Epopea dell'impiego della posta elettronica certificata nel procedimento penale

10 Dicembre 2020

In tema di giudizio di cassazione, anche a seguito dell'introduzione dell'art. 24, comma 4, del d.l. n. 137/2020, in attesa di conversione, contenente disposizioni per contrastare l'emergenza da COVID-19, sono inammissibili i motivi nuovi di cui al combinato disposto degli artt. 311, comma 4 e 585, comma 4, c.p.p. trasmessi (nella specie dal pubblico ministero) mediante posta elettronica certificata (cd. PEC)...
La massima

In tema di giudizio di cassazione, anche a seguito dell'introduzione dell'art. 24, comma 4, d.l. n. 137/2020, in attesa di conversione, contenente disposizioni per contrastare l'emergenza da COVID-19, sono inammissibili i motivi nuovi di cui al combinato disposto degli artt. 311, comma 4, e 585, comma 4, c.p.p. trasmessi (nella specie dal pubblico ministero) mediante posta elettronica certificata (cd. PEC), stanti, da un lato, la tassatività delle modalità di presentazione delle impugnazioni e, dall'altro, la natura non derogatoria del citato art. 24, comma 4, rispetto alle previsioni sia del codice di procedura penale, sia del d.l. n. 193/2009, convertito con modificazioni dalla l. n. 24/2010, sia anche del regolamento delegato adottato con d.m. n. 44/2011, concernente le regole tecniche per il processo civile e penale telematici. (In motivazione la Corte ha specificato che, ferme restando la specifica disciplina dettata dall'art. 24, commi 1 e 6, d.l. n. 137/2020, che sostanzialmente riproduce l'art. 83, comma 12-quater 1, d.l. n. 18/2020, conv. con modif. dalla l. n. 24/2020, quanto a memorie, documenti, richieste, istanze di cui all'art. 415-bis, comma 3, c.p.p. in relazione agli uffici ove sia stato attivato il portale del processo penale telematico, il comma 4 del predetto art. 24 può trovare applicazione, sotto condizione degli adempimenti amministrativi dal medesimo previsti, unicamente con riguardo al deposito degli atti di parte per i quali il codice di rito non disponga modalità e forme particolari).

Il caso

Il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice del riesame, annullava il provvedimento cautelare emesso nei confronti degli imputati in relazione al reato di cui all'art. 270-bis c.p. per insussistenza della gravità indiziaria, anche con riferimento alle circostanze aggravanti di cui agli art. 270-bis 1 e 414, comma 4, c.p., contestate per il reato di istigazione a delinquere. In sostanza la decisione escludeva la ricorrenza di gravi indizi di colpevolezza quanto alla costituzione di un'associazione a delinquere di stampo anarchico, in mancanza di un effettivo inserimento della singola cellula nella struttura principale, nonché a causa della mancanza di riscontri circa l'effettiva elaborazione di un programma criminoso, fondato sul ricorso sistematico a metodi violenti e antidemocratici.

Avverso la decisione di annullamento il procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione, denunciando violazione di legge per essere stata erroneamente esclusa la sussistenza del delitto ex art. 270-bis e 414 c.p.

In data 2/11/2020 pervenivano in cancelleria, via PEC, motivi del pubblico ministero ricorrente che denunciava ulteriormente la violazione di legge in relazione alla configurazione dell'art. 270-bis c.p., con particolare riferimento all'oggettiva irrilevanza dell'effettiva commissione dei reati-scopo al fine di configurare il delitto predetto.

La Prima sezione ha preliminarmente dato atto dell'inammissibilità dei motivi nuovi trasmessi alla cancelleria via PEC da parte del pubblico ministero ricorrente.

Tale è il profilo di cui si occuperà nel presente scritto.

La questione

La Prima sezione, nel dare atto dell'inammissibilità dei motivi nuovi, ha richiamato alcuni principi consolidati in tema di impugnazioni e utilizzo della posta elettronica certificata, precisando che:

  • in tema di giudizio di appello, sono inammissibili i motivi aggiunti trasmessi mediante posta elettronica certificata, essendo consentito l'utilizzo di tale mezzo solo per le notificazioni e comunicazioni da effettuarsi a cura della cancelleria e potendo lo stesso operare unicamente in presenza del fascicolo telematico, non ancora instaurato nel processo penale (Cass. pen., Sez. V, 5 marzo 2020 n. 12949; Cass. pen., Sez. I, 15 novembre 2019, n. 2020);
  • è inammissibile il ricorso per cassazione proposto mediante l'uso della posta elettronica certificata, in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 c.p.p., sono tassative ed inderogabili (Cass. pen., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 52092);
  • è inammissibile l'opposizione al provvedimento di rigetto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata a mezzo di posta elettronica certificata, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell'assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale il deposito di atti in via telematica (Cass. pen., Sez. IV, 19 dicembre 2019 n. 10682);
  • è inammissibile l'opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di posta elettronica certificata, nonostante che per espressa previsione di legge il valore legale della posta elettronica certificata sia equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno (Cass. pen., Sez. IV, 23 gennaio 2018, n. 21056).

