Gli assolti con formula piena con sentenza penale irrevocabile avranno diritto al rimborso delle spese legali
21 Dicembre 2020
Con l'approvazione avvenuta ieri alla Camera di un emendamento alla legge di bilancio verrà introdotto nel sistema giuridico penale un principio epocale: la soccombenza dello Stato nel processo penale. Lo Stato sarà tenuto al pagamento delle spese legali affrontate dall'imputato assolto, per determinate e tassative ipotesi, in via definitiva.
In piena ed esplicita attuazione dell'art. 2 Cost., per cui lo Stato riconosce e garantisce a ciascuno i propri diritti, senza ostacolarli o farli pagare indebitamente, e dell'art.24, comma 4 Cost. per cui “la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari” si delinea – mediante l'introduzione nel codice penale dell'art. 177-bis c.p. - un modello “indennitario” riferibile al danno da processo penale che deve necessariamente adattarsi al solo l'imputato prosciolto con formula piena, il quale non si troverà più di fatto sanzionato al rimborso delle spese legali.
Segnatamente la norma stabilirà che: Nel processo penale, all'imputato assolto con sentenza divenuta irrevocabile perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, è riconosciuto un rimborso delle spese legali nel limite massimo di importo pari a 10.500 euro. Così stabilendo il principio della soccombenza dello Stato, già riconosciuto nei riti civile e amministrativo, entra a pieno titolo nell'ambito del processo penale, come autorevolmente auspicato dalla migliore dottrina (G. Spangher, voce Vittima del reato, Treccani on line, 2019).
Indubbiamente la riforma ha un carattere indubbiamente rivoluzionario: la materia è riconducibile al noto paradigma del “processo come pena” per cui la vicenda giudiziaria origina di per sé una sofferenza per l'accusato (v., per tutti, F. Carnelutti, Lezioni sul processo penale, I, II ed., Roma, 1949, 48 ss.). In tale prospettiva, l'idea di assicurare a chi venga assolto la rifusione delle spese processuali sostenute obbligatoriamente, e in specie per la difesa tecnica che, come chiarisce la Consulta è obbligatoria e irrinunciabile ma non gratuita, a parte i casi di gratuito patrocinio (Corte cost. n. 125 del 1979 e Corte cost. n. 188 del 1980). Collocato nell'ambito del nuovo sistema di rito penale e alla luce del nuovo ruolo che in esso ha assunto l'azione penale, finirà per avere un “deflagrante” sull'intero assetto del processo che può diventare anche uno strumento di pena “ingiusta” per l'assolto-vittima. D'altro canto la stessa Consulta nella sentenza n. 135 del 1987 ha autorevolmente affermato che: È giusto, secondo un principio di responsabilità, che chi è risultato essere nel torto si faccia carico, di norma, anche delle spese di lite, delle quali invece debba essere ristorata la parte vittoriosa. Quindi il costo del processo deve essere supportato da chi ha reso necessaria l'attività del giudice e ha occasionato le spese del suo svolgimento.
Posto che l'attività giurisdizionale di accertamento di un fatto di reato, che è l'obiettivo pubblico del processo, ha una caratteristica peculiare qual è quella di non consentire una obiettiva individuazione delle attività lecite e, dunque, indennizzabili e che l'imputato ha l'obbligo di essere difeso in giudizio si stabilisce sarà corrisposto solo nel caso di decisione definitiva emessa con le formule elencate nel primo comma del nuovo art. 177-bis c.p.: "perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato", le quali indicano chiaramente che deve trattarsi di un proscioglimento “pieno” all'esito di un processo subito ingiustamente. Al contrario, il diritto non potrà essere vantato dall'imputato assolto "da uno o più capi di imputazione" ma "condannato per altri" o quando l'assoluzione sia avvenuta per "estinzione del reato per avvenuta amnistia o prescrizione" o per sopravvenuta "depenalizzazione" dei fatti oggetto di imputazione. Vertendosi all'interno di una specie generale e astratta di responsabilità di danno processuale da atto lecito si è prescelto, dunque, più che un catalogo aperto un'elencazione tassativa. Nell'opzione, invece, fra la configurazione di un indennizzo generale per le conseguenze processuali dell'atto processuale illecito o l'istituzione di un fondo di garanzia statale a cui attingere o altre forme di ristoro si è prescelto un rimborso che sarà tecnicamente assicurato attraverso un'erogazione che avverrà "in tre quote annuali di pari importo", a partire dall'anno successivo "a quello in cui la sentenza è divenuta irrevocabile", e non rientrerà ovviamente nel computo del reddito. Pare, peraltro, essere scartato ogni criterio improntato al “principio di compensazione” che tenga conto della proporzionalità dell'azione pubblica, vale a dire dei vantaggi e oneri conseguenti alla sua azione (v., amplius, AA. VV., La vittima del processo. I danni da attività processuale penale, Giappichelli, 2017). L'ex imputato ora assolto dovrà presentare la fattura del difensore, il che lascerebbe intendere che si tratti di un ristoro che ricomprenda anche altre spese oltre a quelle difensive (consulenti tecnici, investigatori privati), "con espressa indicazione della causale e dell'avvenuto pagamento", nonché un parere di “congruità”, non ben identificato, del Consiglio dell'ordine degli avvocati, e per finire pure l'attestazione della cancelleria dell'irrevocabilità della sentenza di assoluzione. Spetterà al Ministero della Giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adottare con decreto entro 60 gg. dall'entrata in vigore della legge definire le modalità e i criteri per l'erogazione dei rimborsi.
Indubbiamente la soluzione prescelta comporterà non poche ricadute circa l'organo tenuto alla liquidazione della somma dovuta e ai caratteri del procedimento di liquidazione. Certamente non sono contemplati dalla previsione i casi di archiviazione, forse in quanto provvedimenti suscettibili di essere rimossi con la riapertura delle indagini o le altre forme di proscioglimento, ma la novità, come si comprende, ci appare “culturalmente” dirompente in quanto prospetta quel doveroso e corretto rapporto fra il cittadino e lo Stato nell'esercizio della giurisdizione penale ben delineato rispetto al tema de qua all'interno dell'art. 24, comma 4, Cost. La novità normativa si colloca, peraltro, al termine di un (ulteriore) periodo nel quale l'esito di troppe vicende processuali, dal grande clamore mediatico, è stato quello per il quale lo Stato italiano sarà, d'ora in avanti, tenuto a rimborsare l'imputato pienamente assolto in via definitiva
Riprendendo le parole di Spangher (op. cit.): Non è la sede per sviluppare in questa occasione critiche agli investigatori, ai pubblici accusatori (dapprima zelanti e rigorosi, dopo impossibilitati ad indagare per tutti gli inquisiti raggiunti magari soltanto da soglie marginali di responsabilità), ovvero alla diversa valutazione dei fatti da parte dei giudici, anche alla luce dell'apporto della difesa. Certo è che l'enfatizzazione ‘mediatica' (inevitabile in vicende di questa natura) ha danneggiato questi soggetti, alcuni dei quali hanno dovuto abbandonare la scena politica conquistata con il sostegno elettorale, altri hanno visto la loro immagine professionale deturpata, altri ancora la vita devastata. Peraltro, in vicende come queste – anche per effetto del fuoco sia nemico, sia amico – l'informazione – corretta o distorta – è inevitabile. |