Embrione umano: brevettabilità dei “partenoti” solo in assenza di «capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano»
21 Maggio 2015
Nell'ambito di una controversia nazionale concernente la registrazione di brevetti per invenzioni comprendenti la produzione di linee di cellule staminali pluripotenti da ovociti non fertilizzati ma attivati tramite partenogenesi (“partenoti”), si è posto il problema del diniego di tale registrazione. Esso viene giustificato sulla base del precedente della Corte nel caso C-34/10 Brüstle-Greenpeace che aveva interpretato il concetto di “embrione umano” sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche in senso ampio ed escluso dalla brevettabilità qualsiasi ovocita umano non fertilizzato la cui divisione e ulteriore sviluppo tramite qualsivoglia sistema lo avesse reso capace di “dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano”. Il tribunale inglese competente chiede alla Corte se i partenoti umani, che al contrario degli ovociti fertilizzati non contengono il DNA paterno, rientrino nella definizione di “embrioni umani” di cui all'art. 6, par. 2, lett. c) della direttiva 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. La sentenza della Corte, confermando le conclusioni rese dell'Avvocato generale Villalón, chiarisce che tale ultima norma deve essere interpretata nel senso che un ovulo umano non fecondato il quale, attraverso la partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi, non costituisce un “embrione umano”, se, alla luce delle attuali conoscenze della scienza, esso sia privo, in quanto tale, della capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. |