La riflessione della Prima sezione si è quindi snodata attraverso la norma primaria di cui all'art. 4 d.l. n. 193/2009, la quale prevede una deroga alla diretta applicazione delle disposizioni del CAD (Codice dell'amministrazione digitale) quanto ai procedimenti civili e penali, atteso che, nell'ambito di un più generale progetto volto all'applicazione delle tecnologie dell'informazione in tali procedimenti, stabilisce che in seno agli stessi le comunicazioni e le notificazioni per via telematica si effettuano mediante posta elettronica certificata ai sensi, non solo del d.lgs. n. 82/2005 e del d.P.R. n. 68/2005, ma anche delle regole tecniche stabilite ai sensi del comma 1 del medesimo art. 4.

Sulla base del riferimento altresì alle regole tecniche, dunque, l'equiparazione introdotta dall'art. 48 CAD tra PEC e raccomandata non porta alla diretta applicazione della PEC da parte dei difensori nei procedimenti civili e penali, se non nei limiti di quanto stabilito dal d.m. n. 44/2011, che siffatte regole tecniche istituisce e disciplina.

Le soluzioni giuridiche

Considerati i superiori riferimenti normativi come quadro giuridico d'insieme in ordine all'utilizzo della PEC nel procedimento penale, e tenuto conto delle previsioni introdotte dalla legislazione anti-COVID, di cui si dirà in appresso, la Prima sezione ha avuto buon agio a richiamare, a supporto delle proprie conclusioni, l'orientamento di legittimità che afferma l'imprescindibile necessità dell'accertamento dell'identità di colui che sottoscrive l'atto, con particolare riguardo all'atto di impugnazione (Cass. pen., Sez. II, 28 aprile 2004, n. 25967), affermando che la certezza della provenienza dell'atto si compie attraverso il momento successivo ma fondamentale del deposito dello stesso. La procedura di deposito, infatti, assume una funzione “strumentale alla verifica della legittimazione di colui che propone l'impugnazione (costituente condizione di ammissibilità della stessa ex art. 591, comma 1 lett.a), c.p.p.)”: funzione “che non può essere sostituita dalla sua semplice trasmissione a mezzo del fax o della posta elettronica”.

Ricorda quindi la Prima sezione come, quanto all'identificazione, la PEC non abbia alcuna idoneità ad assicurare la paternità dell'atto allegato come documento al messaggio di posta elettronica, poiché, molto più banalmente, si limita soltanto a garantire la provenienza del messaggio da una determinata casella di posta elettronica e la ricezione dello stesso da parte del destinatario prescelto. L'unico mezzo per assicurare la paternità dell'atto in capo a chi elettronicamente lo sottoscrive è la firma digitale, tuttavia non ancora utilizzabile nel procedimento penale, stante il d.m. n. 44/2011.

Su tale sostrato normativo interviene la legislazione anti-COVID.

Il tema, affrontato in dettaglio dalla Prima sezione, è quello della portata, innovativa o meno, dell'art. 24, commi 4 e 5, d.l. n. 137/2020. In particolare, il comma 4 stabilisce che, per tutti gli atti, documenti ed istanze, comunque denominati, diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui all'art. 1 d.l. n. 19/2020, è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata, inserita nel registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all'art. 7 del d.m. n. 44/2011. Il medesimo comma 4 soggiunge che il deposito “deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio”.

La Corte, nell'interpretare il comma 4, atteso il riferimento dello stesso agli atti diversi da quelli indicati nei commi 1 e, per quanto di ragione, 2, si è trovata nella necessità anzitutto di definire il contesto dell'intervento normativo d'urgenza, chiarendo che il comma 1 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 disciplina il deposito solo presso alcuni uffici giudiziari (proprio in considerazione delle specifiche tecniche che vi trovano attuazione) esclusivamente delle memorie, dei documenti e delle istanze di cui all'art. 415-bis c.p.p.: la ragione di tale duplice limitazione risiede in ciò che alle memorie, ai documenti ed alle istanze di cui all'art. 415-bis c.p.p. si riferisce testualmente il comma 1, il quale richiama altresì testualmente come modalità di deposito l'impiego del “portale del processo penale telematico”, da individuare con provvedimento del direttore generale dei servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, anche in deroga alle disposizioni vigenti, previste dal d.m. n. 44/2011.

Il comma 1, secondo la Prima sezione, non ha portata innovativa.

Nel periodo emergenziale, infatti, già sono state emanate disposizioni relative al deposito con modalità telematiche delle memorie, dei documenti e delle istanze di cui all'art. 415-bis c.p.p. Più precisamente, il comma 1 riproduce in termini sostanzialmente identici l'art. 83, comma 12-quater 1,d.l. n. 18/2020: ragion per cui, secondo l'ermeneusi del collegio, il deposito telematico avente valore legale è rivolto esclusivamente al settore penale e, in particolare, esclusivamente alla fase del deposito degli atti ex art. 415-bis c.p.p. presso i soli uffici giudiziari a ciò abilitati.

