bensì sociali o mutualistici: per tali operatori economici, diversamente da quanto accade per gli operatori economici a scopo di lucro, l'offerta senza utile non è, solo per questo, anomala o inaffidabile (cfr. Cons. St., Sez. V, n. 6522/2018; Cons. St., Sez. V, n. 2900/2017; Cons. St., Sez. V, n. 3855/2016; Cons. St., Sez. V, n. 84/2015; TAR Sardegna, n. 210/2020; TAR Lazio, Roma, n. 7322/2019).

Al riguardo è stato inoltre precisato che, se è consentito agli enti no profit di esporre un utile pari a zero, non può tuttavia essere permesso ad essi di lavorare in perdita praticando politiche di dumping sociale o di deflazione salariale mediante la presentazione di offerte che siano sottocosto o disvelino, unitamente ad altri elementi, un fine predatorio o anticoncorrenziale (Cons. St., Sez. V, n. 84/2015).

Differentemente, secondo un minoritario orientamento più restrittivo, la presunzione di inaffidabilità delle offerte con utile pari a zero opera anche ove la proposta economica provenga da enti no profit, dovendosi ascrivere prevalenza all'interesse della stazione appaltante a confidare nella corretta e regolare esecuzione del servizio (cfr. TAR Puglia, Bari, n. 347/2014 e n. 781/2013; Cons. St., Sez. V, ordinanza n. 4807/2012; Cons. St., Sez. V, ordinanza n. 4405/2012; TAR Lazio, Latina, n. 539/2014; secondo quest'utlimo, anche a fronte di un'offerta presentata da un ente no profit “un utile pari a zero è inammissibile perché non soddisfa l'interesse pubblico del committente a confidare nella regolare esecuzione del servizio. Va, inoltre considerato che l'ammissibilità delle offerte con utile pari a zero contrasta irrimediabilmente con il principio della par conditio dei concorrenti posto che posizionerebbe su piani diversi le imprese partecipanti alla gara per l'appalto”. Tale sentenza è stata riformata da Cons. St., Sez. V, n. 84/2015).

Nel rigettare la prima censura della ricorrente il TAR Veneto aderisce al prevalente orientamento giurisprudenziale, affermando che deve ritenersi che sia del tutto irrilevante la circostanza che l'offerta della cooperativa sociale aggiudicataria non garantisca di conseguire un qualche utile di impresa.

Ciò non solo perché la natura di organizzazione non lucrativa di utilità sociale dell'aggiudicataria consente alla stessa di beneficiare di favorevoli ricadute fiscali e previdenziali, originate dall'esenzione dal pagamento dell'IRAP sul reddito d'impresa e da importanti sgravi contributivi (fattori che incrementano dunque l'ammontare netto dell'utile).

A detta del TAR Veneto, invero, i soggetti partecipanti a una gara che abbiano siffatta natura non sono tenuti a presentare un'offerta che garantisca un utile d'impresa, atteso che un siffatto obbligo si tradurrebbe in una prescrizione incoerente con la relativa vocazione non lucrativa.

Per questo motivo, il TAR Veneto afferma che la possibile assenza di un margine adeguato non possa dare luogo ad alcuna conseguenza espulsiva né costituire il presupposto per l'attivazione di un giudizio di anomalia, considerato anche che, nel caso di specie, doveva escludersi la presenza di fenomeni di deflazione salariale o di dumping sociale, dei quali la ricorrente non aveva fatto alcuna menzione.

Il TAR Veneto ha inoltre rigettato anche la seconda censura della ricorrente affermando che la scelta di sottoporre l'offerta a verifica facoltativa di anomalia exart. 97, comma 6, d.lgs. n. 50/2016 è rimessa ad una valutazione ampiamente discrezionale, che non richiede un'espressa motivazione e che risulta sindacabile soltanto laddove emergano palesi vizi di irragionevolezza o di illogicità; vizi che, nella nel caso di specie, non potevano essere ricondotti, come riteneva erroneamente la ricorrente, né a una ipotizzata (ma indimostrata) sottovalutazione della componenti di costo, immanenti all'assunzione del servizio, né alla prossimità (ma non al superamento) dell'importo offerto, alla soglia di anomalia (il TAR Veneto richiama Cons. St., Sez. III, n. 3329 del 2015, nonché TAR Lazio, Roma, Sez. III, n. 6248 del 2020; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 1510 del 2020).