Non c'è discriminazione se lo Stato UE rifiuta di erogare prestazioni sociali al cittadino europeo “economicamente inattivo”
20 Maggio 2015
Il rinvio pregiudiziale si inquadra in una controversia tra due rumeni, madre e figlio, da una parte, e il Jobcenter Leipzig, dall'altra, riguardo al rifiuto di quest'ultimo di concedere loro prestazioni assicurative di base (Grundsicherung), ovvero, per la sig.ra Dano, la prestazione di sussistenza («existenzsichernde Regelleistung») e, per suo figlio, l'assegno sociale (Sozialgeld). La Corte di giustizia ha dunque interpretato la direttiva n. 38 del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, affermando che, durante i primi 5 anni del soggiorno all'estero, la direttiva stabilisce una serie di regole in base a cui il Paese ospitante è tenuto a garantire prestazioni sociali di carattere non contributivo «a condizione che le persone economicamente inattive dispongano di risorse proprie sufficienti». Secondo la Corte, l'art. 7, par. 1, lett. b), della direttiva 2004/38 mira ad evitare che i cittadini dell'Unione “economicamente inattivi” utilizzino il sistema di protezione sociale dello Stato membro ospitante per finanziare il proprio sostentamento. L'eventuale esistenza di una disparità di trattamento, quanto alla concessione di prestazioni sociali, fra i cittadini dell'Unione che si sono avvalsi della loro libertà di circolazione e di soggiorno e i cittadini dello Stato membro ospitante trova il suo fondamento nel bilanciamento fra la necessità di disporre di risorse economiche sufficienti quale condizione di soggiorno e l'esigenza di non creare un onere per il sistema di assistenza sociale degli Stati membri, garantito dall'art. 7 della citata direttiva.
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