Chiarito quanto precede, compiendo un ulteriore passo in avanti, la Prima sezione osserva che, al cospetto del comma 1, il comma 4 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 effettivamente sembrerebbe, alla lettera, consentire il deposito telematico, attraverso l'impiego della PEC, di tutti gli atti, documenti ed istanze diversi dagli atti ex art. 415-bis c.p.p. contemplati dal comma 1.

In disparte la difficoltà di individuare gli atti, documenti ed istanze diversi dagli atti ex art. 415-bis c.p.p. contemplati dal comma 1, su cui si tornerà tra breve, viene in linea di conto che, secondo la Prima sezione, una maggiore portata applicativa del comma 4 rispetto al comma 1 sarebbe illogica, perché porterebbe ad una corrispondente maggiore portata applicativa del deposito mediante l'impiego della PEC rispetto allo strumento tecnico allo scopo specificamente previsto, ovvero il portale sopra richiamato. L'analisi sistematica della disposizione evidenzierebbe dunque che, “se il legislatore avesse voluto prevedere l'uso della PEC come modalità di deposito generalizzata di tutti gli atti del processo penale a qualunque ufficio indirizzati, avrebbe manifestato in modo chiaro tale volontà, anteponendo le norme contenute nei commi 4 e 5 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 alla modalità di deposito tramite portale, che rivestirebbe perciò applicazione residuale”.

Fermo quanto precede, la Prima sezione richiama inoltre un insuperabile ostacolo testuale ad una lettura generalizzante del comma 4 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020, rappresentato, al momento dell'invio dei motivi nuovi da parte del pubblico ministero, dalla mancata adozione degli strumenti direttoriali dal medesimo comma 4 previsti (essendo stato emesso unicamente il provvedimento di cui all'art. 23), con conseguente totale assenza della normativa tecnica che avrebbe dovuto essere applicata al caso di specie in relazione al compimento dell'atto.

La Prima sezione sottolinea, ad ogni modo, come sarebbe quantomeno dubbio che un provvedimento dirigenziale di natura tecnica possa derogare a precise disposizioni di rango primario regolanti il deposito di atti del procedimento penale, quali le impugnazioni, caratterizzati da forme e modalità particolari, in mancanza di un'espressa autorizzazione in tal senso contenuta nella legge che detto provvedimento prevede. Ne sarebbe sovvertita la gerarchia delle fonti che caratterizza gli interventi di informatizzazione relativi al rito penale, con particolare riferimento:

- all'assenza di un'espressa deroga, da parte del d.l. n. 137/2020, alla disposizione di livello primario di cui all'art. 4 del DL n. 139/2009 sull'uso della PEC nei procedimenti civili e penali;

- alla natura di regolamento delegato o di delegificazione del d.m. n. 44/2011; - all'assenza di un'espressa deroga, da parte del d.l. n. 137/2020 e comunque della legislazione anti-COVID, alle norme del codice di rito. Dunque, quando il codice di rito prevede forme o modalità particolari per il deposito dell'atto, come nel caso delle impugnazioni, l'intervento d'urgenza di cui al comma 4 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 non esplica efficacia derogatoria allo status quo, né men che meno un tale tipo di effetto potrebbe essere raggiunto per mezzo di un provvedimento emesso dall'autorità tecnica in attuazione dello stesso comma 4.

Ne consegue che l'unico ambito di applicazione del comma 4 può quindi essere identificato nella “regolamentazione delle modalità di deposito degli atti di parte per il quale il codice di rito non disponga modalità e forme particolari”.

In definitiva, secondo la Prima sezione, sono inammissibili i motivi nuovi proposti, nel caso devolutole, dal procuratore della Repubblica mediante PEC, anche perché l'attestazione di deposito, dalla quale derivano gli effetti di legge, è rappresentata dall'annotazione nel registro e dall'inserimento nel fascicolo telematico, non potendo farsi discendere esclusivamente dalla ricezione del messaggio di posta.

La disciplina emergenziale

Alcune riflessioni sulla sentenza in commento - che affronta il delicato e complesso tema della disciplina emergenziale in tema di deposito degli atti - possono essere formulate tenendo conto dell'attualità e rilevanza della possibile ed attesa normativa telematica del processo penale e dei conseguenti riflessi sul giudizio di legittimità.

In primo luogo appare opportuno richiamare la portata dell'art. 24 d.l. n. 137/2020. Il comma 1, che non si caratterizza per particolare chiarezza di formulazione, recita che, “in deroga a quanto previsto dall'art. 221, comma 11, d.l. n. 34/2020 convertito con modificazioni dalla l. n.77/2020, fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 d.l. n. 19/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 35/2020, il deposito di memorie, documenti, richieste ed istanze indicate dall'art.415-bis, comma3, c.p.p. presso gli uffici delle procure della repubblica presso i tribunali avviene, esclusivamente, mediante deposito dal portale del processo penale telematico individuato con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia e con le modalità stabilite nel decreto stesso, anche in deroga alle previsioni del decreto emanato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, d.l. n. 193/2009, convertito con modificazioni dalla l. n. 24/2010. Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento”. Al comma 1 si collega il comma 2: “Con uno o più decreti del Ministro della giustizia, saranno indicati gli ulteriori atti per quali sarà reso possibile il deposito telematico nelle modalità di cui al comma 1”.

