La Corte europea chiede agli Stati rapidità nelle procedure di ritorno dei minori
06 Luglio 2015
Ferrari è un cittadino argentino coniugato con una cittadina rumena con la quale ha avuto un figlio. Il caso affrontato dalla Corte europea riguarda un procedimento di ritorno in Argentina ai sensi della Convenzione dell'Aja sulla sottrazione internazionale di minori e un parallelo procedimento in Romania concernente l'assegnazione della custodia del minore a seguito di divorzio. Nonostante le numerose richieste, la madre non ha dato esecuzione alla richiesta di ritorno; solo dopo un lungo periodo dall'inizio del processo, i giudici rumeni si sono espressi sulla custodia del minore, affidandolo alla madre. Il ricorrente, dunque, lamenta che l'eccessiva durata del processo abbia leso i suoi rapporti con il figlio. In particolare, la Corte rileva che ci sono voluti 13 mesi affinché i giudici nazionali decidessero sulla questione. Pertanto, considerando l'esigenza di speditezza che deve governare la procedura prevista dalla Convenzione dell'Aja, nonché la sua precedente giurisprudenza, ha ritenuto un periodo del genere eccessivamente lungo. La Corte di Strasburgo ha constatato altresì che, fintantoché l'ordine di ritorno in Argentina era in vigore, vale a dire fino al 23 febbraio 2009, le autorità non hanno sollevato alcun motivo per non procedere all'esecuzione di tale ordine. Inoltre si ricorda che le autorità nazionali hanno l'obbligo di trattare le domande di ritorno rapidamente, anche in appello, ribadendo che l'effettivo rispetto della vita familiare richiede che i rapporti tra genitori e figli non siano determinati dal mero decorso del tempo. La Corte EDU ha, dunque, statuito che vi è stata una violazione dell'art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare), poiché, nel non dare motivi sufficienti per l'ordine di non ritorno, nel consentire che la procedura sia durata 13 mesi e prolungando il procedimento di esecuzione, le autorità nazionali non hanno garantito il procedimento di ritorno del minore e, dunque, il ricorrente non ha ricevuto una protezione efficace del diritto al rispetto della propria vita familiare. |