L'interrogativo che inevitabilmente si pone è quello relativo a quale sia la portata della “deroga” al comma 11 dell'art. 221 d.l. n. 34/2020 introdotta dal comma 1 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020.

Il comma 11 dell'art. 221 recita che, “al fine di consentire il deposito telematico degli atti nella fase delle indagini preliminari, con decreto del Ministro della giustizia non avente natura regolamentare è autorizzato il deposito con modalità telematica, presso gli uffici del pubblico ministero, di memorie, documenti, richieste e istanze di cui all'art. 415-bis, comma 3, c.p.p., nonché di atti e documenti da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, secondo le disposizioni stabilite con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, anche in deroga alle disposizioni del decreto emanato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, d.l.n.193/2009, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 24/2010. Il deposito si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento direttoriale di cui al primo periodo. Il decreto di cui al primo periodo è adottato previo accertamento da parte del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici”.

Una certa qual imprecisione del comma 1 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 emerge sin dall'inizio, ove di parla di “deroga”, senza altri riferimenti di raccordo, al comma 11 dell'art. 221 d.l. n. 34/2020; ma poiché di “deroga” si tratta, il comma 11 seguita ad essere pienamente vigente.

La contemporanea vigenza di entrambi i commi 1 dell'art. 24 ed 11 dell'art. 221 sembra portare alla conclusione di ritenere che il primo sottragga al secondo il deposito degli atti ex art. 415-bis, comma 3, c.p.p., e soltanto di questi (non anche, ad es., di quelli di p.g.), negli uffici (necessariamente di procura) ove è attivo il portale del processo penale telematico.

Ciò ha un senso: se gli uffici sono dotati di portale, costituirebbe un'inutile duplicazione procedurale l'impiego delle modalità extra-portale di cui al comma 11 dell'art. 221. E ciò contribuisce a chiarire come, in presenza del portale, questo debba essere utilizzato, conseguentemente, anche per gli eventuali ulteriori atti di cui all'adottando decreto ministeriale ex comma 2 dell'art. 24.

Resta tuttavia aperto il problema ‘operativo' per gli uffici nell'ambito dei quali il portale non è attivo.

La “deroga” porta a considerare ragionevole che questi uffici possano comunque accedere alle modalità di deposito mediante l'impiego di PEC, ossia extra-portale, di cui al comma 11 dell'art. 221, che in parte qua si allinea, ‘anticipandolo', al comma 4 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020.

Più precisamente, il comma 4, che viene funditus in rilievo nel ragionamento della Prima sezione, recita che, “per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine [emergenziale], è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all'art. 7 d.m. n. 44/2011. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio”.

Al comma 4 segue il comma 5, contenente prescrizioni tecniche: “Ai fini dell'attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati [per il] tramite [della] posta elettronica certificata ai sensi del comma precedente, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l'atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo provvede, altresì, all'inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell'atto ricevuto con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio”.

A questo punto, in vista dei temi che saranno sviluppati nel prosieguo, appare opportuno evidenziare che tutte le disposizioni esaminate fino a questo momento parlano solo di deposito: la qual cosa costituisce una patente novità rispetto al deludente stato attuale del PPT, fermo, sostanzialmente, al palo delle notificazioni e comunicazioni telematiche e del portale solo dove attivato. Pertanto tutte tali disposizioni incidono unicamente sulla fattispecie del deposito, che si realizza nel momento della presentazione del depositante nella segreteria del Pubblico Ministero o nella cancelleria del Giudice per effettuare la traditio dell'atto: fattispecie, peraltro, non normata – e qui sta il punto – dal codice di rito.

Chiusa siffatta anticipazione, si può tornare alla considerazione del comma 4.

L'argomento principale speso dalla Prima sezione per ritenere inammissibili i motivi nuovi trasmessi, nella specie, dalla parte pubblica via PEC è che il comma 4 non può avere, come pure sembrerebbe alla lettera, una portata generalizzata, siccome riferibile al deposito di tutti gli atti diversi da quelli dei commi 1 e 2, perché, se così fosse, la modalità di deposito mediante PEC, ‘meramente emergenziale', avrebbe essa pure una portata generalizzata, dunque più ampia della modalità di deposito mediante portale, che invece costituisce lo strumento ‘normale' di deposito (pur esso inciso dall'emergenza, ma solo per essere approvato in modo più snello).

Tuttavia, in chiave critica, potrebbe anche essere avviata una riflessione per verificare se effettivamente tale conclusione trovi riscontro nel tenore letterale del comma 1: il quale in realtà, quantomeno a giudizio di chi scrive, non si presta ad essere avviato ad un'interpretazione sistematica volta a sciogliere le incoerenze di quella letterale, non denunciando alcun esito sistematicamente discrasico nel letteralmente riferirsi, da un lato, a “tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2”e, dall'altro, al consentitodeposito [degli stessi] con valore legale mediante posta elettronica certificata”. La prova del nove si ha in ciò che l'esclusione degliatti […] diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2non pare irragionevole, atteso che detti atti sono gli unici a poter essere depositati – soltanto presso gli uffici di procura abilitati – mediante portale; detti “atti”, cioè, seguono le modalità di deposito infra-portale; “tutti” gli altri, senza eccezione, dunque, seguono le modalità di deposito extra-portale.

Dalla opzione ermeneutica prescelta dalla Prima sezione, secondo cui il comma 4 dell'art. 24 può trovare applicazione, sotto condizione degli adempimenti amministrativi, unicamente con riguardo al deposito degli atti di parte per i quali il codice di rito non disponga modalità e forme particolari, conseguirebbe dunque la pretermissione proprio di quell'aggettivo “tutti”, riferito agli “atti[…] diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2”, con cui principia il comma 4.

Inoltre, tentando un ulteriore approfondimento della decisione segnalata, si potrebbe aggiungere che, secondo l'interpretazione dalla Prima sezione, quel medesimo rilievo da Essa criticamente svolto di inaccettabile generalizzazione del comma 4 rispetto al comma 1, che si produrrebbe propendendo per un'esegesi letterale del comma 4, troverebbe comunque spazio di esplicazione in relazione agli atti ex art. 415-bis, comma 3, c.p.p. da depositarsi negli uffici (ripetesi, di procura) non ‘beneficiati' dall'attivazione del portale. Infatti, detti atti, a meno di ritenere che soggiacciano a particolari modalità di deposito, la qual cosa, alla lettera del comma 3, non sembrerebbe essere, ben potrebbero, sulla base dello stesso principio espresso dalla Prima sezione, essere depositati mediante l'impiego della PEC, intesa effettivamente a ‘supplire' in emergenza alla mancata attivazione del portale, ragion per cui la PEC avrebbe per ciò solo una portata più ampia del portale: v'è infatti una sola possibilità affinché ciò non accada, ossia sostenere, senza però il conforto di alcuna disposizione di legge, che, in difetto di attivazione del portale, gli atti ex art. 415-bis, comma 3, c.p.p. non possano essere depositati mediante l'impiego della PEC.

Nell'ottica, dunque, di leggere le parole utilizzate da un pur non esemplare legislatore governativo (sperando in un miglior legislatore parlamentare) per quel che sono, quelle del comma 4 inducono a propendere per la possibilità che “tutti” gli atti – a prescindere dalla loro denominazione e dalla loro funzione procedimentale – diversi da quelli depositabili in modalità infra-portale siano depositabili in modalità extra-portale. Tertium non datur. L'alternativa del legislatore governativo, infatti, è secca e non lascia spazio ad interpretazioni. D'altronde, non è neppure fuor di luogo valutare come l'intenzione del medesimo fosse proprio quella di allargare quanto più possibile il deposito da remoto, in funzione del contrasto alla pandemia: unico modo per consentire un sufficiente livello di amministrazione della giustizia penale, altrimenti votata alla sostanziale paralisi.

La questione della deroga o meno, da parte della disciplina emergenziale, al codice di rito penale, al d.l. n. 193/2009 e al d.m. n. 44/2011

Altro argomento speso dalla Prima sezione è che il comma 4 non porta deroga né alle disposizioni del codice di rito né al d.l. n. 193/2009 né al d.m. n. 44/2011, definito come regolamento di delegificazione.

Torna il tema del deposito, al quale ci si è riferiti sopra.

Il codice di rito non disciplina il deposito (da effettuarsi, al di fuori dell'udienza, nella cancelleria del giudice competente), verosimilmente perché sarebbe stato pedante ripeterne la definizione comune di consegna di persona dell'atto o documento. Ciò – è vero – non significa che manchino frammenti di regolamentazione del deposito, senza – però – che essi delineino – o riescano a delineare – una disciplina della fattispecie. Invero, l'art. 121 c.p.p., al comma 1, abilita parti e difensori”, viepiùin ogni stato e grado del procedimento, a presentare al giudice” [e dunque alla lettera non anche al pubblico ministero]memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria”; e, al comma 2, correla il dovere del giudice di provvedere senza ritardo e comunque, salve specifiche disposizioni di legge, entro quindici giorni” alla circostanza che le richieste” siano ritualmente formulate”. Talché la ritualità della formulazione quantomeno delle richieste coincide con il deposito nella cancelleria. Conferma di ciò si trae dal comma 3-bis dell'art. 116 c.p.p., il quale, in tema di copie, estratti e certificati”, prevede che, “quando il difensore, anche a mezzo di sostituti, presenta all'autorità giudiziaria atti o documenti, ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito, anche in calce ad una copia”. La formulazione di detto comma è gravemente imprecisa, perché, generalizzando dal giudice all'autorità giudiziaria al fine evidente di ricomprendervi anche il pubblico ministero, nelle fasi di competenza del giudice, accanto al difensore, dimentica, non solo le parti personalmente considerate ma, giust'appunto, anche il pubblico ministero; essa nondimeno aggiunge un tassello alla regolamentazione del deposito, che presuppone la consegna al funzionario di cancelleria dell'originale, avendo il difensore diritto di pretendere l'apposizione del timbro di avvenuto deposito sulla copia o su apposito modulo che riporti gli estremi dell'originale.

Ora, poiché il comma 4 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 attiene al “deposito” degli atti diversi da quelli dei commi 1 e 2, e questi ultimi a loro volta, attengono al “deposito” di quelli in essi contemplati, è da concludersi che l'art. 24 introduca una nuova modalità di deposito, che può definirsi deposito mediante PEC. Sotto altro profilo, non disciplinando il codice di rito la fattispecie del deposito, rispetto ad essa non può possedere l'art. 24 alcuna efficacia derogatoria, finendo semmai per integrare extra-codicisticamente i frammenti di regolamentazione codicistica del deposito cui si accennava.

Ciò detto quanto al codice, per quale ragione dovrebbe essere necessario – secondo la Prima sezione – che il comma 4, al fine di abilitare il deposito generalizzato mediante PEC, rechi deroga al d.l. n. 193/2009 ed al d.m. n. 44 del 2011? Perché l'art. 4 d.l. n. 193/2009, a sua volta, “deroga alla diretta applicazione delle disposizioni del CAD (Codice dell'amministrazione digitale, approvato con d.lgs. n. 82 del 2005) nel processo penale (e civile)” (par. 2.2., p. 10). Parrebbe dunque di doversi interpretare il ragionamento della Prima sezione nel senso che il d.l. n. 193 del 2009, e conseguentemente il d.m. n. 44/2011, derogando al CAD, che generalizza l'impiego della PEC, costituiscano gli unici atti abilitati a dettare norme – primarie e, legittimamente, secondarie “delegate” (ergo non meramente attuative, ancorché per vero non delegificanti, non prevedendosi in sede di legge autorizzativa alcuna delegificazione condizionata all'emanazione della fonte subprimaria) – in tema di processo telematico anche penale. Ciò, alla luce dell'art. 4 d.l. n. 193/2009, è vero, ma da tale considerazione non si risale all'inferenza per cui l'art. 4 deroghi al CAD. Nel dettaglio occorre osservare che: - è soltanto il comma 1 dell'art. 4 a prevedere che, con uno o più decreti ministeriali da adottarsi ex art. 17, comma 3, l. n. 400/1988 (peraltro entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, laddove invece il d.m. n. 44 del 2011 è di gran lunga successivo), “siano individuate le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione– e non in deroga, la portata di tale precisazione potendo essere apprezzata appieno tra poco – dei principi previsti dal d.lgs. n. 82/2005, e successive modificazioni”; - con riferimento al comma 2, non entrano in campo il processo civile telematico o il processo penale telematico, ma soltanto le notificazioni e le comunicazioni telematiche, detto comma prevedendo che “nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica si effettuano, mediante posta elettronica certificata, ai sensi del d.lgs. n. 82/2005, e successive modificazioni, del d. PR. n.68/2005, e delle regole tecniche stabilite con i decreti previsti dal comma 1”, ed aggiungendo che, “fino alla data di entrata in vigore dei predetti decreti, le notificazioni e le comunicazioni sono effettuate nei modi e nelle forme previste dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

In tal senso, si deve rammentare che, nel comma 4 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020, non vengono in linea di conto le notificazioni e comunicazioni (da riguardarsi – eventualmente, quanto alle impugnazioni, al lordo di quanto si dirà tra poco sui motivi nuovi – in rapporto al combinato disposto degli artt. 48, comma 2, CAD e 583 c.p.p.).

Tutto l'art. 24, comma 4 compreso, si occupa del deposito (da riguardarsi – eventualmente, quanto alle impugnazioni, con la predetta avvertenza – in rapporto alla presentazione personale o a mezzo di incaricato in cancelleria, di cui all'art. 582 c.p.p.).

Esclusa dunque la rilevanza, ai fini del presente approfondimento, del comma 2 dell'art. 4 d.l. n. 193/2009, il comma 1, che costituisce l'atto di avvio del (nuovo) processo civile e penale telematico (essendoci già all'epoca un embrione di PCT), non deroga al CAD, cui anzi dà espressamente “attuazione” in seno a tale tipologia di processo. L'assenza di alcuna deroga del comma 2 dell'art. 4 d.l. n. 193/2009 al CAD trova simmetrica conferma nell'ultimo comma dell'art. 2 del CAD, secondo cui “le disposizioni del presente Codice non si applicano limitatamente all'esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico-finanziaria e consultazioni elettorali. Le disposizioni del presente Codice si applicano altresì al processocivile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico”.

A quale conclusione sembra dunque condurre la riflessione sin qui condotta?

A sommesso avviso di chi scrive, alla conclusione che il comma 4 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 correttamente non deroga all'art. 4 d.l. n. 193/2003, perché non ne ha necessità, in quanto quest'ultimo, in specie nel suo comma 1, non deroga al CAD, con particolare riguardo all'ultimo comma dell'art. 2 di esso.

In altri termini, non sembra, ricostruito nel complesso l'intreccio di norme che governano l'intervento delle nuove tecnologie nel procedimento penale, potersi ritenere che il comma 4 si ingerisca nella disciplina, anche tecnica, del PPT, la quale seguita a procedere per la sua – lentissima – strada. Ciò è tanto vero che il comma 1 dell'art. 24 fa salvo quel tanto di PPT che, quanto ai depositi, comincia da poco tempo a vedere la luce, ossia il famoso portale nei (soli) uffici (di procura) che ne sono dotati. Coerentemente, pertanto, il comma 4, che non si occupa e non vuole occuparsi di PPT, si riallaccia anzi alla valenza generale del CAD, sinora schiacciata dall'interpretazione per cui o l'informatica entra nel procedimento penale attraverso il PPT o non ci entra proprio. Né sembra potersi obiettare che, così opinando, il comma 4 sarebbe una disposizione priva di efficacia in difetto delle norme tecniche di attuazione, in quanto proprio al provvedimento del Direttore generale SIA lo stesso comma 4 demanda di dettare tali norme: provvedimento effettivamente emesso dal Direttore generale SIA con protocollo del 9 novembre 2020, che, in soli quattro articoli, risolve il problema – ‘insormontabile' nelle architetture del portale e del PPT – di stabilire uno scheletro essenziale di norme tecniche.

Attestazione di deposito e firma digitale

Restano da affrontare due ultimi profili. Il primo è quello per cui, ai sensi del comma 5 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020, “ai fini dell'attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati [per il] tramite [della] posta elettronica certificata ai sensi del comma precedente”, l'atto deve essere inserito nel “fascicolo telematico”.

Rilevante è l'osservazione della Prima sezione secondo cui non esiste un fascicolo telematico in seno al quale effettuare l'inserimento, ma nulla esclude che esso possa comunque realizzarsi, proprio in forza del comma 5.

Occorre interrogarsi sulle modalità concrete attraverso le quali ciò possa avvenire.

Sicuramente meglio sarebbe stato se il fascicolo telematico fosse entrato nell'ambito del provvedimento del Direttore Generale SIA previsto dal comma 4, atteso che l'‘archiviazione' degli atti e documenti depositati mediante l'impiego della PEC – che per forza di cose devono essere conservati, a comprova della loro stessa esistenza – afferisce al tema delle norme tecniche ad esso demandate. Su questo punto, tuttavia, il provvedimento emesso ha invece effettuato una scelta di basso profilo, peraltro non seguita con riguardo all'imposizione della firma digitale per la sottoscrizione degli atti, quantunque medesimamente non prevista, in quanto tale, dai commi 4 e 5 dell'art. 24.

Preso atto di ciò, v'è a questo punto da domandarsi quali siano le opzioni percorribili.

Poiché è il comma 5 dell'art. 24 a presupporre l'esistenza di un fascicolo telematico che affianca quello cartaceo, e poiché il fascicolo telematico cui detto comma si riferisce è limitato alla funzione basilare dell'archiviazione, senza acquisire profili di relazionalità, non si intravedono insormontabili ostacoli a che siano segreterie e cancellerie a farsi carico in via amministrativa, attraverso i CISIA, dell'istituzione e della tenuta di tale fascicolo con gli strumenti – non sempre elementari – di archiviazione che attualmente il Ministero della Giustizia mette loro a disposizione. Vero è che, sul punto, l'attesa legge di conversione potrebbe spendere un piccolo sforzo quantomeno per ricondurre le iniziative territoriali sotto il controllo della DGSIA.

V'è un secondo ed ultimo profilo cui accennare, quello dell'adozione della firma digitale per la sottoscrizione degli atti, che, come si diceva, il provvedimento emesso dal Direttore Generale SIA ha inteso disciplinare all'art. 3, quantunque né il comma 4 né il comma 5 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 gliene facesse esplicitamente carico, all'evidenza sul presupposto che la firma digitale (come però anche il fascicolo telematico in modalità di archiviazione) costituisce un profilo meramente tecnico.

Correttamente il comma 1 dell'art. 3 del provvedimento emesso dal Direttore Generale SIA stabilisce che “l'atto del procedimento in forma di documento informatico, da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata […,] è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata”, lasciandosi particolarmente apprezzare la finezza del comma 3, secondo cui, da un lato, “le tipologie di firma ammesse sono PAdES e CAdES” e, dall'altro, “gli atti possono essere firmati digitalmente da più soggetti purché almeno uno sia il depositante”.

Risponde il provvedimento all'obiezione della Prima sezione all'interpretazione letteralmente generalizzata del comma 4 dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 fondata sull'argomento per cui la PEC da sola non basta, in quanto garantisce soltanto l'invio e la ricezione del messaggio di posta elettronica, ma non anche la provenienza di questo da chi apparentemente lo sottoscrive, ossia, in breve, la sua autenticità informatica.

L'obiezione della Prima sezione contiene elementi di rilevante materialità e riscontro nella realtà attuale del procedimento penale, soprattutto a fronte delle peculiarità del giudizio di cassazione, ma, nel contempo, si avverte la necessità di non obliterare il dato tecnico per cui, fortunatamente, non esiste solo la PEC. Là dove la PEC non arriva, arriva la firma digitale, che, in specie nella versione qualificata, costituisce in tutto e per tutto una sottoscrizione elettronica originale che tiene luogo in ambito informatico dell'originale della sottoscrizione manuale.

Giunti a questo punto, però, è utile domandarsi quale sia la norma a dare veste giuridica a siffatte caratteristiche tecnico-informatiche della firma digitale.

L'art. 24 CAD, secondo cui la firma digitale deve riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al documento o all'insieme di documenti cui è apposta o associata” (comma 1); “l'apposizione di firma digitale integra e sostituisce l'apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente” (comma 2); “per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso (comma 3).

Sembra, dunque, che il provvedimento del Direttore Generale SIA si attenga all'interpretazione dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 che si è cercato di delineare nelle pagine precedenti, con la conseguenza che l'articolazione, anche, ma non solo, tecnica sull'impiego della firma digitale lascia intravedere una non coincidenza rispetto all'opzione ermeneutica seguita dalla Prima sezione.

In conclusione

In conclusione, la sentenza in commento, nella parte in cui limita anche per il futuro il deposito mediante PEC – a prescindere dall'evenienza, verificatasi, di emanazione di una congrua disciplina tecnica – ad atti con riferimento ai quali il codice di rito non prevede specifiche modalità per il deposito o la presentazione, appare ridurre in modo forse eccessivamente formalistico e rigido le potenzialità dell'impiego di questo strumento nel procedimento penale, tenuto conto di un contesto tecnico in continua evoluzione che, sull'onda del contrasto alla pandemia, spinge per una spiccata dematerializzazione di attività tradizionalmente compiute sulla carta e in presenza.

Forse è questo, del resto, il segno dei tempi che cambiano.

Con specifico riguardo, poi, al caso concreto, avente ad oggetto la trasmissione via PEC di motivi nuovi in sede cautelare da parte del Pubblico Ministero, fermo il corretto rilievo, effettuato dalla sentenza in commento, della mancata emissione, al momento della trasmissione e per tutto il tempo intercorrente tra essa e l'udienza, della disciplina tecnica, in difetto della quale la trasmissione non avrebbe potuto ritenersi efficace, essendo il provvedimento del Direttore Generale SIA stato adottato solo dopo l'udienza, parrebbe nondimeno che, ai sensi dell'art. 585, comma 4, c.p.p., i motivi aggiunti sfuggano alla disciplina della presentazione qualificata delle impugnazioni di cui all'art. 582, comma 1, c.p.p., tanto più in quanto, ai sensi dell'art. 311, comma 4, c.p.p., nel giudizio di cassazione cautelare, “il ricorrente ha facoltà di [finanche meramente] enunciar[li] davanti alla corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione”.

Guida all'approfondimento

L. Agostino, Art. 24 del decreto “ristori”: l'interpretazione restrittiva della Cassazione in tema di deposito telematico degli atti durante il periodo emergenziale, in Sistema penale, 2 dicembre 2020.

G. Briola-M. Arienti-M. Picotti, La cassazione delle PEC. Necessari rimedi in sede di conversione del decreto ristori?, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 11.

Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del massimario e del ruolo, Le novità per il giudizio penale in Cassazione introdotte dal DL 28 ottobre 2020, n. 137 in tema di emergenza epidemiologica da COVID-19, 2 novembre 2020, in Sistema Penale, 12 novembre 2020.

L. Giordano, L'art. 24 del cd. decreto Ristori permette la presentazione di impugnazioni a mezzo PEC?,in IlProcessoTelematico, 16 novembre 2020.

A.A. Salemme, Nuovi orizzonti per l'impiego della Pec nel procedimento penale, in IlPenalista, 3 aprile 2017.

A.A: Salemme, Le ultime dalla suprema Corte sull'impiego della Pec per proporre impugnazioni ed opposizioni, in IlPenalista, 18 gennaio 2017.

G. Vitrani-R. Arcella, Inammissibilità (presunta?) degli atti di impugnazione depositati a mezzo PEC nel processo penale, in IlProcessoTelematico, 27 novembre 2020.

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